Dopo le parole “trumpiane” di Conte, la rottura con M5s «non è sul tavolo», ma certo sul tavolo del centrosinistra c’è una «verifica dei valori comuni», spiega Alessandro Alfieri. E c’è una discussione «seria» sulla spesa militare
La conversazione sulla difesa comune europea non sarà un pranzo di gala, neanche dentro il Pd, figurarsi con gli alleati Cinque stelle. Il nuovo coordinatore di Energia Popolare Alessandro Alfieri chiede maggiore protagonismo «dei riformisti nel Pd». Tradotto: fuori la voce, e la cultura di governo.
Varesino, cinquantenne, già segretario del Pd lombardo, diplomatico prima di scegliere la politica, prima di tutto spiega che «preoccupa che il lepeniano Bardella abbia annullato la sua partecipazione al Cpac, e Meloni l’abbia mantenuta. Nessuno le chiede di non avere rapporti con l’amministrazione Usa, il punto è se lei si accontenta di fare il junior partner di Trump, che la utilizza per i suoi fini politici, o se vuole usare questo rapporto positivo a vantaggio dell’Europa. Oggi o si è capaci di tenere insieme i principali attori europei o non si gioca nessuna partita. Sabato in collegamento con il Cpac ha provato a galleggiare, ma presto serviranno scelte coraggiose».
L’Ue si è messa fuori gioco da sé?
Non abbiamo parlato con una voce sola. Ma era inevitabile, perché nella Ue ci sono tre posizioni diverse: quella di Orbán e Fico, che guardano alla Russia e oggi inneggiano a Trump, quella dei baltici e i polacchi, preoccupati dal vicino russo, e quella dei paesi fondatori, Italia, Francia, Germania, Spagna e altri interessati a coltivare una posizione comune. Con loro l’Italia dovrebbe prendere un’iniziativa per fare un salto di qualità nella costruzione di una politica estera e di difesa comune. È l’unica strada, altrimenti l’Ue non conterà nulla nella definizione del nuovo ordine internazionale, che la Cina e gli Usa stanno ridisegnando.
Ma come si fa, a veti vigenti?
Serve il coraggio di far saltare il tabù dell’Europa a 27, possiamo stressare le cooperazioni rafforzate, ma ormai bisogna agire fuori Trattato come si fece all’inizio con Schengen e con l’euro. Con chi ci sta.
Una “difesa comune” è lo slogan in cui si rifugia il Pd. Che significa in concreto? La Nato c’è ancora.
Serve il pilastro europeo, serve la nostra autonomia strategica per parlare da pari agli Usa. Si può fare se investiamo nella convergenza delle industrie della difesa europea, in prospettiva in un esercito europeo, nell’interoperabilità dei sistemi adottati dagli Stati maggiori. È un lavoro complesso, ma va iniziato. È il motivo per cui insistiamo perché questo avvenga in un programma di finanziamento per l’autonomia strategica Ue che metta insieme energia, politiche industriali e di difesa.
Servono molti soldi, però.
Sì, la strada maestra è il debito comune, sappiamo che è difficile trovare il consenso ma vale la pena costruire delle alleanze. L’alternativa di cui si parla adesso sono le deroghe al patto di stabilità.
Il Pd è d’accordo?
Intanto tecnicamente non è facile, non è come per il Covid, lì era una deroga su tutto il Patto, qui solo sulla difesa. Si useranno le clausole nazionali. Ma se non vengono messe condizionalità, il rischio è che aumentino i bilanci dei singoli paesi e, siccome non abbiamo una base industriale e tecnologica europea sufficiente, andremo a comprare dai fornitori esteri, da cui oggi dipendiamo per l’80 per cento. Per i due terzi sono fornitori americani. Quindi si aumenterebbe la dipendenza strategica dagli Usa anziché diminuirla. Le condizionalità legate alle deroghe devono perciò servire ad incentivare collaborazioni industriali fra paesi europei e programmi in ambito comunitario.
Traduco: quando Trump chiede di aumentare le spese Nato chiede in realtà di comprare armi Usa?
Se non metti condizionalità all’aumento dei bilanci per la difesa, finisci per comprare in gran parte sistemi d’arma e tecnologia americane. E i soldi andranno alle varie Lockheed Martin, Space X, Raytheon. Serve riequilibrare.
Comunque l’aumento delle spese militari ci sarà. Il Pd dirà sì?
