Le vittorie sui campi non bastano, il responsabile dello sport paga i ritardi dell’Olimpiade Milano-Cortina 2026. Il dipartimento ha subito tagli nel trasferimento dei fondi e ha ottenuto poco sia dal Pnrr che dalla manovra
I modi sono quelli garbati di chi è incline al dialogo, sempre pronto a trovare la migliore soluzione possibile. Mai un decibel di troppo. Uno stile che fa pendant con l’eleganza, che è un marchio distintivo di Andrea Abodi, ministro dello Sport e dei giovani del governo Meloni, che sta vivendo un’era d’oro per il mondo sportivo, da quelli di maggiore impatto mediatico come i trionfi di Jannik Sinner e quelli meno noti, per esempio record italiano nella maratona fatto segnare da Yeman Crippa.
Abodi non passa all’incasso, resta sempre un passo indietro. «Il ministro che non c’è», dicono i più cattivi, imputandogli una scarsa azione propulsiva: i tagli ci sono (quasi 21 milioni di euro) fin dai trasferimenti economici di Palazzo Chigi.
Il ministro, intanto, non cambia passo: lo stile resta sobrio come quello dei completi che indossa. Caratteristiche che fanno di Abodi uno dei profili più enigmatici dell’esperienza della destra al potere. Con un’antinomia: lei proveniente dalla popolare Garbatella, lui frutto dei rapporti della Roma bene, la Roma Nord dei costruttori e degli imprenditori rampanti.
L’amica Meloni
Poco male. Meloni lo voleva come candidato-sindaco al comune di Roma nel 2021. Abodi avrebbe accettato volentieri ma un grave problema di salute - superato e raccontato proprio dall’attuale ministro in un’intervista- ha impedito la realizzazione del sogno.
Così la leader di FdI puntò su Enrico Michetti, trovando al manager - con trascorsi da presidente della Lega di B e molti altri ruoli in aziende - la collocazione al dipartimento dello Sport con l’ampliamento della delega ai giovani.
Nei prossimi mesi la stima di antica data potrebbe non bastare più: Abodi è uno dei nomi che circola tra i possibili sacrificati sull’altare di un rimpasto post Europee.
Dipenderà da una serie di fattori, ma quella casella è sotto i fari dei partiti, dalla Lega a Forza Italia, che potrebbero chiederla e ottenerla come premio di consolazione in caso di siluramento da ministeri di maggiore peso e visibilità.
Abodi è uomo navigato e con la sua stretta cerchia di fedelissimi si dice tranquillo e di poter terminare il mandato alla scadenza naturale. «Do l’anima su ogni fronte, non mi sottraggo mai a miei doveri», racconta chi lo sente quotidianamente.
Pista ferma
Fatto sta che sul ministro dello Sport stanno ricadendo le colpe degli altri. Lo sguardo viene rivolto al Nord a quell’Olimpiade Milano-Cortina 2026, che ha accumulato ritardi legati a opere infrastrutturali che non fanno tutte capo al dipartimento dello Sport. Anzi, tra ministeri, amministrazioni e società sono molti gli attori con un ruolo centrale. Eppure è stato lui a doverci mettere la faccia, anche sulla querelle sulla pista da bob, finita con l’abbattimento di centinaia di larici.
Non si prende la gloria delle vittorie sportive e subisce i rovesci. Un problema per un governo che fa della propaganda il suo tratto imprescindibile. Di certo a Palazzo Chigi dovrebbero trovare un’onorevole via d’uscita.
Si vocifera di una sostituzione con Marco Mezzaroma, attuale presidente di Sport e Salute che non ha buoni rapporti con il ministro, che potrebbe entrare nella squadra di governo. Abodi tornerebbe a fare il manager, bisognerebbe vedere dove, oppure potrebbe essere un possibile candidato alle Europee per fare da traino, insieme ad altri ministri. Di certo molto ruota intorno a Sport e Salute, la cassaforte per il settore sportivo vista la mole di risorse economiche che gestisce.
Del resto non è un caso che una delle rare forzature dall’inizio del suo mandato, è stata l’ipotesi di commissariamento della partecipata pubblica: in caso di un mancato accordo sul rinnovo dei vertici, avrebbe azzerato tutto.
Era una tentazione: non c’è stato bisogno di intervenire perché l’intesa fu raggiunta con una serie di equilibrismi sull’amministratore delegato, Diego Nepi Molineris, gradito al Mef di Giancarlo Giorgetti e al presidente del Coni, Giovanni Malagò, così come allo stesso Abodi, che lo conosce da manager sportivo di lungo corso.
