Il 27 settembre sarà pronta la Nadef, che definirà i margini di azione per la Legge di bilancio. Ma l’antipasto è un decreto energia che stanzia briciole per aiutare le famiglie colpite dal caro carburante. E la polemica con la Germania sulle ong non aiuta ad avere più possibilità di spesa con il placet dell’Unione europea
Un decreto piccolo piccolo per aiutare le famiglie contro il caro benzina, che fa da trailer a una manovra economica che si annuncia debole. E con tante misure, compresi gli investimenti in sanità, che finiscono in bilico. Il governo Meloni si avvicina all’appuntamento della Legge di bilancio con la scarsa dotazione di risorse che alimenta la sempiterna tentazione dei condoni per racimolare qualcosa.
In ossequio alla logica dell’una tantum. Il provvedimento che approda oggi in consiglio dei ministri, secondo le bozze circolate finora, metterà a disposizione appena 100 milioni di euro per elargire un bonus alle famiglie più in difficoltà potenziando la card “Dedicata a te”, inizialmente limitata all’acquisto di prodotti alimentari e e prorogherà il bonus bollette.
Un intervento minimal, insomma, un pannicello caldo di fronte agli aumenti del carburante, che inaugura la settimana decisiva per l’apertura del cantiere-manovra. La data cerchiata in rosso è mercoledì 27 settembre. Quel giorno sarà definita la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef), che fornirà il quadro entro cui si muoverà la prossima Legge di bilancio.
Polemica tedesca
Sarà il redde rationem, la linea di demarcazione tra i sogni e la realtà. E se il buongiorno è il mini voucher contro i rincari dei carburanti, allora c’è poco da stare allegri dalle parti di palazzo Chigi. Del resto, dal ministero dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha predicato prudenza in tutti i modi possibili.
Vuole abbassare le aspettative e placare gli appetiti di richieste dei colleghi di governo. Eppure, per quanto si possa restringere il campo degli interventi, occorrono 20-25 miliardi di euro per garantire in tranquillità il rinnovo del cuneo fiscale (costo di 9-10 miliardi di euro) e l’intervento di rimodulazione dell’Irpef (4-5 miliardi di euro), sul tavolo del viceministro, Maurizio Leo.
Se non si riesce a reperire quella somma, dovranno essere riviste le altre misure annunciate come una priorità: gli investimenti in sanità, stimati in almeno due miliardi di euro (anche se il ministro Orazio Schillaci ne ha chiesti almeno 3-4), e il sostegno alla natalità.
La certezza è che il piatto piange. In cassa ci sono 5-6 miliardi di euro, e in questo clima di affanni il governo fa di tutto per complicarsi la vita. Continua ad alzare i toni con l’Unione europea e soprattutto con la Germania, invece di favorire un dialogo proprio con Berlino per provare a ottenere da Bruxelles un margine di azione più ampio. Meno rigidità sui conti.
Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, è stato l’ultimo in ordine cronologico a prendersela con il governo tedesco per lo stanziamento di 800mila euro a favore della ong Sos Humanity, impegnata nei salvataggi nel mediterraneo: «È molto grave. Berlino finge di non accorgersi che mette in difficoltà un paese che in teoria sarebbe amico», ha attaccato in un’intervista a La Stampa.
A stretto giro è arrivata la risposta del portavoce del ministro degli Esteri tedesco: «Salvare le persone che annegano e si trovano in difficoltà in mare è un dovere giuridico, umanitario e morale». E ha ricordato che è quel che fa la guardia costiera italiana.
A tutto condono
Senza soldi e senza alleati in Europa, la soluzione immaginata dalla destra è sempre la solita: attuare delle sanatorie per raggranellare qualche miliardo. Mentre il leader della Lega, Matteo Salvini, parla di futuri condoni, anche in campo edilizio, nel decreto energia è stata già infilata una mini sanatoria. Si tratta della cosiddetta pace fiscale, espressione tipica nella neolingua della destra meloniana-salviniana per definire i condoni, sugli scontrini e le ricevute fiscali. Chi è in difetto può cavarsela versando un diciottesimo di quello che avrebbe dovuto pagare, a patto che il minimo sia duemila euro.
Così la proposta di Salvini di «sanare migliaia di piccole irregolarità architettoniche, edilizie e urbanistiche » non appare la sua ennesima trovata comunicativa, ma assume la consistenza di un’idea praticabile. Tanto che l’altro vicepremier, Antonio Tajani, è andato in scia: «Si può inserire qualche aggiustamento per delle piccole cose fatte in violazione della legge». Ma guai a chiamarlo condono. Per il segretario di Forza Italia è un intervento di «rigenerazione urbana».
Nel governo, insomma, gli umori non sono al massimo. Al Mef, di sponda con palazzo Chigi, sono intenzionati a catechizzare deputati e senatori sulla presentazione di pochi e circostanziati emendamenti alla Legge di bilancio per scongiurare il rodeo dell'assalto alla diligenza. Un silenziamento di fatto che dal ministero preferiscono definire «un appello alla responsabilità».
La strategia è stata ribadita dalla premier Giorgia Meloni in una riunione con i capigruppo della maggioranza. Addirittura circolava l’ipotesi di un azzeramento del fondo per gli emendamenti parlamentari. «Difficile che possa accadere, in tanti anni è sempre stata prevista una dotazione a disposizione delle proposte dei parlamentari» spiega a Domani una fonte governativa. Schermaglie che consegnano la preoccupazione circolante ai piani alti del governo.
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