Il risultato del primo giorno di “esplorazioni” da parte del presidente della Camera Fico è che i due partiti della maggioranza stanno cedendo alle pressioni di Italia viva che ora pretende un contratto di governo
- Renzi chiede un contratto di governo, ovvero «un documento scritto che tolga gli alibi» e si gode il vantaggio del primo giro di consultazioni dell’esploratore Fico.
- Crimi (M5S): via dal tavolo i temi divisivi. Leu: «Non è accettabile che da una parte ci sia chi ha diritti e doveri, mentre altri hanno solo diritti. Questo non è spirito costruttivo». Zingaretti chiede lealtà. Per il Pd alla fine la giornata è positiva. Ma Iv ancora non scopre le sue carte.
- Molto probabile un secondo giro di consultazioni. Pier Ferdinano Casini: la fortuna di Renzi sono gli errori di Conte.
«Noi siamo pronti a fare la nostra parte su un documento scritto che tolga a tutti gli alibi». Matteo Renzi si gode la sua posizione di vantaggio. Dopo un’ora e dieci di confronto con il presidente della Camera Roberto Fico, dice di essere d’accordo con l’idea di «cronoprogramma» che qualche ora prima aveva chiesto il collega M5s Vito Crimi. Si toglie il gusto di sottolineare di «non aver fatto nomi». Vuol dire che non ha ancora detto sì all’incarico da premier per Giuseppe Conte. Infine replica al segretario Pd Nicola Zingaretti, che un’ora prima ha fatto appello alla «lealtà» delle forze politiche. «Lealtà», dice Renzi, «è dire in privato quello che si dice in pubblico», allusione velenosa a come è iniziata la crisi. Renzi ha sempre sostenuto che il Pd era d’accordo con lui.
Il primo giro di “esplorazioni” per la chiusura della crisi di governo è iniziato ieri con M5s, Pd, Iv e Leu. Per ora Renzi si gode il fatti che tutto gira a suo favore. Crimi, parlando ai cronisti della sala della Regina della Camera – pochi, le misure anti Covid sono stringenti – chiede di «accantonare definitivamente alcuni temi provocatori, utilizzati a volte in maniera strumentale per essere divisivi, come il Mes». Renzi non calca la mano, risponde che per questo «serve un tavolo». Il reggente M5s non pronuncia la parola «contratto» soo perché sa che sa che l’alleato dem non lo digerisce. E invece a Renzi piacerebbe. Le condizioni dei Cinque stelle per tornare in maggioranza con Italia viva sono poche. E per lo più a uso interno, per arginare la vena che si è aperta al Senato e la fuoriuscita di quelli che vogliono tenere fede al «mai più con Renzi». In primis un pezzo da novanta come Alessandro Di Battista.
Del resto in questo primo giro i Cinque stelle hanno già ottenuto tanto: l’ipotesi su cui il presidente della Camera deve valutare se si possono rimettere insieme i cocci è il Conte ter. Come hanno chiesto loro. Ma a loro, dal Colle, è stato fatto capire con chiarezza che se non si rimette insieme la maggioranza uscente, non ci saranno i voti per nessun altro governo politico. Le destre, del resto, non hanno la maggioranza in parlamento.
Renzi sostiene di preferire un «governo politico» ma non esclude il sì a un governo istituzionale. Tutto pur di non votare. Zingaretti chiede un programma di fine legislatura, come del resto fa dallo scorso novembre (non ascoltato), nella cui scrittura «bisogna coinvolgere la maggioranza del governo Conte e le forze che hanno votato la fiducia sia alla camera che al senato». Si riparte insomma dai 321 deputati e dai 157 senatori dell’ultima fiducia, più i parlamentari di Italia viva. Sembra però essere un modo per dire che, in qualche maniera, Iv non è così determinante per la ripartenza. Comunque il Pd, soprattutto grazie alla realpolitik di Dario Franceschini, è stato il primo alleato a riaprire le porte a Renzi. E ha tenuto momentaneamente a freno gli attacchi dei suoi sulla vicenda della partecipazione dell’ex premier a una conferenza con il principe Bin Salman, petromonarca saudita, calpestatore di diritti umani. Il leader Iv dice che risponderà «più avanti». Intanto ieri Roberto Saviano e padre Alex Zanotelli gli hanno chiesto di dimettersi.
Federico Fornaro, che si presenta da solo davanti ai cronisti dopo aver incontrato Fico, usa toni polemici: «Non è accettabile che da una parte ci sia chi ha diritti e doveri, mentre altri sembrano avere solo diritti». Ma alla fine dal Pd prevale un giudizio positivo sulla giornata. Anche perché ancora le carte non sono state scoperte. Renzi chiede impegni sul Recovery plan. Ma non è ancora chiaro se pretenderà anche la testa dei ministri Bonafede, Azzolina e Gualtieri. «Ci saranno altri momenti, altri incontri», dice Crimi. Basta guardare il calendario. Oggi saranno consultati i «responsabili» del Maie, i nuovi «Europeisti» del Senato, il gruppo delle Autonomie, il Misto della Camera (limitatamente alle componenti che fanno riferimento alla maggioranza), e il Misto del Senato. Fico ha tempo tutto lunedì prima di riferire, martedì, al presidente Mattarella. Cioè il tempo di un altro giro di incontri.
Le colpe di Conte
E comunque «quelle di Fico non solo le consultazioni della maggioranza, è la consultazione di Renzi». La battuta di un notabile dem dice molto. La fotografia realistica della situazione la fornisce Pier Ferdinando Casini parlando a Sky TG24: «Se la crisi finisce così, Renzi ne esce rafforzato, al di là dei suoi meriti. Le elezioni sono ogni cinque anni, quindi si vedrà. Il problema vero è che è stato assistito dalla dea fortuna» e questa fortuna di Renzi ha un nome e un cognome: Giuseppe Conte, «che si è messo a cacciare i responsabili. Se Conte non fosse stato mal consigliato sui responsabili e non si fosse avventurato in questa ricerca frenetica, che lo ha ridicolizzato, come nel caso Vitali (il senatore forzista passato alla maggioranza e poi tornato indietro in una sola notte, ndr) Renzi oggi sarebbe più debole e probabilmente molti dei suoi avrebbero avuto dissensi». È stato Conte a «intronizzare Renzi, sono stati i suoi errori». A questa foto va aggiunto un particolare, un dettaglio non da poco: la convinzione generale, diffusa in tutto il parlamento, che la minaccia del voto è solo uno spauracchio. Un’eventualità che, in caso, non dispiacerebbe a Conte stesso, pronto a capitalizzare la grande popolarità che ha in questi mesi, e che l’apertura della crisi da parte di Renzi gli ha rafforzato. Un’eventualità, quella del voto, che il segretario Pd Zingaretti descrive come «un pericolo» ma che viene accarezzata dall’ala sinistra del suo gruppo dirigente (quella uscita falcidiata dalle liste del 2018, compilate in prima persona dall’allora segretario Renzi). Il voto è considerata un’eventualità lunare da Franceschini, e dalla maggioranza sempre meno silenziosa dei parlamentari Pd. In linea, del resto, con quello che filtra dal Colle. Il Covid, tanto più con una possibile terza ondata, rende di fatto il voto una via impraticabile. Se mai il tentativo di Fico fallisse, sarebbe più probabile un governo tecnico per approvare il Recovery plan. Ed è subito semestre bianco.
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