- Per una volta, si può dire che la pace e la bandiera arcobaleno sono un marchio di successo.
- Non è la prima volta, in realtà, e neanche la più clamorosa: il 15 febbraio 2003 trenta milioni di persone in 800 città del mondo manifestarono contro l’imminente invasione dell’Iraq, fu la più grande protesta globale della storia.
- Resta che il pacifismo disarmista, in mezzo alle pernacchie dei grandi media, in Italia prova a riprendersi la scena.
Il papa è con loro, Dio non lo sappiamo, esiste il fondato sospetto. Con loro, cioè con i pacifisti genericamente, ci sarebbe anche «la maggior parte degli italiani»; lo sostengono sin dall’inizio della guerra della Russia contro l’Ucraina perché da subito sono spuntati sondaggi che certificherebbero che la guerra non è la prima preoccupazione del paese, mentre lo sono comprensibilmente le angosce per le conseguenze, soprattutto economiche.
Insomma, per una volta, si può dire che la pace e la bandiera arcobaleno sono un marchio di successo. Non è la prima volta, in realtà, e neanche la più clamorosa: il 15 febbraio 2003 trenta milioni di persone in 800 città del mondo manifestarono contro l’imminente invasione dell’Iraq, fu la più grande protesta globale della storia. Ma poche settimane dopo Baghdad era sotto le bombe.
Resta che il pacifismo disarmista, in mezzo alle pernacchie dei grandi media, in Italia prova a riprendersi la scena. E il 2 maggio scorso la serata televisiva off off di Michele Santoro, al teatro Ghione di Roma, intitolata “Pace proibita”, ha avuto 400mila telespettatori stimati fra tv collegate, streaming e siti. Ce n’è di che ingolosire qualche impresario politico. E così subito è circolata la voce di un partito di Santoro. Lui smentisce.
Domani ha raccolto notizie di suoi incontri “politici” per fare uno – per così dire – studio di fattibilità del progetto. Santoro è un giornalista che maneggia bene la politica, dai tempi di Telesogno (1995), alla sua candidatura da eurodeputato indipendente nell’Ulivo (2004), a quelli di Rai per una notte (2010), tutte esperienze finite in un suo ritorno al mestiere di anchorman tv.
Ci sono dunque questi precedenti che non depongono a favore della nascita di un partito sull’onda di un successo mediatico. C’è lo scetticismo dei disarmisti storici, quelli impegnati h24 nelle battaglie contro le armi. «Sapevo che si sarebbe arrivati a quello», sospira Francesco Vignarca, coordinatore solo delle campagne per la Rete pace e disarmo, che è abituato a decodificare i facili entusiasmi che arrivano da un colpo mediatico andato a segno e dunque mantiene le sue parole su un piano molto diplomatico: «E so che molti lo stanno “spingendo”. Comunque io credo, spero e provo a lavorare ogni giorno per una politica nonviolenta... che è “molto di più”, e comprende anche il pacifismo».
Non crede a un “partito pacifista” anche Sandro Ruotolo, giornalista, in passato giornalista del gruppo di Santoro, ex inviato di guerra in Afghanistan, nel Kosovo e in Libia e oggi senatore indipendente nel gruppo di Leu-Ecosolidali: «Intanto assicuriamoci il diritto a non avere solo l’informazione con l’elmetto. Io mi ritengo pacifista, come tanti altri. Se andiamo al passato, all’epoca dell’Iraq, le enormi manifestazioni pacifiste non hanno prodotto “il partito pacifista”, cioè il valore è presente, ma non si è affermata una lista espressione politica. Anche se quelle guerre erano diverse: in Iraq e Afghanistan erano guerre di aggressione con la partecipazione del nostro paese e il pacifismo si mobilitò con manifestazioni oceaniche. Ma non nacque il partito dei pacifisti. Al limite la protesta sfociò nell’astensionismo. Oggi tutti dichiarano che è stato Putin l’aggressore e tutti stanno dalla parte dell’Ucraina. Il passato dunque ci dice di no, che non è nato un partito, ma per l’amor del cielo, non vuol dire che il futuro non ci riservi altro. In ogni caso non credo alle fratture fra pacifisti: credo che l’Ucraina si debba difendere ma sono contro la guerra, sono preoccupato per la guerra che si prolunga, e nutro grande rispetto per chi la pensa diversamente da me».
