I destini del ministro della Salute sono sempre più incerti ora che l’inchiesta della procura di Bergamo e i documenti scoperti dai parenti delle vittime hanno ricostruito la catena di inadempienze dietro il mancato aggiornamento della strategia anti-virus e le dichiarazioni false alle istituzioni internazionali
- Reticenze, falso ideologico, omissioni, complicità e false testimonianze. Il quadro che emerge dalle indagini della procura di Bergamo sulla strage in Val Seriana ci consegna una fotografia di inadempienze della catena di comando del ministero della Salute.
- Al centro di questa storia ci sono funzionari pubblici incaricati di occuparsi di prevenzione che non avrebbero tenuto vivo un piano pandemico, che, senza aggiornamenti, è rimasto lettera morta.
- Fino al 25 gennaio 2021 in Italia è rimasto in vigore il piano pandemico approvato dalla Conferenza stato-regioni nel 2006.
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Foto Roberto Monaldo / LaPresse 24-03-2021 Roma Politica Camera dei Deputati - Question time Nella foto Roberto Speranza Photo Roberto Monaldo / LaPresse 24-03-2021 Rome (Italy) Chamber of Deputies - Question time In the pic Roberto Speranza
Reticenze, falso ideologico, omissioni, complicità e false testimonianze. Il quadro che emerge dalle indagini della procura di Bergamo sulla strage in Val Seriana, a partire dal mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale fermo al 2006, ci consegna una fotografia di inadempienze della catena di comando del ministero della Salute, sotto la responsabilità di almeno tre ministri (Beatrice Lorenzin, Giulia Grillo e Roberto Speranza). Anche l’indipendenza dell’Organizzazione mondiale della sanità è oggi messa in discussione, in seguito alla censura (a maggio 2020) del rapporto sulla gestione della prima fase pandemica da parte del governo Conte. Una gestione «improvvisata, caotica e creativa». Intorno a queste vicende si giocano il destino del ministro Speranza e gli equilibri politici del governo Draghi: il mancato adeguamento del piano pandemico e il presunto coinvolgimento del ministero della Salute nella rimozione del rapporto Oms (documento riscoperto grazie al team legale dei parenti delle vittime di Covid19, guidato dall’avvocata Consuelo Locati).
Il piano mai applicato
Al centro di questa storia ci sono funzionari pubblici incaricati di occuparsi di prevenzione che non avrebbero tenuto vivo un piano pandemico, che, senza aggiornamenti, esercitazioni, formazione del personale, stoccaggio di dispositivi di protezione individuale, censimento di ventilatori e di posti letto in terapia intensiva, è rimasto lettera morta. Fino al 25 gennaio 2021 in Italia è rimasto in vigore il piano pandemico approvato dalla Conferenza stato-regioni nel 2006.
Spiega l’avvocata Consuelo Locati: «Il piano non è stato aggiornato con le linee guida Oms del 2013, del 2017, del 2018, nemmeno con quelle della Commissione europea del 2005 e del 2009, con le decisioni del parlamento europeo del 2013 e tanto meno con quelle del Regolamento sanitario internazionale del 2005». Tuttavia, «nei questionari di autovalutazione dell’Italia inviati periodicamente a Oms e Ue – documenti cruciali di cui siamo entrati in possesso, che abbiamo depositato in procura a Bergamo – risultava che il nostro paese fosse preparato a un’emergenza pandemica. Sono dichiarazioni false. L’ultimo, inviato dal governo italiano all’Oms il 4 febbraio 2020, dimostra la responsabilità anche dell’attuale ministro Speranza».
Il piano del 2006 non è mai stato messo in atto dal Comitato tecnico scientifico. Agostino Miozzo, coordinatore del Cts, in un’intervista del 5 settembre 2020 a Repubblica, ha ammesso che «non esisteva una previsione di mascherine necessarie, posti letto da liberare. Soprattutto non c’erano scorte. Dovevamo preparare in fretta un piano anti Covid da utilizzare subito». Ma nel verbale della prima riunione del Cts del 7 febbraio 2020 si leggeva che «i provvedimenti messi in atto dal governo italiano (…) rappresentano, nelle condizioni attuali, un argine adeguato per il nostro paese».
