- L’ipotesi di urne anticipate non piace al segretario e manda in fibrillazione le correnti dem. Bettini vuole il premier al Colle, ma nel suo partito ormai è un tabù.
- I “boatos” sul congresso nel 2022 sono formalmente smentiti da tutti. Ma significano che le correnti cominciano a rassegnarsi alla segreteria di Letta. Si aspetta dunque il 17 ottobre, la fine delle amministrative.
- Il ministro Giorgetti confida ai supi: «Draghi sarà per la Lega quello che Dini fu per la sinistra», baciare il rospo in cambio delle credenziali europee per andare al governo.
Di noleggiato c’è solo un bancone il resto dell’arredo e dei mobili è recuperato dai circoli del senese, «reinventato, rigenerato», spiegano. Oggi viene inaugurato il comitato elettorale di Enrico Letta a Siena, a piazza Matteotti, per le suppletive nel collegio «Toscana 12». Parola d’ordine sobrietà, per non dire direttamente risparmio. «Arredo sostenibile», lo definiscono dallo staff, per non dare idea di spreco né di uno stile ‘romano’. Ieri il segretario è stato a Cetona e Chiusi, e prima e dopo i due comizi ha incontrato decine di persone, quasi tutte alla spicciolata, nel tentativo evidente di recuperare anche un voto alla volta.
Sulle prossime amministrative, dal Pd l’invito naturalmente è a non sottovalutare nessuna sfida, e a fare gli scongiuri. Milano e Bologna vengono considerate le piazze meno complicate; Siena, Roma e Napoli le più combattute; Trieste e Torino quelle in cui servirebbe un mezzo miracolo. Nel capoluogo piemontese in particolare – dove ieri si è svolto il primo confronto fra candidati – il centrosinistra deve fare i conti con un candidato, Stefano Lorusso, da sempre nemico dei Cinque stelle, ma anche con una fetta di elettori liberal che si è schierata con il centrodestra del ‘moderato’ Paolo Damilano.
Il precedente di Dini
Eppure per il Pd il segnale che la ruota delle comunali potrebbe girare nel verso giusto arriva dai movimenti sussultori interni. Goffredo Bettini, come in altre occasioni, ha ‘steccato’ dal coro dem e invitato il partito a sostenere Mario Draghi all’elezione del Colle. Letta chiede solennemente il contrario, e cioè che Draghi resti a palazzo Chigi fino al 2023, ovvero fino alla fine naturale della legislatura; cosa che ha come corollario implicito il fatto che Sergio Mattarella accetti un secondo mandato.
Ma contro il voto anticipato in parlamento c’è una maggioranza quasi pari a quella che sostiene il governo. E nel Pd, Bettini a parte, il tema è persino tabù. Tutte le correnti, unite come mai, dichiarano inverosimile l’ipotesi di Draghi al Colle e un ‘suo’ uomo (non una donna, Marta Cartabia non è più della partita) a palazzo Chigi per un altro anno: «Dal Quirinale Draghi sarebbe una garanzia per l’Italia, ma non potrebbe agire da leader europeo, ai tavoli ci va il premier non il presidente della Repubblica».
Eppure le parole di Bettini e l’ipotesi del voto anticipato hanno fatto sobbalzare la corrente Base riformista. Perché non sono davvero ostili al segretario in carica, anzi presuppongono che sia lui a portare il partito alle urne. Urne che convengono anche alla Lega “di governo”, sempre più insofferente a Salvini. Come ha spiegato a un collega di partito il ministro Giancarlo Giorgetti, «Draghi sarà per la Lega quello che Lamberto Dini fu per la sinistra». Paragone non banale: nel 1995 la sinistra – Pds e Popolari – “baciò il rospo” ricavandone in cambio le carte in regola per andare al governo, cosa che avvenne nel 1996 con Romano Prodi. Così potrà essere Draghi per la Lega. A patto che le elezioni arrivino a stretto giro.
Paura di votare
E qui arriviamo al secondo segnale per Letta. È bastato un aggiustamento formale dello statuto, votato online dall’assemblea nazionale il 3 settembre, per scatenare il panico interno. Lo statuto prevede nei fatti che il congresso venga indetto sei mesi prima della scadenza del mandato del segretario, che è il 17 marzo 2023. Tanto è bastato a far circolare l’ipotesi di un congresso anticipato, di fatto una mezza minaccia per il segretario. Beghe da cretinismo parlamentare? No, perché se la legislatura dovesse andare avanti fino a scadenza naturale, a gennaio del ‘23 si chiuderanno le liste per le politiche. E se Letta scavalla le elezioni amministrative, il passaggio del Colle e le amministrative del 2022, si guadagnerà i galloni per gestire le liste per le politiche. I “boatos” sul congresso anticipato sono formalmente smentiti da tutti. Ma significano che le correnti cominciano a rassegnarsi alla segreteria di Letta. Si aspetta dunque il 17 ottobre, la fine delle amministrative. Fino ad allora terrà il low profile anche Stefano Bonaccini, il presidente dell’Emilia Romagna e candidato in pectore degli ex renziani alla segreteria, che comunque ha trascorso l’estate a caccia di consensi in un tour nazionale, con la scusa della presentazione del suo libro. Al Nazareno si spiega che «parlare di Congresso oggi è lunare. Tutto il partito e tutte le aree culturali sono impegnate in una campagna elettorale che tra amministrative, regionali e suppletive coinvolge milioni di elettori. E il centrosinistra è competitivo ovunque. Parlare di conte e liste per i posti in parlamento è uno schiaffo ai militanti». Oltreché al segretario.
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