Il nemico Lotito
Mezzaroma, da parte sua, gode di sponsorizzazioni d’eccezione, in testa Arianna Meloni, sorella della premier e sempre più influente su determinate scelte. A caldeggiare il nome dell'imprenditore c’è il vulcanico cognato Claudio Lotito, senatore di Forza Italia che ha l’ossessione di essere un ministro ombra.
Di sicuro è l’ombra del ministro, nel senso che lo tallona. Il patron della Lazio sa di non avere il phsyique dû role per fare il ministro, diventerebbe un caso di scuola di gaffe. Così sarebbe felice di piazzare una persona di sua fiducia: chi meglio di Mezzaroma? Sarebbe un altro pezzo del puzzle nella destra “dei cognati”.
Una guerra non inedita quella tra Abodi e Lotito. L’attuale ministro ha fallito per due volte gli obiettivi nel mondo del calcio a causa del suo arcirivale: nel 2017 voleva la guida della Federcalcio e nel 2022 accarezzava l’ambizione di diventare presidente della lega di Serie A. Il “niet” lotitiano ha pesato in entrambi i casi.
Così Abodi ha dovuto accontentarsi - si fa per dire - della poltrona ministeriale, che deve difendere dall’ennesimo assalto del parlamentare di Forza Italia. Solo con Carlo Tavecchio ha intrattenuto un rapporto simile, di alti e bassi, prima di sostegno per la corsa alla Federcalcio poi di sfida per quella poltrona.
La tela di Abodi
La rete di relazioni di Abodi per sorreggere il potere non è comunque fragile. Sulle federazione sportive, seppure tra mille affanni, i presidenti hanno ottenuto il via libera a una riforma molto gradita: lo stop al tetto dei mandati, una locuzione che oggi fa venire l’orticaria nella maggioranza su altri fronti istituzionali, leggasi regioni.
Il ministro dello Sport sta per apporre la firma su una riforma che garantisce qualche amicizia nelle federazioni e in parlamento.Il ministro può sempre contare sul braccio operativo dell’Istituto di credito sportivo, la banca dello sport, che ha peraltro guidato fino all’ingresso nel governo.
Dopo averla lasciata è riuscito a piazzare alla presidenza Beniamino Quintieri, docente di Economia all’università di Roma Tor Vergata e soprattutto suo uomo di fiducia, nonostante dei trascorsi politici trasversali: fu candidato nel 2013 con Scelta civica di Mario Monti, considerato vicino a un altro ex montiano, Andrea Romano (anche lui docente dell’ateneo romano), che era di recente tornato nel Pd.
«Il ministro non è dogmatico, non guarda al passato ma al presente», racconta una fonte governativa per descrivere la capacità di dialogare con vari mondi. La testimonianza è l’affidamento del ruolo di vice capo di gabinetto assegnato a Daniele Frongia, ex uomo forte del Movimento 5 stelle, nella giunta di Virginia Raggi al Campidoglio.
Mentre dalla Lega arriva Marco Bussetti (ex ministro dell’Istruzione) come esperto, stesso incarico assegnato a Federico Sboarina, ex sindaco di Verona, in quota Fratelli d’Italia. Ma chi, nello staff, esamina ai raggi x tutti i dossier delicati è la capo segreteria al ministro, Eliana Ventola, già responsabile comunicazione e rapporti istituzionali all’Istituto di credito sportivo, il regno di Abodi. Sempre dall’Ics arriva Erika Castellani, nel ruolo di assistente personale.
Allora Abodi, per ritagliarsi spazi di visibilità, si è intestato delle battaglie che piacciono alla lobby più potente dello sport, ma non sempre risultano popolari. Una delle principali iniziative intraprese è il ripristino delle sponsorizzazione per le società di scommesse, vietate dal decreto Dignità del primo governo Conte. Una manna da almeno mezzo miliardo di euro per i club calcistici e soprattutto una riabilitazione di immagine per le realtà operanti nel campo del betting.
Pochi soldi
Certo, sottovoce - quasi inascoltato - Abodi lamenta una scarsa attenzione, che si traduce in pochi soldi allo sport. Lo ha detto per il Pnrr: «Non è un’opinione, è una questione di numeri. Stiamo parlando di una percentuale del Pnrr destinato allo sport inferiore allo 0,35 per cento», ha ammesso.
Una lamentela ripetuta a distanza di qualche mese, quando l’oggetto era la manovra: «Non sono felice. Lo sport rischia sempre di rimanere un po’ più indietro rispetto al resto del Paese». Tradotto: la legge di Bilancio, come il Pnrr, metteva a disposizione poche risorse per lo sport. Stesso discorso per i giovani, tema lasciato a piè di lista dal governo Meloni. Con Abodi che paga il conto per non aver imposto i suoi temi.
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