- ll governo dice di voler riscrivere i rapporti tra Italia e Africa, garantire nuove fonti di energia, fermare immigrazione e terrorismo. Ma a sei mesi dall’annuncio, del fantomatico piano non c’è una slide mentre la premier si limita a ribadire gli accordi già sottoscritti.
- Ispirato al fondatore dell’Eni Enrico Mattei, di cui lo scorso ottobre ricorreva il sessantenario della morte in un incidente aereo, il piano dovrebbe garantire all’Italia nuove fonti di energia tramite la stipula di accordi con paesi come Algeria e Libia.
- Ma se anche il governo dovesse riuscire a mettere in piedi il suo piano, difficilmente potrà raggiungere gli obiettivi ambiziosi che si è posto.
Il “piano Mattei” è il nuovo proiettile d’argento del governo Meloni. Non c’è problema che questo ambizioso programma di investimenti e accordi internazionali non possa risolvere: immigrazione, approvvigionamenti energetici, persino lotta al terrorismo islamico. Il piano Mattei è la soluzione a tutto.
Nato come una generica promessa elettorale nel programma di Fratelli d’Italia per le elezioni 2022 (serve «una formula Mattei per l’Africa», era scritto senza molti dettagli) e poi promosso a obiettivo di governo nel discorso di insediamento di Giorgia Meloni lo scorso 22 ottobre, oggi il piano Mattei è diventato uno degli elementi centrali della comunicazione del governo. Il problema è che a sei mesi dal suo annuncio, del piano non c’è traccia.
Il piano? È cosa fatta
Ispirato al fondatore dell’Eni Enrico Mattei, di cui lo scorso ottobre ricorreva il sessantenario della morte in un incidente aereo, il piano dovrebbe garantire all’Italia nuove fonti di energia tramite la stipula di accordi con paesi come Algeria e Libia. Ispirato alla visione “terzomondista” di Mattei, che puntava ad accordi favorevoli alle élite locali dei paesi produttori di materie prime per battere la concorrenza dei giganti petroliferi del dopoguerra, il piano dovrebbe includere un generale ripensamento delle politiche di aiuto internazionale così da «aiutare i migranti a casa loro».
Sui particolari del piano, la presidente del Consiglio Meloni è sfuggente. «Ci stiamo lavorando», ha risposto pochi giorni fa durante la sua visita in Etiopia a chi le chiedeva dettagli sul programma. Eppure, a sentire gli esponenti del governo e a leggere i giornali, il piano Mattei dovrebbe essere cosa fatta. È «il punto centrale delle nostra agenda di governo», diceva a fine anno il presidente della commissione Cultura, il deputato di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone. A gennaio, il leader di Italia Viva Matteo Renzi giurava che era pronto a votarlo, mentre a febbraio il ministro per la Protezione civile e il mare Nello Musumeci già si congratulava per i risultati ottenuti: «Meloni è stata bravissima a rilanciare il piano Mattei».
Cono d’ombra
In realtà, su cosa sia esattamente questo piano, chi debba portarlo avanti, dove e come, regna l’incertezza. Per ora il governo non ha presentato nemmeno una slide e non è chiaro nemmeno chi se ne stia occupando. È un’iniziativa del ministero degli Esteri? È stata delegata all’Eni? È stata avocata dalla presidenza del Consiglio e dal suo influente consigliere diplomatico, Francesco Talò?
Quest’ultima ipotesi sembra la più probabile. Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, assicura che è Meloni ad aver definito «le linee guida» del piano (quali siano però, resta un mistero). Il viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, che ha la delega all’Africa e alla cooperazione internazionale, spiega di aver ricevuto «direttive di massima per modulare meglio la cooperazione italiana», mentre sarà Meloni a «individuare altre risorse e si valuterà poi cosa può fare l’Unione europea».
Intanto però, il Def taglia le risorse per la cooperazione internazionale nei prossimi tre anni, mentre la legge di Bilancio fallisce di nuovo l’obiettivo Onu di portarle ad almeno lo 0,7 per cento del Pil. Incalzata durante la sua visita in Etiopia, Meloni ha rimandato la questione a dopo l’estate, quando si terrà la conferenza biennale Italia-Africa, un incontro tra ministri degli Esteri che si svolge dal 2016. «Potrebbe essere l’occasione giusta per presentare definitivamente il nostro piano Mattei», ha detto Meloni. Il condizionale è d’obbligo, come quasi tutto in questo piano.
Tempi cambiati
Ma se anche il governo dovesse riuscire a mettere in piedi il suo piano, difficilmente potrà raggiungere gli obiettivi ambiziosi che si è posto. Marco Giusti, esperto di politiche energetiche e consulente scientifico dello Iai, ricorda che non siamo più ai tempi di Mattei. «Non si tratta di estrarre gas e petrolio a condizioni più vantaggiose per i paesi produttori. Da quella fase siamo usciti da molto tempo».
Nel caso dell’Algeria, ad esempio «non stiamo parlando di un paese che viene rapinato sul gas. Anzi, trattenere i profitti energetici del paese fa parte della mitologia della classe dirigente». Il problema è semmai di redistribuzione, ossia il fatto che in molti paesi ricchi di materie prime i profitti delle esportazioni vengono monopolizzate dalle élite locali in modo predatorio, senza portare benefici alla popolazione.
Ma il governo Meloni non sembra intenzionato a ridiscutere il modo in cui i governi di Algeria, Libia o Nigeria utilizzano i profitti della vendita di gas e petrolio. «Si è limitata a ribadire gli accordi già sottoscritti all’epoca del governo Draghi», ricorda Giusti.
Come ha scritto poco tempo fa il settimanale economico francese Les Echos, il piano Mattei è un «geniale colpo di marketing politico». Un rebranding in salsa patriottica delle iniziative già intraprese da Mario Draghi e i suoi ministri.
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