- Come sarà l’Italia dopo il Recovery plan? Per il sistema dei trasporti la domanda è quanto mai importante visto che si apriranno opportunità e cantieri senza precedenti: con 700 chilometri di nuove linee ad alta velocità, oltre 1.600 chilometri di rete ferroviaria.
- Non è una sfida banale per un paese in cui il dibattito politico ruota solo intorno agli elenchi di grandi opere e poco interessa cosa succederà su quelle nuove linee o risolvere i problemi che vivono milioni di pendolari.
- Non possiamo aspettare il 2026 per chiederci chi garantirà i treni sulle nuove linee nazionali e regionali, nelle città, o come ridurre i tempi delle coincidenze.
Come sarà l’Italia dopo il Recovery plan? Per il sistema dei trasporti la domanda è quanto mai importante visto che si apriranno opportunità e cantieri senza precedenti: con 700 chilometri di nuove linee ad alta velocità, oltre 1.600 chilometri di rete ferroviaria che verrà elettrificata e poi potenziamenti ai collegamenti trasversali e alle linee regionali, nuovi treni elettrici e a idrogeno.
Il punto è che oltre a vigilare perché siano rispettati i tempi degli interventi – da chiudere entro il 2026 per non perdere le risorse europee – occorre anche fare in modo che tutti questi interventi siano davvero utili ad aiutare lo sviluppo economico dei territori, la transizione ecologica, l’attrattività turistica.
Non è una sfida banale per un paese in cui il dibattito politico ruota solo intorno agli elenchi di grandi opere e poco interessa cosa succederà su quelle nuove linee o risolvere i problemi che vivono milioni di lavoratori e studenti ogni giorno. Il rischio altrimenti è che Next generation Eu rimanga un’eccezione, dovuta ai vincoli di Bruxelles che permettevano di finanziare solo infrastrutture green e che spingevano riforme nella direzione di una mobilità integrata e sostenibile.
I segnali ci sono tutti, in parlamento fioccano proposte di nuovi collegamenti ad alta velocità e autostrade perché la mentalità è ancora quella dei tempi della legge Obiettivo e ora sembra di nuovo tutto possibile, perfino il ponte sullo Stretto di Messina.
Il ministro Enrico Giovannini potrà forse riuscirci se metterà al centro del nuovo piano dei trasporti e della logistica - che ha annunciato sarà coordinato da Salvatore Rossi -, le innovazioni oggi possibili nella mobilità e la risposta ai problemi di alcune aree del paese e ai cambiamenti avvenuti negli ultimi anni.
Tra altavelocità e Intercity
Dal 2009 mentre si festeggiava il boom dei passeggeri trasportati con i nuovi collegamenti ad alta velocità (+114 per cento) crollava del 47 per cento quello sugli Intercity perché, se l’offerta dei primi è cresciuta, quella dei secondi si è ridotta lasciando interi territori praticamente senza treni.
Stessa situazione la si trova nelle regioni, con Campania, Molise, Abruzzo, Calabria, Basilicata dove è diminuito il numero di persone sui convogli, per la riduzione del servizio, e altre in cui sono cresciuti fortemente come in Lombardia, Alto Adige, Puglia, Toscana. Uguale andamento nelle città, con da una parte Milano e Firenze dove investimenti e qualità del servizio sono premiati dai cittadini e prima della pandemia i numeri erano in forte crescita e dall’altra tutte le altre con risultati imbarazzanti e aziende in crisi.
Il rapporto di Legambiente
Per citare Sergio Mattarella, queste disuguaglianze territoriali e sociali sono il freno di ogni prospettiva di crescita. Approfondire queste situazioni è imprescindibile per fissare le priorità su cui intervenire e una mano in questa direzione possono darla le analisi del nuovo rapporto Pendolaria di Legambiente.
Il primo dato che viene fuori è l’assenza di un progetto per le aree urbane, malgrado qui i problemi infrastrutturali esistano davvero con un enorme deficit di linee metro, tram e di treni suburbani che è poi la ragione di traffico e inquinamento. Quanto previsto dal Pnrr e dai fondi nazionali non consente di recuperare ancora i ritardi e realizzare interventi che i cittadini di Roma, Napoli, Palermo, Bologna aspettano da decenni.
La seconda grande questione è garantire che quando si arriva in stazione un treno lo si trovi davvero, che una volta scesi da una metro si trovi un autobus ma anche una bici in sharing da pedalare su una corsia ciclabile.
Oggi in tante regioni e troppe città rimane un sogno e non possiamo aspettare il 2026 per chiederci chi garantirà i treni sulle nuove linee nazionali e regionali, nelle città, o come ridurre i tempi delle coincidenze. Se queste sono le sfide per guardare oltre il Recovery plan, le innovazioni che stanno procedendo veloci nella digitalizzazione e elettrificazione dei trasporti potrebbero aiutare a modernizzare e rendere più semplici gli spostamenti dentro le città e tra stazioni, porti e aeroporti, sia di persone che di merci.
Ma non possiamo più stare a guardare e a lamentarci dei rischi della transizione ecologica per il nostro paese, anche perché rischiamo di non cogliere le opportunità che si sono già aperte di creazione di nuovo lavoro nelle fabbriche di treni e autobus elettrici, nella gestione di un sistema dei trasporti integrato che consente possibilità di spostamento sempre più articolate e efficienti, a emissioni zero e in sharing.
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