- L’eurodeputata: «L’addio di Borghi e di Caterina Chinnici è una ferita, ma sbaglia chi se ne va nelle ridotte identitarie. Dobbiamo rappresentare chi è tentato di lasciare i dem».
- «La spesa militare è anche la protezione dagli attacchi cyber, che ormai sono uno strumento di guerra. Se M5s non è d’accordo, nessuna alleanza può essere presa in considerazione».
- «Apprezzo lo sforzo della segretaria di parlare a un pubblico diverso da quello nostro. Ma poi non deve sorprendere se, da Vogue, l'unica cosa che passa è il tuo look e il contenuto politico scompare».
Pina Picierno (vicepresidente dell’europarlamento, ndr) il Pd resta la casa dei cattolici democratici?
Certo. Io, che vengo da quella formazione, resto legata alle ragioni fondative del Pd. Si discute e ci si divide sulla proposta politica, non sulle identità di provenienza. E noi cattolici democratici siamo chiamati a rendere la proposta politica plurale e rappresentativa di questa cultura che è stata, è e sarà sempre fondamentale per l’essenza stessa del Pd. I terreni di sfida per chi è riformista, tanto più con questa destra al governo, sono tanti: dal lavoro - oggi viene varato un decreto che rende il lavoro più povero e più precario -, all’autonomia differenziata, alla povertà in aumento. Ma la povertà, questione cara anche alla segreteria, deve essere affrontata anche per il ceto medio, che rischia di scomparire con gravi danni anche per la tenuta democratica. Su questi terreni daremo un contributo per fare quello per cui il Pd è nato: cambiare il paese.
L’ex ministro Andrea Orlando vi canzona: dice che ci sono tanti riformisti di cui non si ricordano le riforme.
Per fare le riforme non basta stare al governo, c’è bisogno del consenso popolare. Competenze e consenso vanno insieme: le une senza l’altro sono o populismo o gestione senza anima del potere. Per questo agli amici che hanno lasciato il Pd, Enrico Borghi e a Caterina Chinnici - una ferita, per me che vivo il partito come una comunità - dico che sbagliano: il paese non si cambia con ridotte identitarie, ma solo dentro un grande partito popolare.
Per fare le riforme, cioè governare, un partito non basta, serve un'alleanza. E voi siete lontani da M5s e Terzo polo.
Se le divisioni dovessero riguardare la politica estera e gli impegni internazionali, penso che nessuna alleanza possa essere presa in considerazione.
Quindi niente alleanze con M5s?
Mi ha sorpreso la firma di Conte sul referendum contro le armi. Quando era premier ha assunto impegni seri sulle questioni internazionali, e anche al finanziamento dei piani militari.
Schlein è per gli aiuti all’Ucraina, ma contro l’aumento delle spese militari.
Ma sostiene che serve un’autonomia strategica dell’Ue. Che si costruisce con un esercito comune europeo. Per farlo, bisogna investire in questo settore. La spesa militare poi non è solo in carri armati, è anche investimenti su intelligence, protezione dagli attacchi cyber, che ormai sono uno strumento di guerra. Ci vogliamo proteggere su questo fronte? Noi non siamo ben attrezzati, ci dobbiamo investire.
I cattolici non sono tutti a favore dell’aiuto militare all’Ucraina, molti sono contro le armi, e pacifisti come il papa.
La guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina viene vista da molti con lenti novecentesche, e vengono lette in modo polarizzante e semplicistico le iniziative diplomatiche della Santa Sede. Invece sono frutto dell’esercizio di un soft power necessario, che caratterizza l’iniziativa diplomatica del Vaticano, con fortune alterne. Rispetto la posizione di Papa Francesco, è il tentativo di mantenere aperta una finestra di dialogo. Ma al negoziato l’Ucraina deve arrivare integra. Giovanni Paolo II diceva che “non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono” e da cattolica impegnata in politica utilizzo questa bussola. Trovo attuale la riflessione di Emmanuel Mounier sulla legittima difesa contro la politica di appeasement con il nazismo, ben sintetizzata nel suo “I cristiani e la pace”, rieditato di recente da Stefano Ceccanti.
Avete perso il congresso. State cercando di tornare a contare, come già con la nascita dell’area ulivista?
No, è una lettura ridicola. Il congresso è finito e la leader è Elly Schlein. Siamo tutti nell’ottica di darle una mano. Gli assetti interni sono stati definiti, archiviamo questa fase e discutiamo di politica: di come vogliamo cambiare il paese.
È finito il suo tandem con Stefano Bonaccini. Farà una corrente?
La risposta alla domanda di novità emersa dal congresso richiede uno sforzo, anche nelle modalità di coinvolgimento dei militanti. E trovo paradossale che la mozione non abbia indicato in segreteria nessuno proveniente dall’unica area geografica in cui ha vinto: il Mezzogiorno. Per quel che mi riguarda, sono impegnata a rappresentare al meglio che posso i riformisti. Anche perché, più che dei nomi noti che se ne vanno, sono preoccupata dal possibile disimpegno silenzioso. Ma l’ha detto Schlein: le differenze devono essere un valore e il partito deve essere plurale.
Vincenzo De Luca ha sfotticchiato Schlein perché ha una consulente d’immagine, un’armocromista. A lei fa ridere?
Quell’intervista a Vogue è piena di contenuti. Ma il mezzo è il messaggio, ce lo ha insegnato McLuhan. Era prevedibile che su quel giornale sarebbero emersi più certi contenuti che altri. Poi so bene che se una donna mostra uno stile di vita la paga cara, viene accusata di debolezza frivola, se lo fa un uomo è un gesto di libertà. E questo è inaccettabile.
Cioè Schlein non doveva provare a farsi conoscere da un elettorato femminile che non la conosce?
Apprezzo lo sforzo della segretaria di parlare a un pubblico diverso da quello nostro tradizionale. Ma che le posso dire? Io non ho mai comprato Vogue e a Caserta dal parrucchiere si trovano riviste più popolari.
Nonostante qualche scivolone, la destra è unita. Ma davvero pensa che l'alleanza solo di un pezzo del campo democratico possa battere la destra, oppure siete rassegnati a perdere di nuovo?
Intanto dobbiamo lavorare sulle proposte che il Pd offre al paese, e su queste chiedere il consenso popolare. Poi, la destra fa il suo mestiere e cioè governare. Ma lo fa male, e presto gli elettori si renderanno conto di quanto sia ideologica e quanto faccia e farà sempre peggio al paese. Quando un ragazzo del Sud vedrà gli effetti dell'autonomia differenziata e capirà che la distanza dei suoi diritti rispetto ad altre parti del paese aumenta, perché dovrebbe votare a destra? L'elettorato è fluido, oggi Fdi ha consensi elevati ma qualche anno fa non li aveva, il Pd è passato dal 40 per cento a meno del 20. La destra si può battere, ma se convinciamo che fa male al paese, non sulle alchimie elettorali.
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