- «La diatriba sul calendario è poco giustificata. O si fa la costituente, sul serio, o si fa un congresso ordinario, in tempi più stretti, e si evitano pasticci».
- «Non credo che alla fine del congresso ci sia una scissione, ma non penso neanche che possano continuare a vivere da separate in casa linee politiche diverse, fra chi pensa che il mercato si regoli da solo e chi chiede dei correttivi e dei riequilibri. Si tratta di trovare un punto di sintesi»
- «Mi preoccupa il silenzio sul merito delle candidature che si stanno offrendo per guidare il partito. Anche se formalmente ancora non ci sono, sarebbe bene che tutti quelli che ci stanno pensando iniziassero a mettere giù delle idee. Animare un dibattito senza dire niente mi sembra abbastanza improbabile».
Il Lazio e Lombardia non sono perse per il Pd, sostiene Andrea Orlando, anche se le difficoltà delle due corse è evidente. In Lombardia il Pd non può votare Letizia Moratti: «È noto a tutti che si candida con Calenda perché è stata scaricata dalle destre. E secondo lei gli elettori democratici andrebbero a votarla in massa?». Ma con il capo della sinistra Pd parliamo del congresso.
Non c’è accordo sulla data del congresso Pd, approvata in direzione pochi giorni fa. Cos’è successo nel frattempo?
La domanda va rivolta a chi l’ha rimessa in discussione mezz’ora dopo che si era votato in direzione. Per me una diatriba sul calendario è poco giustificata. O si fa la costituente, sul serio, o si fa un congresso ordinario, in tempi più stretti, e si evitano pasticci. Ma non credo che il banco possa saltare su questo.
Lei sostiene che «nel Pd c’è chi pensa che il capitalismo va bene e chi lo critica». Cioè che due linee così distanti non possano più convivere?
No, ma non penso neanche che possano continuare a vivere da separate in casa. Si tratta di trovare un punto di sintesi, che deve tenere conto di quello che è successo, per capirci dopo la crisi del 2008 e dopo la pandemia. Paghiamo il fatto di non aver mai fatto seriamente i conti con il profilo culturale della stagione renziana. Renzi è stato utilizzato come un capro espiatorio. Eliminato il corpo estraneo, la questione si è risolta. Si è detto “è un problema di carattere” e invece Renzi ha estremizzato un modo di vedere che era largamente presente nel Pd e nella sinistra europea, una cultura propria anche di alcuni che renziani non sono mai stati, una subalternità ai modelli di successo, un’esaltazione retorica delle eccellenze, l’attenzione a una faccia delle globalizzazione senza vedere l’altra. E gli altri, io tra questi, non hanno saputo contrastare a sufficienza questa impostazione. La vittoria di Nicola Zingaretti era la richiesta di questo chiarimento. Ma un po’ le vicende della cronaca, un po’ l’esito della sua segreteria non lo hanno realizzato. Si è iniziato in un appuntamento che aveva organizzato Gianni Cuperlo a Bologna. Da lì bisogna ripartire. So che questa richiesta è oggetto di caricature.
Insisto: c’è chi dice che chi è d’accordo con il jobs act deve chiedersi perché sta nel Pd. È l’ipotesi di una scissione?
Così la questione è posta male. Il jobs act è stato condiviso da larga parte del Pd a suo tempo, e non credo che si voglia fare un’espulsione di massa. Anche al tempo c’erano posizioni diverse. Il punto oggi è valutare se ha funzionato. No, dicono i numeri. Quindi bisogna fare un passo avanti. Non c’è da distinguere buoni e cattivi, bisogna capire se ci sono le ragioni per stare insieme o no. Senza rimozioni ma anche senza pregiudicare la possibilità di un’evoluzione delle posizioni. Su altre questioni la sintesi si è trovata. Sul modello di sviluppo e di competizione non si è cercata perché si riteneva che fosse un tema così scabroso da mettere in discussione l’esistenza del Pd. Ma oggi, con la crisi economica e la crescita delle diseguaglianze, se non diamo una risposta su questo non siamo. Non bastano più gli altri aggettivi, europeista, democratico, attento ai diritti civili. O sei socialista o non sei.
Quindi l’identità che tutti invocano per lei è un’identità socialista?
La vocazione maggioritaria, per come il Pd la concepiva, non c’è più. Un’ala radicale, post ideologica, si è strutturata, e anche un’ala liberale. Resta un campo di riformismo sociale, un socialismo ecologico che raccolga anche la storia del cristianesimo sociale. Anche per rompere la tenaglia fra M5s e polo liberale. Il punto di partenza è se il mercato da solo risolve tutti i problemi o se servano strumenti per riequilibrare. Ora, se uno parla dei limiti del capitalismo, c’è sempre il furbacchione che ti appiccica la provenienza comunista o ne fa derivare visioni antagonistiche. E invece si tratta di discutere quello che oggi discutono le forze progressiste e i sindacati, e persino i grandi fondi di investimento e le associazioni imprenditoriali. È evidente che questo sistema da solo non si autoregola. E la cultura del riequilibrio del potere sostanziale e della riduzione delle diseguaglianze in Europa e nell’occidente si chiama socialismo. Un socialismo che non cerchi come in passato gli strumenti solo nello stato ma sviluppi anticorpi nella società, nella dimensione comunitaria, nel terzo settore.