Due meglio di uno
In realtà le fratture ci sono, in Italia sono persino storiche. E il fatto è che i pacifisti italiani non possono fare un partito. Non uno solo, almeno. Perché nella platea del teatro romano di partiti pacifisti ce n’erano minimo minimo due.
Confusi nella platea entusiasta c’erano, per esempio, Nicola Fratoianni, che è segretario di Sinistra italiana; ma anche l’ex sindaco di Napoli Luigi de Magistris, che invece è impegnato a organizzare una lista per le prossime politiche insieme a Maurizio Acerbo, leader Prc, anche lui in sala. E poi, con aria più scettica, c’era Arturo Scotto, che è il numero due di Articolo 1.
Dirigenti di forze diverse, molto diverse, che nelle scorse tornate elettorali si sono lanciate in combine: nel 2014 alle europee l’allora Sel con il Prc nella lista Tsipras; nel 2018 alle politiche il Prc con Potere al popolo mentre stavolta Sinistra italiana si alleava con Articolo 1; e nel 2019 alle europee vai con lo scambio di coppie: Prc con Sinistra italiana nella lista La sinistra, Articolo 1 nelle liste del Pd.
La coalizione di De Magistris
Infatti De Magistris non crede «che il fronte pacifista si possa ridurre a un partito. Certo, ha bisogno di una rappresentanza politica, di uno sbocco politico. Ma la forza dell’iniziativa del teatro Ghione è tutta legata alla storia di Santoro, alla sua battaglia per la libertà di informazione. Chi dice che Santoro vuole fare un partito in realtà vuole ridurre la forza dirompente di quell’iniziativa». Insomma, non riduciamo il giornalista a un capopopolo, dice il due volte sindaco di Napoli, ex candidato presidente in Calabria, che ora lavora a una lista per le politiche.
«In un fronte pacifista c’è bisogno di tutti. Noi stiamo costruendo una coalizione popolare. Michele, che conosco da anni, parla lo stesso nostro linguaggio e sono certo che faremo pezzi di strada insieme». Ma non tutti potrebbero entrare nella coalizione di De Magistris.
Non per esempio Sinistra italiana: «Con Fratoianni siamo stati alleati a Napoli e in Calabria. Sono contento che oggi siamo d’accordo anche sulla guerra, ma allora questo si deve tradurre in atteggiamenti coerenti».
Detto fuori dai denti: «Non posso immaginare come Fratoianni possa fare l’alleanza con il Pd di Enrico Letta, partito guerrafondaio e in prima linea sul fronte bellicista». Ce n’è anche per i Cinque stelle: «Anche Giuseppe Conte si deve decidere: non è che voti in un modo e poi in tv dici che la pensi in un altro modo». De Magistris insomma non sarà «mai» alleato del centrosinistra. «Ne ero già convinto prima della guerra, ora questa opzione è completamente esclusa».
Ma siamo sicuri che la guerra sia una questione dirimente per scegliere come votare? «Ma sì, perché è tutto intrecciato, la guerra con il tema sociale, con il costo della vita, con le questioni ambientali perché il cambiamento climatico c’è e questi invece ci propongono più fossile carbone e nucleare. E se a marzo quando si voterà la guerra dovesse esserci ancora, e prego dio di no, sarà chiaro che l’economia di guerra va in una direzione e quella del disarmo in un’altra. E lì chi vota dovrà scegliere da che parte stare».
Tu sì, Si no
Se non è una espulsione dal fronte pacifista, poco ci manca. Secondo de Magistris non è coerente essere contro il riarmo e poi allearsi con il Pd. Ce l’ha con Sinistra italiana. A cui giriamo la questione, avanzata peraltro da un ex alleato. «Francamente queste accuse non sono la mia preoccupazione principale» risponde Fratoianni.
