- Quattordici a quattro, il leader del Pd parla di «trionfo», vince la sua linea: il neodeputato deve però subito smentire che la vittoria lo porterà a spingere sui tempi per anticipare il voto.
- Ora il segretario Enrico Letta deve negare l’intenzione di voler andare al voto anticipato e prepararsi alla scelta delicata del nuovo Colle, in programma per febbraio.
- Con questa conferma, le correnti sanno che dovranno fare i conti con questo segretario fino alle prossime politiche. Letta può tentare la mission impossible di comporre una coalizione con il M5s “ma anche” Renzi e Calenda.
«Dopo una vittoria così superiore a qualsiasi aspettativa, che va oltre il voto per le città, potremmo avere interesse ad andare subito al voto nazionale per cogliere l’onda. Ma la nostra forza è il fatto di non andare dietro a interessi di parte. Quindi dico che questo voto rafforza il governo Draghi». A risultati delle amministrative non ancora ufficiali, ma già esaltanti per il centrosinistra, il segretario Pd, Enrico Letta, deve fermare un “retroscena” che subito va in circolo. È l’ipotesi che il nuovo peso specifico politico guadagnato dai democratici, in combinato con le difficoltà certificate delle destre, consigli il leader a spingere per il passaggio al Colle del premier Draghi.
E a puntare sullo scioglimento anticipato delle camere. Letta deve spiegare che non è così, perché ci sono ancora molte riforme da portare a termine per non perdere i fondi del Pnrr, dunque a Draghi chiede «di andare avanti per tutta la legislatura». La tornata delle comunali ha rafforzato il centrosinistra e dentro il Pd il risultato ha rafforzato il segretario. La precipitazione verso il voto avrebbe l’effetto di una doccia fredda, innanzitutto per i parlamentari. E non è quello che ha in testa Letta. Che oggi farà il suo primo giorno da deputato. Aveva lasciato Montecitorio con amarezza nel luglio 2015, un anno dopo la defenestrazione da palazzo Chigi da parte di Matteo Renzi.
La destra sconfitta
Certo, Matteo Salvini sembra un pugile suonato quando ai cronisti spiega che la destra ha più amministrazioni degli avversari e continua ad attaccare la ministra Luciana Lamorgese per i fatti di Trieste. La strategia di una Lega di lotta più che di governo non ha pagato. Anche Giorgia Meloni ha perso tutto il suo smalto e forse le sue ambizioni quando parla di elettori «disorientati». Forza Italia porta a casa una piccola vittoria morale.
I candidati azzurri vincono, a Trieste e in Calabria. Dall’altra parte dello schieramento Letta si fa i complimenti: 14 comuni capoluogo contro i 4 del centrodestra, Roma e Torino tornano “a casa”. «Ha pagato aver scelto i migliori candidati, l’unità del centrosinistra ma anche il lavoro fatto al governo e la chiarezza su vaccinazioni e green pass». Promette di «studiare bene i dati del voto».
Ma è già chiaro che nella disaffezione al voto, con un’affluenza al secondo turno che non arriva al 44 per cento, il centrosinistra è riuscito giusto a riportare al voto la maggior parte dei suoi elettori. È il risultato che ha consentito a Roma la vittoria di Gualtieri che stacca di più di venti punti Enrico Michetti, 60 per cento a 40.
Un risultato frutto di tanti elementi, non sempre in armonia fra loro, come si capisce dal colpo d’occhio del festeggiamento che nel tardo pomeriggio si celebra a piazza Santi Apostoli, la storica piazza dell’Ulivo: la foto della vittoria è quella in cui sul palco ci sono anche Letta e Nicola Zingaretti, il presidente della regione Lazio.
Nei numeri della capitale ci sono risultati promettenti: la coalizione vince in 14 municipi su 15 (e il minisindaco dell’VIII Amedeo Ciaccheri passa con oltre il 70 per cento). Da segnalare gli auguri della sindaca uscente Virginia Raggi e l’annuncio di un «sostegno leale nelle battaglie che avranno a cuore Roma». I Cinque stelle non entreranno in giunta, ma il tono è dialogante. Da questo ballottaggio il movimento ha poco da festeggiare, se non la certificazione dell’irresistibile discesa anche nelle città.
È andata bene anche a Torino, dove Stefano Lo Russo, candidato non certo amico dei Cinque stelle, fino a un mese fa era dato per perdente e invece guadagna il 59,2 contro il 40,8 del “moderato” Paolo Damilano. A Cosenza vince il Caruso di sinistra (Franz) contro quello di destra (Francesco). A Latina resiste Damiano Coletta, il sindaco civico che mantiene la roccaforte storica della destra laziale. La coalizione vince a Caserta, a Isernia, a Savona, mantiene persino Varese, culla del leghismo.
La cautela
I dati assoluti raffredderanno gli entusiasmi. Letta ammette di saperlo quando parla di «elementi che impongono di stare con i piedi per terra»: l’astensionismo e la penosa mancanza di sindache. Per oggi la sua prima scommessa è vinta, sulla linea «di marzo», cioè quella su cui è tornato dalla Francia a fare il segretario, spiega al Nazareno mentre si prepara alla conferenza stampa: «Sostegno leale e responsabile al governo Draghi, unità del Pd e del centrosinistra e della coalizione allargata ai Cinque stelle».
Le correnti sanno che dovranno fare i conti con questo segretario fino alle prossime politiche. Letta può tentare la mission impossible di comporre una coalizione con il M5s “ma anche” Renzi e Calenda. Prima però c’è il prossimo esame, che vale la laurea da candidato premier della coalizione: mettere insieme «una larga maggioranza» per il successore di Sergio Mattarella.
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