So che non partite dalle alleanze. Ma un partito “di governo” non deve indicare uno schieramento per governare?
Oggi la questione è salvare il Pd. E proprio per salvare il centrosinistra, e cioè salvare la possibilità di un’alternativa alle destre: perché se dovesse franare il Pd non c’è nessuno che mette insieme gli altri pezzi del centrosinistra. Io oggi mi dedico a questo. Del resto discuteremo dopo. Ma se il Pd non regge come baricentro, la destra avrà una posizione di rendita perpetua.
Il congresso costituente inizia con l’apertura ad altre forze. Ad ora risponde solo Art.1.
Sono preoccupato. Da pochi minuti dopo la direzione fra noi si è aperta una discussione tutta finalizzata ad un redde rationem interno. Che è antitetico alla chiamata di altri. La costituente è stata vissuta da alcuni, molti, come un fastidio. È segno di una sottovalutazione della gravità nella quale versa il Pd. Non si risolve rimpastando gli ingredienti che ci sono già.
Alcuni chiedono ai dirigenti che da anni governano il Pd, come lei, un passo indietro. Lei lo farà?
Oggi non ho un ruolo nel partito, sono un deputato semplice. Il fatto che alcuni di noi siano riconosciuti come protagonisti del dibattito è la conseguenza del fatto che proviamo a mettere in campo delle idee. Se ce ne saranno di migliori, non saremo noi a fare un passo indietro, ma altri a farne uno avanti. A meno che l’invito non sia al silenzio. Dopodiché l’evocazione rituale del tutti a casa mi auguro si accompagni a una ricostruzione delle storie di ciascuno, anche di quelli che lo reclamano. Che non sono tutte uguali.
La sinistra Pd vuole più tempo perché non ha un candidato?
Questo è un altro dei veleni messi in circolo. Noi siamo convinti che sia necessario chiedere ad altre forze di dare un contributo alla discussione. Se ritenessimo la competizione fra candidati una soluzione, non avremmo problemi a esprimere un nome. Ma non la pensiamo così. I candidati che arrivano in una competizione che non ha sciolto le contraddizioni del Pd produrrebbe leadership fragilissime.
La sinistra del Pd si sta avvicinando a Elly Schlein?
I congressi sono momenti in cui le aree politiche respirano, ognuno di noi farà le sue valutazioni, non c’è una disciplina di corrente. Spero ancora che ci sia una piattaforma condivisa, se non ci sarà vedrò chi assomiglia di più alle idee che ho in testa, e farò le mie valutazioni confrontandomi con chi ha fatto con me le battaglie di questi anni. Mi preoccupa il silenzio sul merito delle candidature che si stanno offrendo per guidare il partito. Anche se formalmente ancora non ci sono, sarebbe bene che tutti quelli che ci stanno pensando iniziassero a mettere giù delle idee. Capisco che questo espone a diventare un bersaglio, lo so bene. Ma animare un dibattito senza dire niente mi sembra abbastanza improbabile.
È normale che chi non è ancora iscritto al Pd possa ambire a diventarne il segretario, o la segretaria?
Per chi come me pensa che il Pd non sia sufficiente a sé stesso non è uno scandalo, oggi. In una fase ordinaria lo sarebbe. Il problema è che questa apertura non sta producendo una discussione. Il problema di questo momento, nel Pd, non è la differenza delle idee ma il silenzio delle idee.
Per un inceneritore, semplifico, è saltato il governo Draghi e per un inceneritore consegnerete il Lazio alle destre. Valeva la pena?
Il termovalorizzatore è stato un alibi, e lo è anche adesso. Riguarda Conte e Calenda, che lo usano come elemento valoriale, per Calenda è diventato il simbolo del riformismo nel mondo. La verità è che il terzo polo ha lavorato in più occasioni per far saltare l’alleanza fra Pd e M5s per aumentare la sua rendita di posizione, e il M5s in questo momento ritiene che andare da soli rafforzi la scelta delle politiche. Se non fosse il termovalorizzatore, sarebbe una rotonda sulla via Aurelia.
Quanto durerà la vocazione all’autosufficienza di Conte?
Dipende anche dai risultati. La scelta lo ha premiato alle politiche anche perché il Pd ha fatto diventare il governo Draghi un fine, una bandiera, anziché un modo per affrontare l’emergenza. E questo ha lasciato ai M5s lo spazio per intercettare un malessere. Ma non so se valga lo stesso nel Lazio, dove la rottura è stata fatta a freddo, visto che governiamo insieme. E fin qui la scelta del termovalorizzatore non era stata preclusiva.
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