«Alle prossime amministrative in moltissime realtà abbiamo realizzato alleanze con il Pd e con il M5s, che a sua volta pare maturare una posizione ancora diversa sul tema della pace. Noi lavoriamo in termini di prospettiva, abbiamo un obiettivo: primo, evitare che si stabilizzi il quadro politico della grande coalizione; secondo, lavoriamo a contribuire a costruire un quadro più avanzato, penso all’esperienza spagnola, dove fra Podemos e Pedro Sánchez esistono posizioni anche molto diverse sulla guerra, ma dove poi il governo ha garantito per esempio sulla qualità del lavoro un passo in avanti decisivo contro la precarietà cancellando nei fatti i contratti precari».
Unidas podemos è anche l’esperienza a cui si ispira de Magistris. Insieme a France insoumise di Jean-Luc Mélenchon che ha portato a casa un corposo 20 per cento alle ultime presidenziali ed è stato determinante per la rielezione di Macron. Insomma, quella spagnola e quella francese sono due esperienze diverse, ma in entrambi i casi non irriducibili.
Conclude Fratoianni: «Il punto per me è sempre affermare un punto di vista, con intelligenza e serietà, ma anche cercare di fare in modo che abbia la forza di produrre dei cambiamenti, perché se si tratta solo di affermarlo si rischia di essere inefficaci». È il classico rovello di sempre, quello che spacca le sinistre radicali.
A proposito, per Fratoianni non c’è nessun partito in vista: «Il partito della pace o del pacifismo non è la soluzione. Ci sono partiti di pacifisti, posizioni e pratiche pacifiste ma mi pare complicato costringere la pace dentro il perimetro pacifista e non so neanche se sia un’ottima idea. Io sono pacifista, Si ha una posizione chiara, ma un partito è un soggetto politico che ha una proposta complessiva e articolata, che naturalmente sulla pace si misura, ma non solo su quello». E «non mi azzarderei a ipotizzare un automatismo fra la percezione e la valutazione sulla pace e il comportamento elettorale».
Rifondazione nonviolenta
Che poi, in un’altra prospettiva, è la stessa cosa che pensa Maurizio Acerbo, segretario del Prc impegnato a fianco di de Magistris: «Sono convinto che nel paese, nonostante la propaganda pervasiva, ci sia un’opinione diffusa pacifista come la nostra Costituzione. Però prima di preoccuparmi di fare un “partito dei pacifisti” diamoci da fare per fermare la guerra e per un grande movimento per la pace. È urgente una grande manifestazione nazionale a Roma, unitaria, su poche parole d’ordine a partire dal no all’invio delle armi e all’aumento delle spese militari, che contrasti la linea guerrafondaia del governo e del Pd». La propone anche l’Anpi. «Ma non tradurrei la mobilitazione contro la guerra che deve essere al massimo plurale e trasversale con formule elettorali».
Rifondazione comunista nel 2004 è stata attraversata da una riflessione sulla non-violenza, fu la “svolta” dell’allora segretario Fausto Bertinotti. «Il pacifismo è nel nostro Dna da sempre», secondo Acerbo, «a 17 anni ho passato l’estate del 1983 a Comiso a fare i blocchi alla base contro gli euromissili. La tessera 2022 di Rifondazione è dedicata alla nostra compagna partigiana, femminista e pacifista Lidia Menapace. Siamo in tutte le iniziative per la pace e contro la guerra. In tutti i cortei con i nostri striscioni “contro Putin e contro la Nato”.
Il bandierone della pace che spesso viene ripreso da giornali e tv lo porta la federazione di Milano: fu realizzato al tempo della prima guerra del Golfo». Ovvia, dunque, la presenza di Acerbo a “Pace proibita”. Con lui c’era Eleonora Forenza, ex europarlamentare, «l’unica ad andare in Donbass suscitando le ire del governo ucraino nel 2017».
Dalla guerra non nasce un partito, dunque, «ma questa guerra segna uno spartiacque» e per Acerbo quella che si allea con il Pd è «sinistra ornamentale. Non faccio il politicante, anche se l’elettorato fosse indifferente riterrei che lo stop al riarmo e il no alla guerra siano scelte discriminanti. Non capisco come si possa fare il disarmista in alleanza col Pd.
