Dopo lo schiaffo ricevuto in Europa, la giornata in parlamento a difendere un testo vuoto. I falchi meloniani suggeriscono un cambio della guardia al Mef a favore del suo vice Leo
Nemmeno il calendario è stato clemente con Giancarlo Giorgetti. Il ministro dell’Economia, dopo la sconfessione del governo sul patto di Stabilità in Europa, ha dovuto subito presentarsi in parlamento per il voto sul Documento di economia e finanza (Def), a cercare di salvare il salvabile anche davanti all’opinione pubblica. Il ministro dell’Economia stesso ha dovuto prendere le distanze dall’intesa che ha firmato in Europa. «Il Patto di stabilità è un compromesso. Non è la proposta italiana e la proposta che il sottoscritto ha portato avanti da un anno e mezzo. Ma è comunque un passo in avanti», ha detto alla Camera.
Ha dovuto metterci per forza la faccia. Surreale, però, che abbia parlato di un patto di stabilità, approvato in Europa, omettendo un elemento non secondario. È mancato il sostegno dell’intera maggioranza di governo che ha optato per l’astensione. Antonio Tajani, da navigato moderato, ha cercato un rattoppo: «L’astensione significa che questo patto si può migliorare, ed è giusto che si possa migliorare».
Fratelli di Mef
La giornata di Giorgetti tra Montecitorio e Palazzo Madama, per il via libera al Def, ha fatto paio con il “martedì nero” del ministro dell’Economia, sfiduciato in Europa dai partiti del governo e costretto a battagliare con gli appetiti di Fratelli d’Italia sul bonus tredicesima, la mancetta voluta da Meloni e pianificata dal viceministro, Maurizio Leo.
La presidente del Consiglio vuole inserirla nel nuovo decreto attuativo della riforma fiscale e sventolare l’iniziativa durante la campagna elettorale per le Europee. L’operazione è stata stoppata da Giorgetti in persona, con l’ausilio dei tecnici. Al Ministero hanno detto chiaro e tondo che occorre reperire le risorse. Una missione complicata.
Il progetto, in qualche modo, andrà in porto, ma solo con il placet del ministro, intenzionato a tenere in ordine i conti. Almeno per quanto possibile. La vicenda, però, è il termometro degli umori nella coalizione di governo: Palazzo Chigi vuole di più, non basta gestire l’esistente. E per questo motivo c’è chi spinge per un cambio di passo, e soprattutto di persone, al Mef.
Non è più un mistero che una parte di Fratelli d’Italia vedrebbe di buon occhio un proprio esponente a via XX Settembre. E chi meglio dell’attuale viceministro, Leo? L’ipotesi è caldeggiata a Palazzo Chigi dai falchi meloniani, a cominciare dal sottosegretario, Giovanbattista Fazzolari, sempre molto ascoltato dalla presidente del Consiglio. La voce rimbalza da qualche settimana nei Palazzi. L’operazione-bonus è una conferma nella sostanza degli obiettivi. Così sembra tutto facile. Bisognerà eventualmente garantire una exit strategy a Giorgetti senza dare l’impressione che sia uno sgarbo a Bruxelles, dove comunque il ministro leghista ha buoni uffici, grazie anche agli antichi rapporti con Mario Draghi.
La soluzione è un ruolo di commissario a Giorgetti in Europa. Il problema sarebbe convincere Raffaele Fitto, Mr. Pnrr pensa che il volo solo andata per Bruxelles spetti a lui per meriti sul campo. Ovvero aver arato il campo del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Giorgetti non è tipo che manifesta pubblico dissenso, ha le spalle larghe. Lascerebbe l’Italia per l’Ue senza batter ciglio. Chi lo conosce lo descrive come «stanco» e «insofferente» di fronte a una certa miopia delle forze politiche di governo.
Ha i conti del paese in mano e sa bene quale sia la polveriera da qui ai prossimi anni, mentre i leader, a cominciare quello del suo partito, Matteo Salvini, pretendono costose riforme. Un esempio? Quella delle pensioni che per il ministro è impossibile da fare, nelle condizioni attuali. Giorgetti sarebbe pronto a vivere il passaggio al ruolo di commissario come una promozione, non certo come una punizione. Sarebbe un sollievo prendere le distanze dalle beghe politiche nostrane, comprese quelle del suo partito destinato a un duro scontro dopo le Europee. Solo che al Mef vedono l’opzione come un azzardo.
La promozione di Leo farebbe inarcare più di qualche sopracciglio in Europa: l’attuale viceministro non è molto conosciuto «nemmeno fuori dal raccordo anulare», ironizza un deputato di maggioranza, lato Forza Italia. Un avvertimento a evitare forzature. Nel partito ddi Tajani vedono Giorgetti come una garanzia.
Def vuoto
Nell’attesa di capire il futuro post Europee, il ministro dell’Economia ha dovuto illustrare in parlamento i contenuti del Def, che di fatto non ci sono. «Nessuno governo si è mai sognato di presentare un Def in bianco», ha commentato tra lo sconsolato e lo stupido il deputato di Alleanza verdi-sinistra, Marco Grimaldi. Giorgetti ha distolto l’attenzione dalla mancanza di contenuti, prendendosela con il bersaglio preferito: il Superbonus. «Un mostro che ha distrutto le condizioni della finanza pubblica in questi anni e nei prossimi a venire», ha osservato il ministro.
La risoluzione di maggioranza sul Documento è stata lo specchio del vuoto programmatico. Nei fatti non c’è alcun impegno, se non quello di presentare la Nota di aggiornamento al Def ben dopo il voto di giugno. Il minimo sindacale. «Manca una bussola, una visione oggi sarebbe ancora più importante di fronte alla situazione geopolitica. Questa discussione di basso profilo rappresenta un fallimento del governo», ha sintetizzato Daniele Manca, senatore del Pd. Insomma, la navigazione del governo è a vista.
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