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I numeri in parlamento non rispecchiano quelli nei sondaggi. Con 127 parlamentari, i forzisti sanno di pesare sia sull’elezione al Colle che nel governo, in vista della federazione con la Lega.
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Salvini questo lo sa bene, non a caso le sue intemperanze nei confronti dei ministri e del governo non toccano mai le posizioni di Forza Italia, con cui è in attesa di costruire una cabina di regia in vista della federazione.
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La prospettiva non convince tutti: dall’interno del partito si considera quasi scontata la fuoriuscita di Gelmini e Carfagna, che hanno da subito mostrato resistenza davanti al progetto e potrebbero prendere strade diverse.
Nei sondaggi scivola tra il 6 e il 7 per cento, ma fino al termine della legislatura quel che contano sono i numeri in parlamento. E lì Forza Italia conta un drappello solido e piuttosto nutrito di 77 deputati e 50 senatori, a cui per l’elezione del presidente della Repubblica andranno aggiunti anche i delegati regionali.
Ecco perchè, nella complicata dinamica interna al centrodestra, gli azzurri in questa fase sono i più tranquilli: sanno che il leader della Lega, Matteo Salvini, ha bisogno di loro per la partita del Colle e sono pronti a scommettere sul fatto che nessun parlamentare sia disposto a staccare la spina all’esecutivo Draghi e ritornare alle urne.
Il rapporto con la Lega
Per ora i rapporti tra i due partiti sono di relativo distacco. Salvini continua con la strategia della tensione, contestando più o meno animatamente i passi del governo ma senza poi mai strappare veramente. Il suo obiettivo è quello di rincorrere elettoralmente Fratelli d’Italia, che nei sondaggi continua ad essere il primo partito del centrodestra, seppur di qualche decimale, e che sta capitalizzando al massimo il suo ruolo all’opposizione.
«Ma il consenso è come la benzina: brucia in fretta. L’unico che eccezionalmente è riuscito a mantenerlo vent’anni si chiama Silvio Berlusconi», commenta una dirigente azzurra di lungo corso. Per questo Forza Italia prosegue invece su una linea moderata e governista, senza mai alzare i toni e allineandosi a Draghi in tutte le battaglie importanti, ben consapevole che alla fine anche Salvini farà lo stesso. Una su tutti quella in favore dell’obbligo vaccinale, per cui Forza Italia si è spesa e ha esercitato una paziente opera di mediazione anche sul fronte leghista.
La certezza, dentro Forza Italia, è che i posizionamenti di Salvini siano pura tattica, «ma alla fine quello che conta è come si vota in consiglio dei ministri». La dinamica, allora, è quella del poliziotto buono e del poliziotto cattivo, con l’obiettivo di strappare al governo qualche concessione in più nelle limature dei decreti, a cui si aggiungono quelli che un dirigente azzurro definisce «ufficiali di complemento leghisti», uno su tutti Giancarlo Giorgetti, che sempre più spesso deve adoperarsi per contenere l’irruenza di Salvini ed evitare che sfoci in posizioni che alterino in modo determinante la posizione della Lega al governo. Un’irruenza che, comunque, non investe mai i tre ministri forzisti Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Renato Brunetta.
Del resto, lo stesso Salvini è consapevole di quanto in questa fase politica i numeri di Forza Italia gli siano indispensabili. Sempre nell’ottica di blandire Fi è stata letta (e apprezzata) la dichiarazione di Salvini in favore di Silvio Berlusconi legittimo aspirante al Colle.
La chiave di volta dei rapporti tra i due partiti, comunque, sarà la prima riunione della cabina di regia: un coordinamento, che sarà anche parlamentare, e che dovrebbe iniziare a mettere i presupposti per la fusione tra i due partiti. Doveva svolgersi entro fine settembre, è stata posticipata dopo il 4 ottobre in attesa dell’esito delle amministrative. «Una volta che creata, anche le fughe in avanti leghiste dovrebbero venire meno», spiega un dirigente che dovrebbe farne parte.
La federazione
I prossimi mesi saranno quindi interessanti sul fronte di Forza Italia. A livello parlamentare gli azzurri sanno di contare, soprattutto nel risiko imprevedibile del Quirinale: «Sarà un’elezione peculiare perchè a pesare non saranno gli accordi politici, ma quelli parlamentari. Sarà l’ultimo parlamento in composizione piena prima del taglio e i parlamentari voteranno anche per la loro stessa sopravvivenza, almeno fino al 2023», spiega una senatrice ha il polso dell’Aula. Tradotto: difficilmente si piegheranno a votare Mario Draghi, la cui elezione al Colle decreterebbe il termine anticipato della legislatura.
Dunque la prospettiva su cui scommette Fi è quella di altri due anni di rilievo parlamentare. Due anni in cui costruire la strada prima di una federazione con la Lega, pur con tutta la fatica di fondere l’indole moderata degli azzurri con quella movimentista dei leghisti, poi anche di un partito unico in vista delle elezioni del 2023.
La prospettiva non convince tutti: dall’interno del partito si considera quasi scontata la fuoriuscita di Gelmini e Carfagna, che hanno da subito mostrato resistenza davanti al progetto e potrebbero prendere strade diverse. Per quelli che si definiscono «ortodossi berlusconiani», invece, il percorso è considerato «ineludibile». Del resto, i dirigenti hanno preso atto del fatto che la volontà di federarsi con la Lega sia maggioritaria nei territori, dove la crisi di consensi è già stata toccata con mano. Gli ottimisti ne parlano come di una «prospettiva di futuro positiva per Forza Italia, da costruire da oggi al 2023», in cui la migliore delle ipotesi sarebbe quella di un «listone unico anche con Meloni». Con cui però, oggi, la distanza da colmare è molta.
Intanto, i parlamentari più di battaglia rimangono coi piedi per terra e si concentrano su febbraio 2022: «Per l’elezione al Colle siamo dirimenti e Salvini lo sa». E allora sono pronti a fare lo stesso gioco del leader leghista, però dietro le quinte e non con dichiarazioni roboanti: alzare la posta in gioco per ottenere qualcosa in cambio. Per esempio, un’assicurazione sul futuro.
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