In 60mila solo a Roma. Landini: «Siamo la maggioranza, il governo ci ascolti». Salvini “orgoglioso” di aver precettato i trasporti, Meloni tiene i toni bassi. Ma è guerra delle cifre sulle adesioni: per il ministero solo il 5 per cento
«Adesso basta, siamo la maggioranza di questo paese e vogliamo essere ascoltati. Per questo continueremo con gli scioperi. Siamo sulla strada giusta e non ci fermiamo».
Maurizio Landini dal palco di piazza del Popolo pronuncia la parola chiave della giornata, «maggioranza», e spiega che lì davanti a lui, immersi nella monumentale coreografia di striscioni e grossi palloni in rosso Cgil e blu Uil, ci sono anche lavoratori che hanno votato a destra e che ora sono delusi perché «non una delle promesse fatte» dal governo, sono state «rispettate»: cita l’abolizione della legge Fornero, la lotta all’evasione (sono arrivati invece 17 condoni), la tassazione degli extraprofitti.
Giorgia Meloni può crederci o no; può spiegare, come fa da Zagabria, che l’emergenza «nazionale» non sono i salari bassi ma i migranti; può liquidare il sindacato come avversario pregiudiziale, negando errori nella manovra perché tanto «lo sciopero è stato lanciato in estate» quando lei quella legge «neanche avevo cominciato a pensarla» (è vero, se ne parlava da tempo, ma è stato deciso il 26 ottobre); può ridimensionare tardivamente la scelta del ministro Salvini di precettare i lavoratori dei trasporti («dopo il pronunciamento del Garante era dovuto da parte nostra»).
Ma in ogni caso sui numeri e sul colpo d’occhio della giornata dovrà riflettere: 60mila a Roma in piazza del Popolo, per Cgil e Uil, i due sindacati che le hanno organizzate; e piazze piene, nellaprima tappa dello stop generale, da Firenze, Perugia, Ancona, Ascoli Piceno, Pesaro, Fermo, Macerata, Lanciano, Campobasso. «Piazze strapiene contro l’attacco alla democrazia. Questa non è solo una piazza del Popolo strapiena, ma è la piazza del popolo dei lavoratori», secondo Landini,
«Una risposta di democrazia a chi fa il bullo istituzionale» aveva detto poco prima il segretario Uil Pierpaolo Bombardieri all’indirizzo di Salvini.
Il weekend di Salvini
Dal palco, prima dei due leader, parlano i delegati sindacali e due studenti (il corteo della Rete studenti entra in piazza dopo un presidio mattiniero sotto il ministero dell’Istruzione, ci sono anche i prof), dopo un minuto di silenzio per i 559 morti sul lavoro nei soli primi sette mesi del 2023.
«Abbiamo rovinato il week end a Salvini», grida Valentina Rinaldi, poliziotta della Polizia locale di Roma, delegata Rsu. Sale un applauso che è anche un po’ una risata – in piazza migliaia di cartelli, ma il più visto è «Precetto Laqualunque», citazione dalla prima del manifesto –. In quel momento, da Bari, il ministro dei Trasporti rivendica di essere «orgoglioso che oggi 20 milioni di italiani possano muoversi liberamente perché il diritto allo sciopero di una minoranza non può ledere il diritto alla mobilità della maggioranza».
Sarà anche orgoglioso di aver precettato i trasporti – una delegazione fa una rapida apparizione sul palco, poi devono correre a tornare a lavorare, per loro solo 4 ore di sciopero –, dovrebbe esserlo anche di aver dato una bella spinta alle manifestazioni, come sibilano molti suoi colleghi di maggioranza.
Bombardieri ha il compito di illustrare le ragioni della protesta: la manovra non interviene sui salari bassi; sulla perdita del potere d’acquisto di retribuzioni e pensioni; non ha investimenti per sanità (lo dice anche la relazione dell’Ufficio di bilancio del senato, smentendo il governo), scuola e contratti del pubblico impiego; la riforma fiscale non premia chi paga le tasse; peggiora i requisiti per uscire dal lavoro, e il taglio di Opzione donna «è una vergogna».
Il leader Cgil allarga alle riforme sfidando chi lo accusa di «fare politica», chiede il «cessate il fuoco» in Medio Oriente. E soprattutto promette di «andare avanti» anche contro «il disegno di chi vuole cambiare il modello della democrazia del nostro paese, un’idea autoritaria». Tenere a mente, la Cgil ha robustamente contribuito alla sconfitta dei referendum costituzionali.
Un frontale indesiderato
Meloni infatti non aveva in programma il frontale con il sindacato. E non ha apprezzato lo scatenamento di Salvini. Circola la voce che alla festa di Atrejus, a dicembre, voglia invitare Landini, dopo aver incassato il no di Schlein. Dalla Cgil la risposta è asciutta: «Nessun invito ne informale né tantomeno formale».
Schlein ieri non è tornata in piazza del Popolo, dopo la manifestazione del Pd di sabato scorso. Neanche Conte c’era (c’erano invece i rossoverdi Fratoianni e Bonelli). Del Pd è arrivata una nutrita pattuglia di dirigenti, di grillino uno solo. Le opposizioni politiche sono in asse con il sindacato, ma ieri la scena era tutta per Landini: il leader dell’opposizione sociale. Che rivendica il ruolo politico del sindacato: «Lo ricordo a chi ha precettato lo sciopero, il primo grande sciopero che ha aperto una stagione nuova in Italia è stato quando nel 1943, in piena guerra, in piena dittatura, le lavoratrici e i lavoratori d’Italia sono scesi in piazza contro la guerra e per la libertà».
Paragone forte. Ora bisognerà capire se questa piazza racconta l’umore del paese esasperato dalla crisi economica, o se è «un’esigua minoranza», come sostiene Salvini. La Cgil fornisce i dati delle aziende toscane e marchigiane e laziali che si sono fermate del tutto, o all’80 per cento.
Ma la guerra dei numeri è sui settori che si sono fermati a livello nazionale: pubblico impiego, scuola, università, ricerca, Poste. E trasporti, dove «si registrano picchi del 100 per cento nei porti, 80 nella logistica e nei Tpl e 70 nel trasporto ferroviario», il comparto sottoposto a precettazione. Per Cgil e Uil comunque «nel Centro Italia, adesioni medie di oltre il 70 per cento».
Secondo il ministero invece la storia è tutta diversa: il traffico sulla rete di Rfi è stato «regolare, con adesioni intorno al 5 per cento». Nessun treno ad alta velocità è stato soppresso, le adesioni del personale dei regionali «è sotto il 16 per cento».
Ma il bilancio si farà alla fine: la mobilitazione di Cgil e Uil prosegue con gli scioperi e le manifestazioni in Sicilia il 20 novembre, nelle regioni del Nord il 24, della Sardegna il 27 e delle regioni del Sud il primo dicembre. 58 piazze su cinque date, una mobilitazione continua, era questa l’idea, nessun partito di opposizione potrebbe ambire a tanto: ma da queste proteste potrebbe prendere lo slancio, se è in grado.
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