- La proposta dell’ex presidente dem: «È solo una proposta di normalissimo buon senso.È stallo, scopriamo le carte e vediamo chi non è d'accordo».
- Sì di M5S (ma non di Conte), dal Nazareno la preoccupazione che non diventi un’iniziativa di parte.
- Dal Quirinale non trapela nulla. Chi conosce Sergio Mattarella sa che la sua determinazione è quella di non parlare fino a che non arriverà il suo successore. E che non saranno queste iniziative a fargli cambiare idea.
Giocano d’anticipo i Giovani turchi, una delle (tante) correnti della sinistra del Pd, ufficialmente la più autonoma dal segretario ma anche la meno propensa alla riunificazione con le altre “anime” provenienti dalla stessa matrice politica. Ieri Matteo Orfini, deputato ed ex presidente del partito, ha confermato, e in qualche modo anche ufficializzato, una proposta che del resto aveva già fatto nei giorni scorsi anche davanti ai cronisti: il prossimo 13 gennaio, alla riunione della direzione del partito con i gruppi parlamentari, l’area proporrà al segretario Enrico Letta di chiedere al presidente Sergio Mattarella di rendersi disponibile a un secondo mandato. Quella di Orfini e compagni è una mossa da tenere in particolare considerazione. Fu proprio Orfini, all’inizio del 2013, ad avere i riflessi più pronti nei giorni dello stallo delle elezioni al Colle (quelli della bocciatura di Franco Marini e dei 101 voti mancanti a Romano Prodi) chiedendo per primo la rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale. Oggi l’iniziativa smuove le acque stagne della campagna per il Quirinale. Orfini minimizza: «È solo una proposta di normalissimo buon senso, la faremo consapevoli che non si può portare avanti troppo questa situazione di stallo, così presto tutti dovranno giocare a carte scoperte. Vediamo chi può dire di non essere d’accordo».
Come nel 2013
Dal Quirinale non trapela nulla. Chi conosce Sergio Mattarella sa che la sua determinazione è quella di non parlare fino a che non arriverà il suo successore. E che non saranno queste iniziative a fargli cambiare idea. E il suo staff inizia a organizzare gli scatoloni per il trasloco.
Eppure anche stavolta, come nel 2013, i Giovani turchi pronunciano a voce alta un ragionamento che circola abbondantemente fra deputati e senatori, che dal 24 gennaio diventeranno grandi elettori. Nei giorni scorsi era già stato espresso dai deputati Stefano Ceccanti, Walter Verini e Andrea Romano. A titolo personale, anche se due dei tre sono vicini alla corrente riformista del ministro Lorenzo Guerini, per timore che la proposta venga bollata come una battaglia di corrente e perda il suo potenziale di consenso.
Al di là delle sfumature diverse, il ragionamento è questo: la pressione su Mario Draghi perché resti a palazzo Chigi conduce “naturalmente” sulla strada di una analoga richiesta al capo dello stato di restare al suo posto. Se la motivazione con cui la prima viene fatta è l’emergenza pandemica – ieri i nuovi contagiati sono stati 189.109, 231 le vittime – la richiesta di stabilità vale tanto più all’indirizzo del secondo. E di certo – è il finale implicito – piacerà anche a Draghi continuare ad avere al Colle il presidente che lo ha chiamato nella situazione drammatica dello scorso anno. Dal Quirinale fin qui sono arrivati molteplici e all’apparenza definitivi segnali di indisponibilità. Ma se l’appello a restare dovesse arrivare da tutti i leader politici, e magari anche dai presidenti delle regioni, proprio come successe nell’aprile del 2013, difficilmente Mattarella potrebbe sottrarsi.
Il segretario del Pd non parla direttamente. Ma non si può dire che dal Nazareno arrivino reazioni davvero irritate. Il profilo di Mattarella, ma è un’ovvietà, coincide più che perfettamente con l’identikit del candidato al Colle che più volte il segretario Letta ha tracciato. Semmai la preoccupazione è quella di non strumentalizzare la figura del presidente della Repubblica, la cui rielezione rischierebbe così di apparire come una proposta di parte (giallorossa).
Ma la conferma di un partito che discute non dispiace al segretario. E infatti sono piani i toni che usa Enrico Borghi, molto vicino a Letta: «Il 13 gennaio dobbiamo costruire unitariamente un metodo condiviso», spiega e «l’unità del partito è una precondizione essenziale per condurre un lavoro positivo nell’interesse del paese. Solo dopo una scelta comune ci si potrà aprire al confronto con le altre forze politiche avendo come obiettivo l'individuazione di una personalità in grado di raccogliere il consenso più ampio possibile». Meno indulgente Nicola Oddati, a sua volta coordinatore di un’altra area di sinistra, che si chiama Prossima ed è composta in prevalenza da ex zingarettiani (senza Zingaretti): «Che le aree politiche del Pd annuncino posizioni precostituite sull’elezione del presidente della Repubblica prima della riunione della direzione e prima di avere ascoltato la relazione del segretario, è proprio sbagliato».
Tenere insieme il M5s
Eppure la fuga in avanti, viene spiegato dal lato dei Giovani turchi, era necessaria per evitare che l’iniziativa fosse lasciata in mano un gruppetto di senatori M5s. Dalla richiesta dell’impeachment contro l’attuale capo dello stato, nel 2013 all’epoca della bocciatura dell’indicato ministro Paolo Savona, il movimento ormai è diventato fan del bis di Mattarella. Da palazzo Madama infatti si levano voci di condivisione. «La nostra non è stata una boutade, ma una proposta valutata in molti aspetti. Ed ha il pregio di essere una proposta ragionevole», spiega un senatore grillino. «Se fosse una proposta perdente nessuno ci avrebbe perso tempo e invece sono già arrivati i primi segnali come quelli di Francesco Verducci (senatore e portavoce dei Giovani turchi, ndr) e Matteo Orfini. Siamo sicuri che arriveranno adesioni anche dal centrodestra». È già arrivata quella del leghista sui generis Roberto Maroni, dalle pagine del Foglio. Non manca una nota di polemica interna: «Chi dice che siamo solo in sei o sette fa una guerra stupida e inutile: siamo la maggioranza dei senatori e questa proposta è l’unica che può tenere insieme tutto il M5s».
C’è del vero in queste parole. Il Mattarella bis non è fra i desiderata del presidente Giuseppe Conte. Che però ha perso il bandolo dei gruppi parlamentari, ammesso che mai l’abbia avuto in mano. E così si guadagna l’ennesimo sfottò di Matteo Renzi, che sulla sua enews gli riserva quella che ormai è una rubrica fissa: «E dire che Conte aveva appena annunciato, con grande enfasi, che avrebbero sostenuto la candidatura di una donna. La verità è che Conte nei Cinque stelle non controlla più niente».
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