L’ex ministro Andrea Orlando sarà a Genova a chiedere le dimissioni del presidente ligure Giovanni Toti, che è ai domiciliari dopo un’inchiesta giudiziaria su presunti episodi di corruzione. Nel caso in cui si andrà al voto, il suo nome è fra i papabili del centrosinistra
L’ex ministro Andrea Orlando oggi sarà – con Schlein, Conte, Fratoianni, Bonelli – a Genova a chiedere le dimissioni del presidente ligure Toti, che è ai domiciliari. Per la destra c’è una pressione «aberrante» dei pm sul governatore, per Orlando «se Nordio vede abnormità, può investire gli ispettori». In caso di voto, il suo nome è fra i papabilissimi del centrosinistra: «Che ruolo giocherò lo si deciderà insieme»
Onorevole Orlando, iniziamo dal voto di Strasburgo. Von der Leyen dovrebbe essere rieletta. Ma con quale mandato?
Mi pare che voglia tenere i voti dei Verdi e per questo non molli sul Green Deal come le ha chiesto Meloni, che peraltro è stato forse la parte migliore della sua scorsa presidenza. Non so se Meloni o altri settori della destra alla fine la voteranno, ma è possibile, magari sottobanco, per non agevolare troppo il progetto di Orbán. Non hanno interesse a un fallimento di von der Leyen.
E così quale sarà il bilancio delle mosse di Meloni in Europa?
Meloni ha giocato la partita del dopo elezioni nel peggiore dei modi possibili. È troppo “fascia” per i popolari, e troppo poco “fascia” per i fasci. Pensando di fare il ponte fra due mondi, si è trovata a non parlare più né con l’uno né con l’altro. E questo l’ha condannata a una sconfitta. Qualunque cosa faccia pagherà un prezzo: se la vota, la destra la contesterà, se non la vota rischia la marginalizzazione del nostro paese. Il vero problema di Meloni non è quello che farà, è quello che è già avvenuto.
La guerriglia da destra di Salvini porterà conseguenze nel governo, o sarà una guerriglia permanente?
Ad oggi è una condizione endemica del governo. Bisogna capire come si combina con il quadro economico più complicato in autunno e all’inizio dell’anno prossimo.
Anche a sinistra avete i vostri guai. A differenza di cinque anni fa, stavolta Conte voterà contro von der Leyen.
È un passaggio da sdrammatizzare. Questo voto non è una vittoria dei socialisti, von der Leyen è il male minore, l’imperativo è impedire che la destra antieuropea entri nella cabina di regia dell’Ue. Ma la nostra prospettiva deve essere anche a livello europeo un campo progressista, nel dialogo con i Verdi e con le altre forze progressiste. Dobbiamo muovere da un europeismo critico, che difende la prospettiva dell’integrazione ma critico sul fatto che fin qui sia avvenuta senza un necessario pilastro sociale, e senza politiche industriali. E il patto di stabilità è l’emblema di quest’Europa dalle scarse ambizioni che si affida solo al mercato per il processo di integrazione. Non dobbiamo lasciare che il tema del malessere per le diseguaglianze sia interpretato solo dalla destra antieuropeista.
Vittorie socialiste invece sono quelle in Francia, Gran Bretagna, Spagna. Tira un’aria buona in Europa?
Presto per dirlo, la destra si è molto rafforzata in questi anni però è certo che si vince, o comunque si rimobilita un pezzo di astensionismo, se si pone al centro la questione sociale. E la democrazia liberale si difende se siamo in grado di portare al voto settori popolari, che non si mobilitano per la difesa del “sistema”, ma se connettiamo la tenuta del sistema democratico alla lotta alle diseguaglianze sociali. Se il tema suona come la difesa dell’establishment la partecipazione cala, e la destra cresce. Serve, insomma, una difesa intelligente dell’Europa. A cui ha fatto molti danni anche una concezione tecnocratica, almeno quanto l’antieuropeismo.
Cos’è la delega alla sburocratizzazione a cui ambisce Meloni?
Una presa in giro, per prendere il voto di Fratelli d’Italia pagando il minimo prezzo. Ed anche un’exit strategy per il ministro Fitto, prima che si veda che il Pnrr rischia di non esserci più.
Cosa manca alla sinistra italiana per “fare come in Francia”?
In Francia il processo è stato aiutato dal doppio turno. Comunque non credo che al prossimo giro da noi si rifarebbe l’errore del 2022. E le distanze sono meno grandi di quello che si può pensare. Anche perché alcune impostazioni neoliberali sono ormai abbandonate dai liberali stessi, se leggo bene le anticipazioni del rapporto di Draghi sulla competizione.
Ma fra voi c’è il “macigno” delle differenze sulle armi all’Ucraina.
