Pubblichiamo la lettera dei ricercatori precari degli atenei romani, in mobilitazione contro tagli e precarietà. I lavoratori denunciano la situazione del comparto universitario italiano, composto da oltre 60mila precari. Chiedono il ritiro della riforma Bernini sul preruolo, un piano di reclutamento straordinario e un’università cooperativa, critica e demilitarizzata
Siamo gli oltre 60.000 lavorator3 precar3 dell’università. Un esercito invisibile – circa un terzo del totale del corpo docente e ricercatore - fatto di lavorator3 sottopagat3 e indistinguibili per presenza e mansioni dal personale di ruolo che quotidianamente attraversa aule e laboratori, e sulle cui attività (ricerca, didattica, progettazione, Terza Missione) si regge ormai stabilmente il comparto universitario italiano. Un esercito di lavorator3 “usa e getta” lievitato esponenzialmente negli ultimi quindici anni sotto i colpi dei tagli e della neoliberalizzazione selvaggia seguiti alla riforma Gelmini del 2010, e che, nell’ultimo biennio, ha visto un’ ulteriore impennata con il proliferare di contratti precari scaturiti dai fondi PNNR.
Un esercito in parte già in dismissione: nel 2022, la Legge 79 sanciva l’abolizione dei contratti precari di assegnista di ricerca e ricercatore a tempo determinato di tipo A (RTDA) in favore di una nuova fattispecie (il contratto di ricerca) di durata biennale dotata di pieni diritti previdenziali – e dunque più onerosa per gli atenei. Tuttavia, i limiti di spesa imposti dalla stessa legge, il mancato stanziamento di risorse congrue, e il sabotaggio deliberato della finalizzazione del contratto di ricerca da parte del MUR in sede di contrattazione collettiva, ha fatto sì che i nuovi contratti non siano, ad oggi, mai entrati in vigore, generando un limbo normativo che ha già provocato l’espulsione di 1200 RTD-A, cui si aggiungeranno, entro i prossimi tre anni, le migliaia di “esodati” PNRR, e le migliaia assegnisti di ricerca in scadenza. Ad aggravare ancor di più il quadro, una nuova ondata di tagli ha iniziato ad abbattersi sugli atenei.
Durante l’estate, il governo ha imposto un taglio effettivo al Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) per il 2024 di oltre 500 milioni di euro. Di questi, circa 340 milioni destinati agli adeguamenti salariali del personale strutturato sono stati sottratti alla quota annuale del piano triennale di reclutamento straordinario pensato per sopperire all’emergenza scaturita dal pensionamento di circa 20.000 strutturati dal 2008 a oggi, cui si aggiungerà un ulteriore 10% entro il 2027. A fare il paio al taglio estivo, la Legge di Bilancio appena approvata ha sancito un ulteriore pacchetto di tagli di 700 milioni per il biennio 2025-2027, per un totale di 1.3 miliardi in tre anni in un paese che è già fanalino di coda in Europa per PIL investito in istruzione terziaria (meno dell’1% del PIL contro una media OSCE dell’1,5%). La stessa finanziaria prevede un blocco del turnover per il personale strutturato e TAB del 75% entro i prossimi due anni.
Gli effetti di queste politiche sono già evidenti: sono infatti tanti gli atenei che hanno congelato il reclutamento, tagliato le borse dottorali per il prossimo anno accademico, e sollevato il rischio di insolvenza. Di fronte a questa catastrofe, la Ministra Bernini ha predisposto una nuova riforma del preruolo universitario (DdL 1240) che punta a compensare il taglio strutturale delle risorse con un nuovo ventaglio di contratti iperprecarizzati, a basso costo e non propedeutici all’immissione in ruolo (una ‘cassetta degli attrezzi’, nelle parole della stessa Ministra) da fornire ai rettori per garantire agli atenei lo svolgimento delle attività ordinarie.