L’Italia è diventata una piattaforma militare degli Usa. I nostri piloti partecipano ai programmi di nuclear sharing della Nato, cioè si addestrano a lanciare atomiche, il ministro Lorenzo Guerini dice che forniremo armi per colpire la Russia. E c’è chi sventolando la bandiera della pace si allea col Pd? C’è bisogno oggi più che mai di una sinistra pacifista».
E questa sinistra avrà nella coalizione popolare di De Magistris il suo riferimento: «Lavoriamo per la convergenza dei movimenti e al tempo stesso per la costruzione di una proposta politica sulla base di un programma, non degli identitarismi. In Italia c’è bisogno di opposizione sociale, di un’alternativa politica, e di un polo informativo e formativo come ci disse Pietro Ingrao nel 1993. Credo che Michele Santoro, Tommaso Montanari e tutte le altre voci che hanno partecipato a “Pace proibita” condividano questa urgenza. Con de Magistris abbiamo governato Napoli, l’unica città a dare attuazione al referendum sull’acqua. In Calabria abbiamo costruito una coalizione che ha preso il 17 per cento. C’è bisogno di un movimento che si presenti alle elezioni ma vada oltre le elezioni».
Prc e Potere al popolo hanno già corso alle politiche insieme. Risultato: 1,13. Poi la lista si sfasciò. Ci riprovano? «Me lo chiede perché vuol far passare l’idea che una proposta di rottura non possa andare oltre l’1 o il 2?» replica Acerbo. «A me sembra che le elezioni francesi e il risultato del nostro compagno Mélenchon dimostrino per l’ennesima volta in un paese europeo che non è detto che si debba rimanere deboli. Non credo nei miracoli ma Neil Young cantava che l’ora più buia è sempre prima dell’alba. Chi avrebbe potuto prevedere che in Cile una coalizione di movimenti e comunisti avrebbe superato al primo turno il centrosinistra storico e conquistato la presidenza?».
Popolo al potere
Finiamo il giro della platea del Ghione con il portavoce nazionale di Potere al popolo, esperienza nata dall’iniziativa o dei ragazzi dell’ex Opg Je so’ pazz di Napoli.
A parlare è Giuliano Granato. «C’è una maggioranza che è contraria alla guerra e all’invio di armi e che continua a esserlo, ma non ha rappresentanza mediatica. L’iniziativa di Santoro ha dato un contributo importante in questo senso. Ma questa maggioranza non ha nemmeno rappresentanza politica.
In parlamento, fatta eccezione per ManifestA, o per il nostro Matteo Mantero al Senato e pochi altri, non c’è nessuno a difendere le ragioni della pace. Sono tutti allineati con Usa e Nato. Questo vuol dire che dobbiamo impegnarci per trasformare questa volontà popolare in movimento organizzato che sappia imporre al governo italiano e a livello internazionale la soluzione diplomatica come unica possibile».
L’impegno con De Magistris c’è: «Stiamo costruendo un fronte che si batta non solo contro la guerra ma per la giustizia sociale».
Ma non si tratta di andarsi solo a cercare una rappresentanza parlamentare: «Potere al popolo è nato per fare tutto al contrario. Dove la politica abbandona i territori, noi apriamo case del popolo. Dove non ascolta le classi popolari, noi proviamo a organizzare le loro lotte. Dove le varie dirigenze di sinistra si sono divise, noi abbiamo provato sin dall’inizio a unire dal basso».
Unire, ma non proprio tutti: «Non si può essere complici con le industrie di morte, con chi bombarda e uccide. Il Pd è la forza che ha più spinto per l’invio delle armi, e quella più subalterna a Washington e Nato.
Come si possa andare con il Pd, il partito che con le sue “riforme” ha distrutto lavoro, scuola e ambiente, è un mistero che si spiega solo con l’opportunismo di pochi e la rassegnazione di molti. Rassegnazione che è aumentata dopo la fine ingloriosa dei Cinque stelle che avevano promesso un cambiamento e sono diventati il partito delle poltrone».
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