- Perché l’antipartitismo svolga una funzione “virtuosa” i partiti devono essere disposti ad ascoltare quel che bolle nella pentola della società e a cambiare, se necessario.
- Il Pd nella sua breve e travagliata storia rispecchia bene questa dialettica ad un tempo di persistenza nel tempo e al potere e di resistenza alla trasformazione: è questo che non piace a molti suoi elettori e li allontana dalle urne.
- Mettere mano alle regole è urgente se il Pd vuole superare l’isolamento. Le regole riguardano il ruolo degli iscritti e le interne strutture di decisione che devono tenere insieme pluralismo e unità, evitando effetti paralizzanti e di chiusura alla partecipazione e al coinvolgimento largo dei cittadini.
I partiti sono essenziali alla democrazia. Scriveva Hans Kelsen nel 1929 che solo l'autoinganno o l'ipocrisia possono indurci a credere che la democrazia sia possibile senza partiti politici. Essi sono strumenti di libertà in un ordine politico il cui sovrano è un collettivo fatto di singoli, non un organismo omogeneo. I partiti sono associazioni volontarie per articolare il conflitto politico; essi attuano il principio di maggioranza, che presuppone opposizione.
La maggioranza non è un meno peggio rispetto all’unanimità ma l’espressione della nostra libertà di formare, esprimere e cambiare idee e governi. Maggioranza, libertà politica, pluralismo sono le coordinate dei partiti. Questa loro funzione attiva giustifica la nostra attenzione a come i partiti si finanzino, quale sia la loro struttura interna di decisione, che legami hanno con gli interessi organizzati, come attuano la formazione, la selezione e il controllo del personale politico. Ma benché essenziali, l’animosità dei cittadini contro i partiti è permanente.
È un fatto fisiologico e non sempre negativo: una qualche diffidenza verso i partiti (anche quelli che scegliamo) è basilare, come un termometro che misura le nostre opinioni e che dovrebbe animare la critica costruttiva e una permanente manutenzione. Perché l’antipartitismo svolga una funzione “virtuosa” i partiti devono essere disposti ad ascoltare quel che bolle nella pentola della società e a cambiare, se necessario. Tocqueville diceva che i cittadini democratici sono mossi dalla logica dell’”egoismo bene inteso”: lo stesso si può dire dei partiti. Il Pd nella sua breve e travagliata storia rispecchia bene questa dialettica ad un tempo di persistenza nel tempo e al potere e di resistenza alla trasformazione: è questo che non piace a molti suoi elettori e li allontana dalle urne.
La segretaria Elly Schlein ha promesso di rompere questo incantesimo. Ma la recente sconfitta elettorale ha rallentato questa tensione al rinnovamento e il dissenso interno sembra avere ancora una volta un effetto paralizzante invece che tonificante. Mettere mano alle regole (ce lo hanno ricordato alcuni studiosi in un convegno bolognese giorni fa) è urgente se il Pd vuole superare l’isolamento. Le regole riguardano il ruolo degli iscritti e le interne strutture di decisione che devono tenere insieme pluralismo e unità, evitando effetti paralizzanti e di chiusura alla partecipazione e al coinvolgimento largo dei cittadini.
Manutenzione: con lo scopo di far sì che nei luoghi della vita sociale, dai quartieri delle città alle regioni, i cittadini che vogliono partecipare trovino nel partito un punto di riferimento, aperto e determinato. Per coinvolgere i cittadini l’organizzazione è vitale; e chi di essa si occupa dovrebbe con competenza e determinazione mettersi al lavoro.
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