La mafia questa volta non si è nascosta. E ha fatto una campagna elettorale, la prima senza Totò Riina e Bernardo Provenzano, in una Palermo che non aspettava altro. Qualcuno parla di un vero e proprio partito di Cosa Nostra sceso nell’arena per conquistare la capitale della Sicilia, più verosimilmente la mafia si è ripresentata ufficialmente al voto andando incontro a una richiesta diffusa, al desiderio di una parte vasta della città che sta chiedendo una “rappresentanza” adeguata dopo la lunghissima stagione di Leoluca Orlando sindaco, simbolo di un’altra Palermo che non avrebbe mai voluto sprofondare dove sta sprofondando.

Ritorno al passato senza padrini

Ora, e proprio a trent’anni dalle stragi, si cambia ancora pagina. C’è una Palermo che vuole quello che c’era prima anche senza gli antichi padrini di un tempo, vuole l’amico in comune, vuole il favore, vuole il patto nascosto. Mai era accaduto negli ultimi anni e così spudoratamente, domanda e offerta che s’incontrano, candidati e boss che vanno a braccetto, tre giorni fa l’arresto di Piero Polizzi di Forza Italia che commerciava in preferenze con uno dei Sansone nel suo comitato elettorale, e ieri l’altro l’arresto di Francesco Lombardo di Fratelli d’Italia che chiedeva sostegno a un capoclan di Brancaccio in una bottega di frutta e verdura.

È un liberi tutti, dai salotti alle borgate, borghesia e i disperati dello Zen o di Corso dei Mille, Palermo che si mescola e non si vergogna più. C’è la mafia ma, soprattutto, c’è tanta voglia di mafia.

L’assalto

Negli ultimi quarantacinque giorni a Palermo non si parla d’altro. Mafia, mafia, solo mafia. E grazie allo spericolato appoggio offerto da Totò Cuffaro all’ex magnifico rettore Roberto Lagalla, che ha incassato anche l’endorsement più discreto ma non meno significativo del senatore Marcello Dell’Utri, due condannati per reati associativi che sono stati gli assoluti protagonisti di questa riconquista di Palermo. Un assalto.

Con il loro candidato che, stasera, probabilmente siederà al posto di Leoluca Orlando, incamerando voti e sostegni dei suoi due eccellenti sponsor. Hanno puntato tutto su di lui, facendo saltare come birilli tutti gli altri candidati sindaci del centrodestra, nomi di peso – Francesco Cascio di Forza Italia, Totò Lentini degli autonomisti di Raffaele Lombardo, Carolina Varchi di Fratelli d’Italia – che pur fuori gioco hanno resistito per settimane con le loro facce sui muri di Palermo.

In corsa sicura e improvvisamente fermati, lanciati al massimo e implacabilmente bloccati. La posta in gioco era troppo alta, tutti e tre costretti a un clamoroso ritiro.

I muri che raccontano

I muri di Palermo in questa campagna elettorale hanno raccontato tanto, da una parte e dall’altra. Nello schieramento delle destre e nello schieramento contro le destre. Un paio di settimane fa i cartelloni comparsi fra il teatro Massimo e piazza Bellini con gli slogan “Forza Mafia” e “Democrazia collusa” accompagnati dai loghi di Foza Italia e della Nuova democrazia cristiana di Cuffaro, poi nel quartiere della Kalsa il volto di Totò Riina e le mani del boss a forma di cuoricino con dentro sempre il logo di Forza Italia, da ultimo il manifesto con sopra le foto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e sotto quelle di Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri, in mezzo la scritta “noi contro voi”.

Nella Palermo sotto scacco dei poteri più vecchi ha trovato spazio per uno show anche l’ex presidente del Senato Renato Schifani. Prima un giudizio sull’ex rettore: «È un gran signore». Poi un altro, temerario, su Silvio Berlusconi: «Se c’era un uomo che meritava l’Oscar alla legalità e all’antimafia, quell’uomo doveva essere Berlusconi». È tutto permesso e tutto è concesso nella Sicilia del 2022.

Dove il candidato di ferro Lagalla è andato avanti come un carro armato, infischiandosene delle denunce di magistrati come Alfredo Morvillo o Luigi Patronaggio e di Maria Falcone, contrattaccando spavaldo a ogni accusa, certo che sarà il nuovo sindaco di Palermo. Blindato, blidatissimo.

Il 23 maggio non ha avuto il coraggio di presentarsi alle commemorazioni in onore di Giovanni Falcone, chissà cosa farà il 19 luglio prossimo quando verrà ricordato Paolo Borsellino e lui avrà addosso la fascia tricolore.

Tante parole, tanto voci, tante grida ma sotto sotto Palermo e la Sicilia si stanno preparando in silenzio a una grande spartizione. Il cambio di passo di Palermo, al di là dei personaggi più in vista di questa campagna elettorale, è determinato dalla necessità di trovarsi al posto giusto quando arriveranno i soldi del Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza. E il posto giusto è al comando di Palermo e della regione siciliana.

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