Chi doveva occuparsi di questo «argine adeguato?». I pm di Bergamo coordinati dal procuratore capo, Antonio Chiappani, e dall’aggiunto, Maria Cristina Rota, hanno ascoltato i dirigenti ministeriali, ex ministri, membri del Cts e – due volte – Speranza. Rota, al programma di Rai3 Report, ha detto: «Alle domande su chi avrebbe dovuto fare qualcosa, ma anche solo trasmettere un documento, ci siamo sentiti dire: noi chi? Il ministero. Quasi come se ci fosse il timore nell’indicare un nominativo». Rota lo definisce «un atteggiamento reticente» e aggiunge un dettaglio: «L’Oms aveva chiesto una vigilanza da parte del ministero sull’operato della procura. Noi non abbiamo mai voluto ficcare il naso negli affari dell’Oms, ma fare luce su quel famoso rapporto e sul piano pandemico, che è di estremo interesse per la procura di Bergamo in relazione ai fatti accaduti nell’ospedale di Alzano Lombardo».
Chi decideva
Sotto osservazione, dunque, sembrano finiti i direttori generali della prevenzione del ministero della Salute, che si sono avvicendati negli ultimi 10 anni, ma anche i direttori dell’ufficio numero 5, incaricato dell’aggiornamento del piano pandemico. Parliamo non solo di Ranieri Guerra, direttore generale della Prevenzione dal 2014 al 2017, ma anche di Giuseppe Ruocco, che lo ha preceduto, e Claudio D’Amario in carica fino all’aprile dell’anno scorso, oltre ai diversi responsabili dell’ufficio 5. Tutti già ascoltati dai pm.
Si capisce quindi il peso della doppia veste del direttore aggiunto dell’Oms Guerra (indagato per falsa testimonianza resa ai pm di Bergamo), che nel vantarsi – in una chat acquisita dalla magistratura – con il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, per aver «fatto ritirare il documento» critico verso l’Italia, redatto dai «somarelli di Venezia», nell’intento di proteggere il ministero della Salute da ricostruzioni a suo dire errate, cercava di tutelare soprattutto se stesso.
Perché il mancato adeguamento del piano pandemico nazionale, fermo al 2006 chiama in causa innanzitutto l’operato di tutti i direttori generali alla Prevenzione del suo ministero. Questo Guerra lo sa e per questo avrebbe proposto a Brusaferro di «rivedere assieme» il rapporto.
Del presunto coinvolgimento di Speranza in questa vicenda sarebbero a conoscenza sia Guerra, sia Brusaferro: appare logico che dai loro cellulari siano partiti in quei giorni messaggi al ministro. Messaggi non pubblicabili senza il via libera del parlamento (Speranza è anche deputato).
Resta da capire se Speranza abbia benedetto l’iniziativa di Guerra di ritirare quel rapporto e di “rivederlo assieme”. L’11 maggio 2020, pochi giorni prima della pubblicazione del rapporto, il suo curatore Francesco Zambon – che ora si è dimesso e ha fatto causa all’Oms – scambia e-mail con Cristiana Salvi, responsabile relazioni esterne Oms. Zambon scrive: «Alcune cose non possono essere taciute», Salvi risponde: «Conoscendo il campo di azione vedo questo rapporto come una vera e propria bomba mediatica».
A inizio dicembre Donato Greco, ex direttore generale della prevenzione al ministero della Salute dal 2004 al 2006 e da marzo 2021 membro del Cts, mi ha detto: «Ho seguito i lavori del piano pandemico del 2006, fino alla sua approvazione in Conferenza stato regioni. Un piano pandemico è un corpo vivo e si sarebbe dovuto aggiornare periodicamente. Non è stato fatto».
Il microbiologo Andrea Crisanti, consulente tecnico della procura di Bergamo, consegnerà prima dell’estate la sua relazione tecnica chiamata a rispondere a tre quesiti: il primo sull’impatto della mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo, il secondo sull’eventuale nesso tra la mancata zona rossa in Val Seriana e l’incremento della mortalità in quell’area e il terzo sull’applicazione del piano pandemico nazionale. Se fosse stato applicato – a partire dal primo alert Oms del 5 gennaio 2020 – avrebbe ridotto i decessi? “L’Italia aveva un piano pandemico influenzale – spiega Crisanti – e l’Oms aveva dato indicazioni che questo doveva essere preso come riferimento. Altri paesi lo hanno attuato con effetti positivi, come la Nuova Zelanda».
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