Il presidente della Commissione esteri al Senato che non aveva votato la risoluzione unitaria per l’invio di armi all’esercito ucraino non lascia la poltrona ma dice addio al documento di collaborazione con la Duma
Il senatore del Movimento 5 stelle Vito Petrocelli ha scelto di non dimettersi dalla presidenza della Commissione esteri del Senato ma ha stabilito assieme al resto dell’ufficio di presidenza della Commissione che «da oggi non ci sono più le condizioni che qualsiasi attività, prevista da quel protocollo, possa essere portata avanti». Il documento a cui si fa riferimento è il protocollo d’intesa tra le Commissioni esteri di Senato e Duma.
Il presidente di Commissione è stato in difficoltà dopo la sua decisione, lunedì scorso, di votare contro la risoluzione unitaria stesa dalla maggioranza e da Fratelli d’Italia per autorizzare di fatto il governo a spedire armi in Ucraina.
Una decisione presa in virtù della propria «libertà di coscienza», come aveva spiegato il senatore al presidente del Movimento Giuseppe Conte, ma che a tanti è sembrata anche condizionata dai buoni rapporti che da tempo Petrocelli coltiva con Mosca e con altre realtà non allineate, come Cina e Venezuela.
In seguito alla sua decisione, il presidente aveva visto arrivare richieste di dimissioni soprattutto da Italia viva: «Non è opportuno che la commissione Esteri abbia una posizione ambivalente rispetto all'aggressione, da parte di Putin, dell'Ucraina» dice la seatrice Laura Garavini, che non ritiene sufficiente la cancellazione del protocollo d’intesa. Pd e M5s avevano spinto per il passo indietro sul protocollo, senza arrivare alle dimissioni. Conte aveva spiegato in più occasiono di non avere intenzione di intervenire con sanzioni nei confronti del senatore.
Le posizioni
È noto da tempo che il presidente di Commissione ha contatti solidi con il paese, rafforzati da frequenti appuntamenti in ambasciata e viaggi in Russia. In passato avevano anche fatto scalpore alcune sue dichiarazioni filoputiniane, come quando aveva definito l’oppositore Aleksej Navalny un «blogger del piffero».
Petrocelli in gioventù ha militato in Autonomia operaia e nel Carc: da ragazzo, il suo soprannome era “Petrov”, ha raccontato in un’intervista l’ex compagno di partito Emanuele Dessì. Ma anche negli anni da presidente di Commissione non ha evitato uscite controverse sulla Russia: nel 2021 ha diffuso tra i colleghi della sua commissione un non-paper steso dall’ambasciata russa a Roma che conteneva interpretazioni anti-occidentali della situazione geopolitica europea.
A fine febbraio, pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina, Petrocelli twittava «Vi ricordiamo che la Russia non ha mai attaccato nessuno nel corso della sua storia. E la Russia, sopravvissuta a tante guerre, è l'ultimo Paese in Europa che vuole parlare, anche pronunciare la parola guerra…».
Il protocollo
Il documento che è stato bloccato è un protocollo d’intesa tra le Commissioni gemelle di Senato e Duma: tra le collaborazioni previste c’erano scambi di delegazioni, missioni e un confronto periodico su alcuni temi di interesse comune.
Tutto questo ora non sarà più possibile, anche se va ancora determinata la modalità di cancellazione dell’intesa. La scelta avverrà martedì, e Petrocelli ha proposto tre opzioni: la cessazione dell’implementazione fattuale del protocollo, la decisione di congelare il testo sospendendone gli effetti oppure la denuncia del protocollo attraverso un atto formale per dichiarare la volontà di sciogliersi dal vincolo.
Mentre la prima opzione manterrebbero il protocollo “giuridicamente” in vigore, per la seconda e la terza è necessaria una notifica con preavviso alla controparte russa.
I prossimi voti
Nonostante la decisione di bloccare il protocollo, Petrocelli resta un osservato speciale nella maggioranza: tra i prossimi appuntamenti della Commissione c’è infatti la trattazione dei decreti legge decisi dal governo negli ultimi giorni che prevedono sanzioni contro la Russia e la consegna delle armi all’esercito ucraino.
«Sarà quella l’occasione in cui il senatore potrà dimostrare se vuole agire secondo coscienza o si prenderà la responsabilità del proprio incarico» dice un senatore di maggioranza.
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