Prima i definanziamenti in massa dei progetti del Pnrr. Poi il taglio strutturale per i prossimi cinque anni dalla spesa corrente, messo in conto già nella legge di Bilancio. E ancora i lacci dell’accentramento burocratico fino alla limitazione dei poteri sull’installazione degli autovelox.

Il governo Meloni, che pure promette l’autonomia differenziata (in calendario alla Camera), continua a usare forbici e pugno duro verso gli enti locali.

Altro che sostegno agli amministratori comunali, spesso raccontati come degli eroi in prima linea. Ne sanno qualcosa appunto i sindaci. In oltre un anno e mezzo la destra al potere non è stata tenera nei loro confronti.

E nei fatti sono costretti a fare i conti con i tagli per la prima volta dopo otto anni, facendo segnare un’inversione di tendenza rispetto al maggior investimento previsto nell’ultimo decennio.

Cambio di direzione

Del resto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è stato chiaro: «Tutti devono fare sacrifici». Nessuno escluso. Un vento che spira in una direzione opposta soprattutto rispetto alla logica che ha mosso il Pnrr.

Il Piano aveva messo i comuni al centro del rilancio economico come attore istituzionale per favorire la coesione sociale dopo la pandemia. Per questo motivo erano stati introdotti dei finanziamenti, sulla carta minori, con lo scopo di velocizzarne la realizzazione. E dare un risultato tangibile ai cittadini.

La strategia di Meloni, con la benedizione di Mr. Pnrr, il ministro Raffaele Fitto, ha portato a un’altra strada. La legislatura è iniziata nel segno dell’incertezza: palazzo Chigi ha messo nero su bianco massicci definanziamenti delle opere comunali per un totale di 13 miliardi di euro.

Ci sono state polemiche e proteste. Così la cifra è stata successivamente recuperata per garantire i fondi necessari ai cantieri, che nel frattempo erano in stand-by. A pieno regime, invece, ha girato la campagna di comunicazione contro «il rifacimento delle ringhiere», uno storytelling al limite della denigrazione delle spese comunali. Sul tavolo, comunque, restano alcuni milioni di euro tagliati qua e là su singoli progetti, dopo mesi tenuti a bagnomaria.

Il decreto del Mef, in accordo con il ministero dell’Interno di Matteo Piantedosi, è arrivato in queste ore come l’ennesimo atto di una guerriglia strisciante che l’esecutivo sta portando avanti nei confronti dei sindaci. La riduzione dei fondi è di 200 milioni di euro all’anno dal 2024 al 2028 per un totale di un miliardo di trasferimenti in meno, a cui si sommano i 250 milioni sottratti alle province.

Il ministro del Pnrr, Raffaele Fitto, ha cercato di sollevare una cortina di fumo intorno alla vicenda, negando un taglio alla spesa sociale – che in effetti non c’è – ma omettendo che con la riduzione della spesa corrente potrebbe davvero diminuire l’investimento pubblico per i servizi. E quindi produrre effetti sul sociale.

Non a caso l’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) e l’Unione province italiane (Upi) hanno inviato una lettera per chiedere un chiarimento al governo sui meccanismi previsti. Il Pd, intanto, porterà la vicenda alla Camera: nelle prossime ore a Montecitorio i ministri interessati dovranno rispondere all’interrogazione in calendario per oggi durante il question time.

Autovelox e Province

La stretta sui sindaci arriva anche oltre il portafogli, limitando direttamente i poteri. Un esempio? Le nuove regole sugli autovelox, fortemente volute da Matteo Salvini, depotenziano ulteriormente il ruolo delle amministrazioni.

Le richieste dei comuni andranno d’ora in poi indirizzate ai prefetti con una certosina documentazione per spiegare come l’installazione dei rilevatori di velocità possa effettivamente ridurre il numero di incidenti e quindi di feriti. C’è bisogno di un dossier preliminare, che diventa difficile da predisporre per enti locali già in affanno con le pratiche ordinarie.

Solo dopo il prefetto può avallare. Insomma, il governo in versione “fleximan” ha deciso di limitare l’impiego di questo strumento così inviso ad alcuni cittadini. Dando “piede libero” per accelerare sulle proprie auto senza grosse preoccupazioni di ricevere multe per eccesso di velocità.

Una limitazione alle funzioni era già arrivata in precedenza, su un altro fronte: quello delle pratiche per aprire attività attraverso l’utilizzo di fondi di coesione. Nel decreto Sud, approvato alla fine dello scorso anno, ha preso forma l’accentramento delle pratiche più semplici, anche per aprire delle attività come b&b o un negozio: dagli enti territoriali le competenze sono state trasferite al ministero di Fitto.

E che il governo non abbia così a cuore gli amministratori locali è definitivamente chiarito con l’umiliazione delle province. La Lega ha spinto per il loro ripristino, già dalla metà del 2024, accarezzando il sogno di un voto in concomitanza delle europee e delle comunali.

A inizio legislatura, al Senato, è stato incardinato il disegno di legge, cercando un’intesa, con Salvini in persona che prometteva uno sforzo per una rapida approvazione. Ma sono state parole al vento: l’iter del provvedimento si è perso nelle nebbie di palazzo Madama.

Dopo, non contento, il governo sostenuto dai leghisti, che esprimono il ministro dell’Economia, ha deciso di tagliare di 50 milioni all’anno i fondi per gli enti provinciali, che hanno già le casse ridotte ai minimi termini.

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