Dopo la spaccatura 11 a 10 al parlamento europeo sul Libro bianco della difesa, il Pd è un far west. E come in un western l’epilogo rischia di essere un duello alla Mezzogiorno di fuoco: da una parte la segretaria Elly Schlein, che non intende arretrare di un passo, dall’altra – sul fronte riformista – il nome non è ancora chiaro. Ad oggi rimane formalmente quello del presidente Stefano Bonaccini, ma il riflettere interno fa balenare sempre più spesso quello di Paolo Gentiloni, e altri pretendenti non hanno ancora alzato la testa.

Del resto è proprio contro Bonaccini che il Nazareno in questo momento medita la resa dei conti. Il suo sì al riarmo europeo, in rottura con la linea della segreteria, è stato quello più pesante e anche quello che Schlein ha vissuto più come un affronto personale. Del resto, l’eurodeputato emiliano era stato sì il suo avversario al congresso, ma la segretaria era convinta che il patto di non belligeranza tenesse.

«Che immagine dà il presidente di un partito che vota contro la sua segreteria?» è la domanda che si ripete tra i ranghi di Schlein. Anche perché – viene ricordato – tutte le ultime relazioni in assemblea sono state votate all’unanimità o al massimo in assenza della minoranza riformista. Restia a contarsi, è il sospetto della segreteria, pronta a rinfacciare la scelta di comodo del falso unanimismo. Chi oggi sostiene Schlein e negli anni scorsi era in minoranza, infatti, fa notare come «bastava che qualcuno si alzasse e prendesse la parola in assemblea, mettendo in chiaro la propria posizione. Noi facevamo così, perché così si sta in un partito». Del resto «simulare una unità formale quando non c'è non aiuta il Pd», è la riflessione di Gianni Cuperlo, che ha chiesto alla segreteria di «proporre forme, tempi e modi di una seria discussione interna».

Con questi toni, è chiaro come al Nazareno si stia preparando la contromossa al voto europeo, che è stato vissuto come uno strappo impossibile da ricucire in silenzio. Congresso? L’idea non attira nessuno, ma la segretaria non scarta a priori l’idea, se questo servisse a risolvere coi fatti a confermare chi ha la leadership del partito.

Probabilmente alla fine si ricadrà su una direzione che si preannuncia un faccia faccia di fuoco. Prima, però c’è il passaggio fondamentale in parlamento, con il voto sulle mozioni in vista del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo. Schlein si aspetta che in quella sede la sua linea non venga contraddetta e saggerà la tenuta della sua maggioranza interna. La speranza è di arrivare a una mozione condivisa che non crei altri incidenti, ma il passaggio è delicato. Poi, però, un «chiarimento politico» ci sarà: «Serve, valuteremo le forme e i modi», ha detto giovedì la segretaria.

I tentennamenti

Dal canto suo, il fronte riformista è in fibrillazione e riflette. I big si parlano e i l punto su cui il loro ragionamento si impernia è l’Europa: astenersi avrebbe significato il Pd dalla famiglia socialista, allontanando anche la prospettiva di un ritorno del Pd a palazzo Chigi. Senza contare che le voci di Romano Prodi e Paolo Gentiloni sono state una chiamata alla resistenza a cui era impossibile rimanere sordi.

Ora però che la sfida è stata lanciata, manca il passo successivo. Congresso? «Serve certamente un chiarimento», è il modo in cui glissa un deputato d’area. Un congresso tematico? «Il voto europeo già c’è stato e la strada è imboccata» è l’obiezione di un dirigente. A Piero Fassino – tra i primi a chiedere un confronto – l’idea invece piace: «Il Pd ha bisogno di un confronto tematico sul posizionamento internazionale». Del resto il parlamento europeo si è espresso, ma si è trattato di un primo passo cui necessariamente dovranno seguirne altri, «quindi il tema non è esaurito e soprattutto non lo è internamente. Noi non abbiamo intenzione di mettere la polvere sotto il tappeto», è la risposta a distanza di un parlamentare vicino alla segretaria.

In questa spaccatura ormai conclamata, tuttavia, il rischio è che si delineino in maniera sempre più netta non due fazioni, ma due partiti. Schlein, che oggi incarna la maggioranza del partito e soprattutto degli elettori dem, ha l’orecchio più teso alle piazze che alla dirigenza del Nazareno, che infatti le imputa uno scarsissimo confronto interno, salvo poi voler imporre dall’alto una linea non debitamente discussa.

I riformisti, invece, sono in cerca di una loro forma e anche di un nuovo campione: le sirene dei centristi moderati sono forti per alcuni di loro (vedi il passaggio della senatrice ed ex segretaria della Cisl Annamaria Furlan a Italia viva) e anche la galassia cattolica è in fermento, con incontri pubblici come quelli di Milano e Orvieto e caminetti di riflessione privati. Giovedì a War Room, il format web di Enrico Cisnetto, a suonare le trombe di guerra è stato Claudio Petruccioli: «Sulla distinzione tra piano di riarmo e difesa comune europea Elly Schlein mente sapendo di mentire» e ancora «se non si apre una battaglia politica su questo, il Pd è finito». I riformisti la chiamano, e Schlein è decisa a dargliela: battaglia (politica) sia.

Intanto, è arrivata la vigilia della piazza europeista di Roma, convocata da Michele Serra. La certezza è che la piattaforma sia sufficientemente ampia da tenere dentro tutti – il Pd frammentato, ma anche Azione di Carlo Calenda e Nicola Fratoianni con Avs – meno che il Movimento 5 Stelle, deciso a distinguersi chiamandosi fuori. Nessun imbarazzo, dunque, per i dem a stare insieme per l’Europa (ognuno con la sua declinazione), almeno per un pomeriggio a piazza del Popolo.

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