Radicamento socio-territoriale e capacità di coniugare crescita economica con attenzione alle disuguaglianze e alla protezione sociale. Dalle elezioni regionali il centro-sinistra può trarre diversi insegnamenti. Senza dimenticare la sfida della sostenibilità ambientale
All’indomani delle elezioni regionali in Emilia-Romagna, le previsioni sono state confermate: il centro-sinistra ha vinto con un largo margine, nonostante l’allarmante crescita dell’astensionismo. Nelle regionali del 2020, il centro-sinistra, con Stefano Bonaccini, aveva mantenuto la regione dopo una competizione serrata. Allora i sondaggi ipotizzavano una possibile vittoria della candidata di centro-destra.
In precedenza, il Partito democratico (Pd) aveva subito pesanti arretramenti, superato dal Movimento 5 stelle nelle politiche del 2018 e dalla Lega di Matteo Salvini nelle europee del 2019.
In questa tornata elettorale, invece, l’esito è apparso scontato fin dall’inizio, anche grazie all’ampia coalizione a sostegno del candidato di centro-sinistra. Michele de Pascale ha ottenuto il 56,8 per cento dei voti, distanziando di quasi 17 punti la candidata del centro-destra Elena Ugolini, che ha prevalso solo nella provincia di Piacenza.
Il “modello emiliano”
Il Pd ha riguadagnato percentuali di “altri tempi”, raggiungendo il 42,9 per cento e superando Fratelli d’Italia di 19 punti. Ciò rappresenta un’inversione rispetto alle precedenti regionali, dove il divario con la Lega era di soli tre punti. La ripresa si è evidenziata anche nei distretti industriali, storicamente favorevoli alla sinistra, con il centro-sinistra che ha conquistato otto comuni capofila su tredici.
Le ragioni di questa tenuta vanno oltre il tradizionale “voto di appartenenza”, spiegazione subito invocata dagli opinionisti ma che appare riduttiva e quasi tautologica. In un contesto nazionale in cui la volatilità elettorale è divenuta la norma, la persistenza di una cultura politica solida in questa regione trova una parte di spiegazione nel cosiddetto “modello emiliano”.
Un esempio di modernizzazione equilibrata che coniuga crescita economica e politiche sociali avanzate, dinamismo di mercato e regolamentazione pubblica. Tale modello, sinonimo di “buon governo” anche a livello internazionale, secondo lo storico Donald Sassoon, si fonda su tre pilastri: solide performance economiche, inclusione sociale e buona qualità della governance locale.
Nonostante il rallentamento dell’economia nazionale, l’Emilia-Romagna ha il più alto tasso di occupazione tra le regioni a statuto ordinario e il secondo Pil pro capite più elevato, superiore del 13 per cento alla media europea. Dal 1995 al 2022, il tasso di crescita regionale, in termini reali, ha leggermente superato quello della Lombardia. La ricchezza pro capite delle famiglie supera del 26 per cento la media italiana, e la regione, secondo la Banca d’Italia, mostra disuguaglianze di reddito e spesa tra le famiglie relativamente contenute.
Al benessere economico si affianca un alto livello di servizi collettivi, con una qualità della vita tra le migliori d’Italia: Bologna è seconda nella classifica del Sole 24 Ore, dopo essere stata prima nel 2020 e nel 2022. Il rapporto regionale sul Benessere equo e sostenibile evidenzia l’alta qualità dei servizi pubblici, con punti di forza nell’istruzione e nella sanità. Il rapporto Gimbe, infine, colloca la regione al primo posto per erogazione dei livelli essenziali di assistenza.
AlleregionaliinUmbriaedEmilia-Romagnadueazeroperilcentrosinistra:ilPdvolaDisaffezione e protesta
Questo equilibrio tra servizi di qualità e benessere economico è un elemento chiave del modello emiliano, che integra il ruolo del settore pubblico nella protezione sociale con un efficace sostegno all’economia privata e all’innovazione. Ciò spiega il limitato appeal delle politiche del centro-destra, incentrate su riduzioni fiscali e tagli alla spesa per settori chiave come sanità e istruzione.
Tuttavia, l’astensionismo rimane un problema, riflettendo in parte disaffezione e protesta. Anche se le recenti alluvioni non hanno influenzato il voto in maniera decisiva, il 62,5 per cento della popolazione emiliano-romagnola è esposta a rischio idrogeologico, dato che segnala le sfide ambientali ancora aperte.
L’Istituto Cattaneo, inoltre, ha rilevato un crescente divario tra le aree urbane, dove il Pd ottiene ampio consenso, e le aree interne, evidenziando la necessità di una politica più capillare e attenta ai bisogni delle zone periferiche.
Da queste elezioni il centro-sinistra può trarre insegnamenti che vanno oltre le geometrie delle coalizioni vincenti. Interpretare le esigenze dell’elettorato richiede radicamento socio-territoriale e, per acquisirne il consenso, la capacità di coniugare crescita economica con attenzione alle disuguaglianze e alla protezione sociale delle classi svantaggiate. A queste priorità si aggiunge oggi la sfida della sostenibilità ambientale e territoriale, un campo in cui, visti gli eventi recenti, l’Emilia-Romagna dovrebbe tornare a essere quel “laboratorio” di innovazione di cui parlava Palmiro Togliatti.
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