Nello specifico, le nuove figure consisteranno in: a) contratti post-doc, ovvero contratti di lavoro spendibili per didattica, ricerca e terza missione, di durata annuale rinnovabile fino a un massimo di tre; b) borse di ricerca senior e junior, ovvero contratti parasubordinati privi di piene tutele previdenziali destinati a ricercatori rispettivamente con e senza dottorato, anch’essi di durata annuale e cumulabili fino a un massimo di tre; c) professori aggiunti, ovvero professori nominati per decreto rettorale per incarichi di didattica da un minimo di tre mesi a un massimo di tre anni. Una riforma nettamente regressiva che, a sua volta, rappresenta il primo tassello di una riforma strutturale dell’intero comparto universitario.
A novembre 2024, infatti, la Ministra ha nominato per decreto una commissione di 18 membri incaricati di riformare l’intera legge 240/2010. Come lasciato già chiaramente presagire, avrà come linea guida principale la razionalizzazione delle risorse, ovvero la decimazione degli atenei e dei corsi di laurea reputati ‘improduttivi’, l’ulteriore e inevitabile penetrazione direttiva del capitale privato nella ricerca pubblica, e l’esasperazione della premialità in favore dei più ‘forti’, ossia dei broker accademici (singoli ricercatori o atenei dotati di abbastanza risorse) specializzati nell’accaparramento di fondi esterni.
È un’emergenza che riguarda tutt3:
- il precariato storico e non che dopo anni – talvolta oltre 10 – di spezzatini contrattuali, si ritroverà permanentemente espulso, costretto ad accettare contratti peggiorativi senza alcuna garanzia e per un tempo indefinito, oppure ad aggiungersi agli oltre 15.000 ‘cervelli in fuga’, con una perdita incalcolabile di patrimonio cognitivo e materiale;
- il personale strutturato, che vedrà irrimediabilmente messi a rischio la tenuta dei propri gruppi di ricerca, scatti stipendiali, ed eventuali avanzamenti di carriera;
- le/gli studenti, che vedranno corsi di laurea chiudersi, i già pochi servizi di welfare e non diminuire, e le tasse aumentare;
- gli atenei medi e piccoli , soprattutto del Sud e delle isole – già strangolati da quindici anni di meccanismi di distribuzione delle risorse di tipo premiale che altro non hanno fatto che concentrare esponenzialmente le risorse nelle mani degli atenei più ricchi – a rischio di chiusura o accorpamento imminente;
- il già sottodimensionato personale TAB , che vedrà il carico di lavoro aumentare, e il rischio di esternalizzazione incombente e concreto.
É nel suo complesso, il più grande attacco frontale all’università pubblica dai tempi della riforma Gelmini. Si badi bene: non si tratta del frutto inevitabile di un ammanco di coperture finanziarie, ma di una deliberata visione del Paese e dell’università da parte del Governo Meloni che sottrae risorse ai servizi essenziali in favore del comparto difesa e sicurezza (con la Legge di Bilancio, aumento delle spese militari del 12%).
Per questo, con l’azione di oggi e con le mobilitazioni degli scorsi mesi e dei mesi che verranno, chiediamo:
- il ritiro immediato del DdL 1240;
- il rifinanziamento al FFO, e al comparto riservato all’istruzione superiore, per raggiungere la media OCSE;
- un piano di reclutamento straordinario;
- una revisione strutturale del percorso di immissione in ruolo che preveda contratti di lavoro dignitosi e tempi e modalità di progressione chiare e lineari;
- Un’università cooperativa, critica, desecurizzata e demilitarizzata.
Siamo qui, oggi, nel luogo che a partire dal 1660 raccolse in un’unica sede lo Studium Urbis fondato nel 1303, e che prese così il nome di «Sapienza». Siamo qui in difesa di un’istituzione secolare che rischia di essere cancellata, o quanto meno ridimensionata. Siamo qui, come qui iniziò il movimento del Sessantotto che rese l’alta formazione accessibile davvero a tutt*. Siamo qui, infine, a due passi dal Senato, dove la Commissione VII sta discutendo del DdL 1240.
Alle Senatrici e ai Senatori chiediamo di bloccare la riforma del preruolo e di dare la parola ai precar3.
No ai tagli! Basta precarietà! Stop al DdL 1240!
Atenei romani in mobilitazione contro tagli e precarietà
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