Papa Francesco svela ai gesuiti slovacchi i giochi del trono papale condotti nell’ombra, ma egli stesso modella la chiesa che gli succederà alla luce del sole: «So che ci sono stati persino incontri tra prelati, i quali pensavano che il Papa fosse più grave di quel che veniva detto. Preparavano il conclave. Pazienza! Grazie a Dio, sto bene», ha detto a La Civiltà Cattolica, pubblicazione dei gesuiti, e alla Stampa.

Con un passato da provinciale gesuita alle spalle, Bergoglio conosce bene le dinamiche di potere e negli anni ha fatto sua la massima attribuita a Ignazio di Loyola: «Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio», dando una sterzata decisiva alla chiesa cattolica, non solo a colpi di motu proprio e spending review.

A immagine e somiglianza

Ci saranno prelati ostili che tramano contro di lui, ma intanto Francesco in otto anni di pontificato ha modellato il collegio di cardinali su personalità affini alla sua. In sette concistori non solo ha ampliato la platea internazionale dei suoi elettori diretti, ma ha anche dato al consesso un’impronta specifica.

Con le nomine del concistoro del novembre 2020, i cardinali elettori da lui creati sono diventati 73 su 128, contro i 39 di Benedetto XVI e i 16 di Giovanni Paolo II. Dal prossimo novembre, avranno perso l’elettorato attivo quattro cardinali creati da papa Wojtyła per il sopraggiunto limite d’età di 80 anni, come prevede il motu proprio Ingravescentem aetatem, emanato da Paolo VI nel 1970: sono Gabriel Zubeir Wako, arcivescovo emerito di Khartoum, Wilfried Fox Napier, arcivescovo di Durban, l’arcivescovo di Sidney, George Pell, e l’arcivescovo emerito di Milano, Angelo Scola. Il vuoto, che a breve sarà colmato, cambierà di poco le caratteristiche di un collegio cardinalizio sempre meno europeo – sono 106 i cardinali dell’Ue – e sempre meno italiano.

Si tratta di un cambiamento sostanziale e repentino per un’istituzione bimillenaria come la chiesa cattolica: ai tempi di papa Pio X nel 1904, i cardinali extraeuropei erano soltanto gli arcivescovi di Baltimora e Sidney.

Giochi di ruolo

Le nomine cardinalizie rispecchiano l’identità che Francesco intende dare alla chiesa del futuro, sempre più attenta ai problemi sociali, decentrata da Roma e distante da posizioni conservatrici.

Il pontefice traduce il pensiero in azione, per esempio non assegnando la porpora a sedi italiane vescovili e “cardinalizie” per tradizione, come Torino, Milano, Venezia o Palermo. Viceversa, ha creato cardinali vescovi di sedi estranee come Perugia, L’Aquila e Agrigento.

Questa tendenza vale anche sul piano globale. Nelle Filippine, il papa ha creato una sede cardinalizia nell’arcidiocesi di Capiz, affiancandola a quelle storiche di Manila e Cebu. Per la prima volta sono stati fatti cardinali in Ruanda e in Brunei, l’ex protettorato del continente asiatico dove ancora viene applicata la sharia.

Papa Francesco ha scelto in sintonia con la sua idea di chiesa missionaria. Fra questi, spicca il cardinale gesuita Michael Czerny – elevato da sacerdote a cardinale in un colpo solo – che si occupa di migranti e rifugiati nel Dicastero per lo sviluppo umano e integrale, ma anche nomi che più si sono spesi nel dialogo interreligioso, come l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, primo cardinale della comunità di sant’Egidio.

Pur di trovare personalità a lui affini, il papa non teme di pescarle dai sacerdoti, come il frate Raniero Cantalamessa, incarnazione della teologia del popolo tanto cara a Bergoglio, o volti simbolo delle periferie del mondo, come il vescovo di Huehuetenango, Álvaro Ramazzini Imeri, o Juan de la Caridad García Rodríguez, arcivescovo dell’Avana.

Anche in un paese apparentemente influente come gli Stati Uniti Francesco nomina porporato un volto dalla forza centrifuga, come Wilton Gregory, primo cardinale afroamericano, già presidente dei vescovi statunitensi ai tempi della scoperta degli abusi nell’arcidiocesi di Boston, e vero freno alla scalata curiale dell’arcivescovo di New York, il cardinale Timothy Dolan.

In un quadro del genere, le cordate malevole e conservatrici a cui fa riferimento il papa si scontrano inevitabilmente con un vasto esercito di fedelissimi distribuito con cura per presidiare la fortezza.

Una rivoluzione dal basso

Papa Francesco sta modellando una chiesa a sua immagine non solo tra le figure apicali della Santa sede, ma anche dal basso. Negli ultimi anni, non solo ha chiuso canali di dialogo tradizionali, ma ha imposto trasferimenti ed equilibrato nomine a rinunce. Alla guida di un’area delicata come la diocesi di Hong Kong, ha posto il provinciale dei gesuiti in Cina, Stephen Chow, nella speranza di mitigare le voci che sono più avverse alla sua apertura con Pechino, come il cardinale Joseph Zen.

Fra le mura leonine, la scelta di vivere tra gli anziani inquilini di Casa santa Marta è bilanciata da nomine riservate e non convenzionali, come don Fabio Salerno e padre Gonzalo Aemilius, rispettivamente segretario personale e particolare del papa. Non mancano personalità nuove, come il sacerdote veneto don Marco Pozza, volto televisivo di Tv2000 e ombra della comunicazione mainstream del papa via tv e stampa.

È passato poco tempo dalla prima guida di un laico come Paolo Ruffini al dicastero della Comunicazione, perché Francesco gli affiancasse il giovane sacerdote Luigi Maria Epicoco, nominandolo direttamente assistente ecclesiastico ed editorialista de L’Osservatore Romano, il quotidiano vaticano che – come specifica il portale Il sismografo – ha già nel direttore Andrea Monda il suo editorialista.

 

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