- Da Addis Abeba Giorgia Meloni ha rilanciato l’idea di quel piano Mattei che l’Italia presenterà a ottobre, in occasione del summit intergovernativo Italia-Africa.
- Il rinnovato sostegno politico ad Addis Abeba avviene in un momento in cui le relazioni tra il governo etiope e l’Unione europea hanno toccato i minimi storici, a causa della posizione di condanna assunta da Bruxelles verso il governo etiope durante la guerra civile.
- Riallacciare i rapporti con il paese dimenticando i postumi della guerra in Tigray è pericoloso: non soltanto perché i rischi di destabilizzazione ci sono ancora, ma perché ci rende più vulnerabili nelle nostre azioni politiche.
Dall’Etiopia la premier Giorgia Meloni ha rilanciato l’idea di quel piano Mattei che l’Italia presenterà a ottobre, in occasione del summit intergovernativo Italia-Africa.
Nel frattempo ha spiegato che l’Etiopia è un paese chiave per stabilizzare il Corno d’Africa, per difendere gli interessi degli italiani e per rafforzare il ruolo dell’Europa nel continente. In questa spiegazione c’è una parte di verità, ma c’è anche la memoria corta e la fragilità della politica estera europea nel continente africano.
L’Etiopia è considerato un paese chiave della politica estera italiana nel continente. I legami storici tra i due paesi hanno fatto sì che l’Italia i con Addis Abeba ottimi rapporti in campo politico, economico e di sicurezza. Meloni non è certo la prima ad aver posto attenzione sul paese.
In Etiopia, oltre a garantire il proprio sostegno al governo di Abiy Ahmed attraverso due visite governative nell’arco di cinque mesi, il governo Draghi aveva concesso un prestito di 22 milioni di euro a supporto dello sviluppo di varie aree agro-industriali e rurali e finanziato tre progetti per un totale di 7 milioni di euro del Fondo migrazioni, finalizzati a rafforzare l’azione di sostegno a rifugiati e migranti vulnerabili nel paese e in Sudan.
Tuttavia, i rapporti tra l’Italia di Draghi e il governo etiope sono stati fatti più in sordina rispetto a quelli di Meloni per un semplice fatto: l’anno scorso, l’Etiopia non era ancora uscita da una guerra civile durata due anni che ha provocato la morte di 600mila civili, la più sanguinosa di questo secolo secondo l’Onu.
Il rinnovato sostegno politico ad Addis Abeba avviene in un momento in cui le relazioni tra il governo etiope e l’Unione europea hanno toccato i minimi storici, a causa della posizione di condanna assunta da Bruxelles verso il governo etiope durante la guerra.
Per protestare contro il mancato accesso degli aiuti umanitari al teatro del conflitto, nel dicembre 2020 l’Ue ha sospeso il finanziamento pluriennale di circa 90 milioni di euro ad Addis Abeba.
In questo contesto, l’Italia è stata tra i paesi membri dell’Ue che hanno tentato di far adottare a Bruxelles una posizione più bilanciata nei confronti delle parti in conflitto. Cosa che però non è servita a riallacciare i rapporti tra Ue ed Etiopia: durante il processo di pace, firmato nel novembre 2022, l’Ue non è stata accettata nemmeno come membro osservatore.
A livello europeo, la posizione italiana è stata importante per due motivi. La prima è che con il procedere del conflitto si è capito che anche i tigrini – sebbene in forma minore – avevano delle responsabilità. La seconda è evitare di isolare l’Europa.
Mentre l’Ue condannava il governo, Abyi era affiancato militarmente da paesi Emirati Arabi Uniti, Turchia e Iran e diplomaticamente da Russia e Cina.
Questa competizione multipolare ha sicuramente ridotto la capacità europea di esercitare pressioni sul governo centrale affinché finisse la guerra. Tuttavia, l’azione dell’Europa è stata anche ridotta dallo scarso coordinamento tra i paesi membri: mentre l’Ue aveva sospeso i suoi aiuti allo sviluppo, la Germania ha invece continuato a farlo a livello bilaterale.
Data la competizione multipolare e l’affanno europeo in Africa, non appena è stata firmato l’accordo di pace, Italia, Francia e Germania hanno ricominciato – in ordine sparso – a riallacciare i rapporti con il governo etiope.
È importante che Italia e Europa non lo rifacciano riproponendo gli errori del passato. La guerra è formalmente finita, ma le tensioni a livello interno non si sono placate.
Una settimana fa ci sono state forti proteste nella regione Amhara dopo il tentativo del premier di smantellare le forze militari della regione per creare un esercito nazionale.
Nel mese di febbraio, la chiesa ortodossa etiope ha rischiato la scissione lasciando presupporre che il conflitto interno si fosse spostato sul piano religioso.
Già prima che scoppiasse la guerra in Tigray la comunità internazionale – e in primis l’Europa – aveva lodato Abyi Ahmed per il suo ruolo di pacificatore a livello continentale (nel 2019 gli era stato dato persino il Nobel per la Pace dopo l’accordo di pace Etiopia-Eritrea) e per le sue riforme democratiche a livello nazionale.
Tuttavia, mentre la comunità internazionale lo incensava sottostimando le tensioni interne, il raese è imploso in una guerra civile. Riallacciare quindi i rapporti con Abyi dimenticando i postumi della guerra in Tigray è pericoloso: non soltanto perché i rischi di destabilizzazione ci sono ancora, ma perché ci rende più vulnerabili nelle nostre azioni politiche. Per rilanciare il ruolo dell’Europa nel continente è necessario capire il contesto in cui si agisce al fine di poter adottare una politica a lungo termine e coerente.
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