Il Viminale impone alle commissioni territoriali – deputate ad accogliere le richieste d’asilo – di adottare le decisioni in maniera rapida, ma non fa i conti con i tagli al personale, la qualità e la competenza che il servizio richiede: «C’è un enorme carico di lavoro da sempre, ma negli ultimi mesi le pressioni politiche da Roma cadono a cascata»
«È necessario garantire che le decisioni delle commissioni e delle sezioni siano incrementate sensibilmente, in modo tale da garantire e ridurre la durata dei procedimenti, evitando lunghe attese e, conseguentemente, garantire una più efficace gestione del sistema di accoglienza». Con queste parole contenute in una direttiva indirizzata ai prefetti, e di cui Domani è in possesso, il ministro dell’interno, Matteo Piantedosi, ha annunciato qualche settimana fa i prossimi obiettivi del governo per garantire «una gestione adeguata del sistema di protezione dei richiedenti asilo e protezione internazionale».
Peccato, però, che proprio i lavoratori delle prefetture addetti al funzionamento del sistema delle commissioni territoriali, dunque deputati ad accogliere le richieste d’asilo, considerino la nuova riorganizzazione ministeriale come mortificante della loro stessa attività di funzionari e penalizzante dell’intero processo decisionale, a scapito della tutela dei richiedenti asilo.
Così, dopo lo sciopero del 17 novembre scorso in cui avevano lamentato i tagli all’organico conseguenza del così detto decreto Cutro, i lavoratori dei ministero dell’interno sciopereranno nuovamente il prossimo 24 maggio con un presidio in piazza Santi Apostoli, sostenuti dal comparto Funzione pubblica della Cgil.
Lo sciopero
Il motivo è presto detto: «Ai tagli preannunciati dal governo sui servizi di interpretariato e ai gettoni di presenza delle commissioni territoriali che, con l’aumento dell’attività decisionale richiesta, penalizzeranno l’attività delle commissioni, si aggiunge che l’accelerazione dei tempi di esame delle domande di asilo avviene in carenza di personale amministrativo di supporto», si legge nella convocazione, dove si fa riferimento anche al fatto che le nuove assunzioni degli ultimi mesi, ovvero l’infornata di funzionari amministrativi non assunti tramite specifico concorso ma provenienti da altre graduatorie, rischiano di pregiudicare la qualità delle decisioni.
I funzionari, quindi, attaccano il Viminale per quello che reputano «un palese disinvestimento nella qualità di questo delicatissimo settore» e puntano il dito anche sulle pratiche di esternalizzazione delle procedure decise dal governo (vedi accordo con l’Albania) che, a loro avviso, «mettono in discussione l’esistenza stessa del diritto di asilo sancito dall’articolo 10 della Costituzione».
La situazione nelle commissioni
Non solo. Dice Antonio Indolfi, dipendente di lungo corso della commissione territoriale di Bari e coordinatore nazionale dei lavoratori del settore asilo della Cgil: «Partiamo da una considerazione di ordine sindacale, siamo passati in poco tempo, come organico, da 400 a circa 230 unità, perché alcuni hanno scelto di dimettersi per lo stress e il carico di lavoro, mentre veniva di fatto azzerato il supporto amministrativo, e poi perchè le prefetture hanno richiamato il personale per ampliare i propri ranghi, svuotati dai pensionamenti anticipati».
E, di conseguenza, «le commissioni sono state usate come riserva di personale per rimpinguare gli organici, senza considerare che, poi, da qualche tempo, all’interno delle commissioni e in conseguenza dell’aumento degli sbarchi, è stato invece assunto personale non qualificato, vincitori di concorso per altre amministrazioni dello stato che nulla hanno a che fare con la protezione internazionale, mi vengono in mente lavoratori provenienti dall’Inail, esperti di sicurezza, e un lavoratore con una laurea al conservatorio musicale», prosegue il sindacalista.
Chiosa Indolfi: «Indubbiamente è in gioco la qualità del servizio, la tutela dei richiedenti asilo, ma anche i diritti di centinaia di lavoratori a cui il ministero chiede, con un’impostazione produttivistica, di valutare le domande con estrema velocità, a ritmi folli».
«Siamo di fronte a un enorme carico di lavoro. È sempre stato così, del resto, da quando le commissioni sono state istituite nel 2016, ma ciò che è cambiato negli ultimi mesi sono le pressioni politiche che da Roma cadono a cascata sulle sedi locali per aumentare i numeri delle decisioni», rileva un funzionario di una commissione territoriale a cui Domani ha garantito l’anonimato. «L’indicazione che è stata data dal presidente della commissione nazionale asilo è stata di processare una media di due domande al giorno da parte di ognuno di noi, indipendentemente dalle ferie, dalle malattie, dai giorni lavorati». Si parla soltanto dei numeri delle domande, senza considerare invece che sono proprio i tagli, come quelli al servizio di mediazione linguistica e culturale, a rendere difficile le audizioni, che spesso vengono rinviate più volte per mancanza di mediatori», conclude.
minacce di provvedimenti disciplinari
Sia come sia, la situazione è omogenea, dal punto di vista delle criticità, dal nord al sud del paese. Le pressioni, a volte, si trasformano in vere e proprie minacce di provvedimenti disciplinari, racconta un’altra funzionaria: «Chiaramente si tratta di minacce verbali a cui non viene dato seguito, mancandone i presupposti, ma molti presidenti di commissioni che sono vice-prefetti sono particolarmente sensibili ai desiderata del ministero, premono per adottare le decisioni in maniera veloce, in molti casi in senso restrittivo per i richiedenti asilo. Diciamo che per alcuni presidenti quello che dice il ministero è legge, invece noi godiamo di autonomia di decisione nel nostro lavoro, fermo restando l’adesione alla Costituzione e al diritto internazionale».
Già, perché la richiesta d’asilo e protezione internazionale non è soltanto una procedura burocratica, e non riguarda soltanto le storie drammatiche di sofferenza e di violenza delle persone che arrivano in Italia scappando da tutto ciò, ma anche centinaia di lavoratori dello stato che hanno le competenze, l’esperienza e la professionalità in grado di cambiare la vita di queste persone e, dunque, hanno il diritto di lavorare in autonomia e serenità, senza subire pressioni dal potere politico, specie se è lo stesso che adottando determinate norme provoca guasti al sistema.
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