È iniziata una discussione seria e approfondita su cosa significa oggi investire in difesa. I dispositivi d’arma sono solo una parte, oggi servono i satelliti, che sono tecnologia dual use, servono per i militari ma anche per la lotta ai cambiamenti climatici, all’industria, alla navigazione, alle comunicazioni. Servono investimenti tecnologici e assunzione di esperti per la cybersicurezza. Nel 2024 abbiamo avuto più di 50mila attacchi al sistema Italia. Reclutare giovani che affrontino questa guerra ibrida è complicato per la concorrenza del settore privato. E poi c’è il polo nazionale subacqueo: il 98 per cento dei dati passa dai cavi appoggiati sui fondali dei mari e degli oceani, dove sono presenti anche infrastrutture energetiche. Sabotaggi sono all’ordine del giorno. Per la sorveglianza e la riparazione servono mini sommergibili, rov e droni subacquei.
Dunque qual è la posizione del Pd?
Questa consapevolezza nel Pd sta crescendo. È evidente che va costruita una narrazione, gli investimenti vanno inseriti nella nostra missione generale, quella dell’autonomia strategica del Paese e dell’Unione.
Ma Conte dice no all’aumento della spesa militare.
Si possono avere idee e sensibilità diverse. Per costruire un’alleanza devi lavorare intanto su ciò che ci unisce, rafforzando il nostro lavoro sull’agenda sociale economica, che già facciamo nelle aule parlamentari. Ma sulla politica estera e sulla sicurezza si esprime un sistema valoriale: nel momento in cui il principio della difesa delle democrazie e dell’Europa viene messo in discussione, serve chiarire. Se si legittima l’aggressione di Putin e si mette in discussione il diritto delle democrazie di rispondere, il Pd non può stare zitto.
C’è stata «una folle escalation militare» sull’Ucraina?
No. Abbiamo risposto a un’aggressione brutale di una potenza nucleare, permettendo all’Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa come prevede l’art.51 della Carta dell’Onu. Dopodiché il sostegno all’Ucraina è ancora più importante mentre cerchiamo di arrivare a una pace in cui gli ucraini possano dire la loro.
Morale: Pd e M5s sono distanti. Il centrosinistra può fare a meno di M5s, o il Pd può rinunciare a Kiev?
Nessuno dei due. La sfida epocale di Trump rischia di asfaltare l’ordine internazionale, mettere in discussione le istituzioni multilaterali e minare il percorso dell’integrazione europea. Sulla politica estera si misura la capacità di parlare agli altri paesi e alle classi dirigenti, quindi di essere un'alternativa di governo credibile.
Renzi dice: l’alleanza di destra non si basa sulla politica estera. Potreste fare così anche voi?
No, è un punto su cui dovremo trovare una sintesi se vogliamo governare insieme, non si può far finta di niente. Tanto più in questa fase storica, serve un’idea condivisa di come vogliamo stare in Europa e nel mondo.
Correre da soli con un accordo minimo all’uninominale è una strada?
L’elettorato di centrosinistra ha bisogno di momenti unitari. Quando l’abbiamo fatto, anche nelle regionali, il Pd è stato premiato per la capacità di tenere tutti insieme. E poi con una destra che litiga ma al voto sa riconoscere la leadership di Meloni, noi ci presentiamo con sei o sette leader che dicono cose diverse? Abbiamo il dovere di costruire una proposta unitaria, e dare il messaggio che siamo pronti a governare.
Oggi, se ci fosse il voto anticipato, non sareste pronti. Siete in ritardo?
Non penso che accada, dunque non siamo in ritardo. Se succedesse penso che il metodo che ho indicato si può seguire anche a tappe accelerate. Dovremmo in ogni caso affrontare i temi divisivi.
Schlein ci ha messo giorni a rispondere a Conte. Ha fatto bene?
La segretaria del Pd ha il compito più complicato e faticoso di tenere tutto insieme. Siamo il principale partito, lei deve metterci un di più di generosità e responsabilità.
Quindi Conte attacca e il Pd offre l’altra guancia?
No, è giusto mettere paletti, innanzitutto valoriali: la difesa delle democrazie liberali e l’appartenenza all’Ue non possono essere messi in discussione, né barattati in cambio di un’alleanza pur che sia. È un tratto identitario del Pd. Per quello i riformisti del Pd hanno fatto sentire la loro voce.
Sul tavolo dei riformisti c’è o non c’è la possibile rottura con M5s?
Non c’è. C’è la necessità di una verifica della condivisione dei valori di fondo. Di mettere dei paletti. L’alleanza è inevitabile, se vogliamo tornare a governare dobbiamo mobilitare l’elettorato più largo possibile. Questo fanno i partiti responsabili.
Calenda vi ha dato un ultimatum: o con M5s o con lui.
Non è tempo di veti, abbiamo una destra che sta facendo danni in Europa e non solo, non possiamo gettare la spugna: confrontiamoci tutti insieme anche sui punti divisivi. Vogliamo lasciare il paese a Delmastro, Santanchè e Salvini? Se la risposta è no, sappiamo che serve una fatica in più.
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