Un macigno che non impedisce alla destra di governare insieme. Per quanto riguarda noi, le distanze vanno ridotte, nel senso che dobbiamo superare un atlantismo acritico e essere in grado di mettere in campo un’idea di Europa, e di Italia, che svolgano un ruolo nella costruzione di un dialogo, affiancato all’appoggio all’Ucraina. Non è un tema che possiamo lasciare alla strumentalità di Orbán, è un tema della sinistra: un mondo multipolare nel quale la soluzione dei conflitti non è affidata solo alla logica delle armi. Non è un’impostazione pacifista, ma realista.
Il “problema” russo-ucraino ve lo risolverà la vittoria di Trump?
Mi auguro vivamente di no, non abbiamo bisogno di un’America che si isoli, ma che guidi l’Occidente con l’Europa ma su basi diverse. Anche Sánchez, un leader del socialismo europeo, ha posto il tema di ripensare l’alleanza atlantica. Marco Tarquinio è stato messo all’indice per averlo detto.
Il centrosinistra si unisce sul referendum contro l’autonomia differenziata, che però è a rischio quorum, cioè a rischio di diventare un boomerang. Un rischio calcolato?
Non c’è un’alternativa. In parlamento non c’è stata nessuna possibilità di discutere. Ci sono i rischi del caso, ma vanno corsi. Se sappiamo raccontare la posta in gioco si può vincere: l’autonomia aumenta le diseguaglianze non solo fra Nord e Sud ma anche nelle stesse aree del Centro-Nord; e non corrisponde più a un senso comune. Dopo il Covid, dopo gli shock energetici, c’è una domanda di certezza e tempestività nella capacità di risposta degli Stati. La legge Calderoli è anacronistica.
Confindustria è contraria. Ma è un mondo con cui avete difficoltà a dialogare?
Lo faremo, a livello territoriale lo stiamo già facendo. Quando le imprese si trovano senza le forniture di elementi essenziali alla produzione, come i chip, sanno che il problema non glielo risolvono le regioni trasformate in staterelli.
Il Jobs Act è stato ancora una volta bocciato dalla Consulta. C’è un referendum per abrogarlo. Lo voterà?
C’è stata una fase in cui la sinistra ha pensato che rendendo più flessibile il mercato si sarebbe determinata una crescita e un aumento dei posti di lavoro. Non è successo. Io questa considerazione l’ho già fatta nel 2017, quando mi sono candidato segretario del Pd contro Renzi, con una piattaforma che proponeva di rivedere il Jobs Act. E a parte me, la Corte si è ripetutamente pronunciata. Prima del referendum, sarebbe giusto che il parlamento affrontasse i nodi che la Consulta ha messo sul tavolo.
La foto dell’abbraccio fra Schlein e Renzi dice qualcosa di nuovo?
Che stavano giocando la stessa partita. Di calcio.
Oggi il centrosinistra, e anche lei, sarà a Genova a chiedere le dimissioni di Toti. La maggioranza parla di pressione indebita della magistratura.
Le dimissioni di Toti devono arrivare perché la vicenda giudiziaria ha portato ulteriormente alla luce una cosa che non vedeva solo chi non voleva vedere, un intreccio fra interessi economici particolari, pezzi dell’informazione e della politica che hanno prodotto un assetto oligarchico del governo regionale. La Liguria doveva chiudere questa storia prima, e non dobbiamo aspettare la Cassazione per capire che quel modello ha prodotto nei primi tre mesi dell’anno 220 milioni di buco nella sanità. Mi sembra sufficiente per chiedere a un’amministrazione di andarsene a casa quando la gente aspetta nove mesi per una mammografia, ma bastano poche settimane per una concessione per un’area del porto, se sei amico del presidente.
L’ordinanza non contiene una indebita pressione per le dimissioni? Il ministro Nordio ha detto che l’ha letta, ma non ci ha capito nulla.
Io mi occupo di politica e la politica dice che l’esperienza di Toti è finita. Il ministro della Giustizia non è un commentatore, è il titolare dell’azione disciplinare. Se vede abnormità, che può essere anche l’assenza di senso compiuto in un provvedimento, può investire gli ispettori. Comunque se come giurista-commentatore ha ragione, sono certo che la Cassazione farà a pezzi l’ordinanza che Nordio ha esaminato, e che la difesa presenterà immediato ricorso.
E in caso di voto anticipato in Liguria, lei si candiderà alla presidenza della Regione?
Farò quello che è più utile a mandare via questa destra. Cosa fare lo decideremo insieme, capendo prima qual è la formula migliore per vincere, e la persona per guidarla. Non mi chiamo fuori da questo percorso, ma che ruolo giocherò è giusto che lo si decida insieme.
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