La vicepresidente del parlamento europeo: «Da Giuseppe Conte attacchi inqualificabili». «No alla solita retorica anti-correnti e anti-cacicchi. Al sud una nuova classe dirigente c’è già»
Pina Picierno, vicepresidente del parlamento europeo, casertana doc, dopo le inchieste pugliesi il Pd adotterà un codice etico. Al Pd serve un codice etico?
Un codice etico esiste dal 2008, un codice molto dettagliato perché la legalità e la trasparenza sono state sempre al centro delle riflessioni dei fondatori. In ogni competizione i candidati presentano il casellario giudiziario. La questione è mal posta, non è un fatto procedurale. Noi le “cartuscelle” le presentiamo già. La questione è politica e organizzativa. Da troppo tempo assistiamo a una sovrapposizione totale fra l’iniziativa politica e quella elettorale. E questo determina una degenerazione di pratiche, con il rischio di trasformare tutti i partiti, non solo il Pd, in una macchina da clientele. E quando non si ha più un elettorato di opinione, il rischio di condizionamento del voto è più alto.
Che vuol dire “questione politica”?
Io ho iniziato a fare politica da giovanissima con i movimenti antimafia: è la mia formazione militante. E continuo a pensare che la questione della legalità deve essere affrontata insieme a quella delle politiche per ridurre i divari. Don Luigi Ciotti per primo ha parlato di antimafia sociale e ancora oggi ci ripete che la prima pratica antimafia è dare opportunità di crescita e sviluppo dei territori.
Il Pd si affiderà a Franco Roberti, ex procuratore antimafia.
Tutto è utile. Ma la buona politica non nasce per decreto. Serve la fatica quotidiana: la buona politica è lotta tutti i giorni, spesso in territori marginali e quindi molto faticosa. E serve un partito plurale, organizzato e vigile.
Un partito plurale? I vertici del Pd, da Schlein a Bonaccini, sostengono che bisogna combattere le correnti.
Io sono una indisciplinata, nelle correnti ci sono stata ma sempre ragionando con la mia testa, sono la meno adatta a fare la difesa delle correnti. Ma la retorica anti correnti ha stufato. Si dimette un segretario e la colpa è delle correnti, il Pd va male alle elezioni e la colpa è delle correnti, ora ci sono le infiltrazioni del malaffare e la colpa è delle correnti. Ma sicuri? E poi tutti quelli che dicono così hanno una corrente. Il Pd ha bisogno di un ingaggio collettivo, di correnti e spifferi. Se qualcuno pensa di risolverla da solo, o di utilizzare quest’occasione per dire “comando io”, sbaglia: serve il contrario esatto.
La segretaria deve prendere in mano la situazione per rispondere agli attacchi di Conte?
Gli attacchi di Conte sono inqualificabili. Dovremmo ricordargli che ci sono condannati anche nelle sue file? Il suo è un atteggiamento che non è da forza progressista. Poi non so se M5s è una forza progressista, per me non lo è, visto che ha difficoltà nello scegliere fra Trump e Biden. Le forze progressiste dovrebbero assumere un impegno comune. E le primarie di Bari potevano essere proprio l’occasione comune di fare della trasparenza una questione centrale e di popolo.
Se Conte non è progressista, come farà il Pd a battere la destra?
Io la penso come Walter Veltroni: non ci interessa se il campo è largo o stretto, ci interessa cosa ci seminiamo. Io continuo a pensare che il campo sia il Pd. Il Pd nasce con questa ambizione.
Certo, la vocazione maggioritaria. Ma il Pd non è mai stato autosufficiente. Senza M5s come potreste vincere?
La politica è visione, non solo aritmetica. Poi le alleanze si debbono fare, e ci sono anche belle esperienze nei territori, penso al comune di Napoli con Gaetano Manfredi. Ma per funzionare devono avere delle regole condivise e un metodo. Che invece al momento non ci sono. Dalla Basilicata a Bari persino alla Sardegna, dove si è vinto, non può passare l’idea che l’alleanza c’è solo se il candidato va bene a Conte. E bisogna chiarire i contenuti: che ce ne facciamo dell’aritmetica vincente se poi facciamo la fine di Prodi con Turigliatto? Infine, per un’alleanza serve uno sforzo comune: e non è che questo sforzo lo può fare sempre e solo il Pd.
La segretaria, dall’inizio, ha lanciato un avviso ai cacicchi del Pd. I voti dei cacicchi puzzano?
Ma chi sono i cacicchi? Mi piacerebbe che si parlasse più chiaro. Nel corso degli anni c’è chi ha annunciato persino i lanciafiamme, ma poi sul territorio siamo rimasti sempre noi a parlare di legalità. Per carità, ci sono i grandi portatori di voti, ci sono questioni locali che vanno attenzionate, ma gli slogan non servono. Anche perché ci sono consiglieri regionali molto votati che sostengono la segretaria: sono meno cacicchi degli altri?
Senza i cacicchi, il Pd al Sud scompare?
Questa è il racconto che fa chi i Mezzogiorno non lo conosce. Nel Mezzogiorno esiste già una classe dirigente diffusa, capace di promuovere buona politica.
E capace anche di portare voti?
Certo. Un esempio: Nicola Irto, segretario della Calabria, oggi il più giovane senatore Pd, è uno che prende un sacco di voti. Nel Mezzogiorno ci sono sindaci, consiglieri che fanno buona politica ogni giorno. Il tema è come noi promuoviamo questa classe dirigente. La selezione si fa con uno solo che decide le liste? No, la si fa ascoltando di più i territori. A patto che il partito sappia fare la selezione della classe dirigente. E interrompe l’intermediazione patologica della politica nella vita delle persone, dal posto di lavoro, al posto letto in ospedale al lampione. I diritti non sono concessioni mediate dal politico di turno.
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