I dati sulle strutture non vengono aggiornati da anni confermando la scarsa attenzione al servizio. Ma da Nord a Sud le iniziative delle associazioni sopperiscono alle mancanze della politica
Il governo attacca l’autodeterminazione delle donne applicando la legge 194 per sfruttarne le debolezze e ostacolare il diritto all’aborto. Tramite l’emendamento proposto da FdI, approvato alla Camera e ora in discussione al Senato, vuole usare il decreto sul Pnrr per favorire la presenza di gruppi antiabortisti nei consultori.
Un’operazione che ha provocato la reazione delle attiviste. Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, rete nazionale dei centri antiviolenza, attacca: «Mentre l’aborto entra nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, il governo si mette alla guida dei paesi Ue che vogliono cancellarlo. Le conquiste dei diritti acquisiti dal movimento delle donne le difenderemo ad ogni costo».
I consultori in Italia
I problemi dei consultori, in effetti, sono numerosi. Strutture pubbliche sottodimensionate, dati mai più pubblicati, mancanza di trasparenza e di ascolto delle necessità della popolazione. Problemi mai affrontati, che restituiscono un’immagine preoccupante sulla situazione dei consultori pubblici familiari in Italia. Dal 2007, a causa dei tagli al welfare, sono stati chiusi circa 300 consultori familiari, passati da 2.097 ai 1.800 del 2019, data dell’ultimo censimento ufficiale.
La legge che prevede un consultorio familiare ogni 20mila abitanti, è continuamente disattesa. Ci sono troppo pochi consultori familiari rispetto ai bisogni della popolazione, come riporta lo stesso Istituto superiore della sanità (Iss), in apertura della presentazione degli ultimi dati disponibili nell’indagine, raccolti tra il 2018 e il 2019. Poi niente più ricerche, niente più dati.
Il documento, che descrive i risultati del progetto nazionale sui consultori pubblici familiari, ha fotografato la rete di 1.800 consultori familiari: uno ogni 32.325 residenti, un numero ben al di sotto dei 20mila stabiliti. Circa il 60 per cento in meno di quanti richiesti.
Poca trasparenza
Da allora non risultano aggiornamenti. Sintomo che per il ministero della Salute non è prioritario aggiornare le statistiche e quindi finanziare le strutture. Il risultato è quello di avere consultori svuotati in termini di risorse e, talvolta, chiusi per sempre. A questo si aggiunge il problema della migrazione sanitaria per poter accedere ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza (Ivg), come ha evidenziato Federica di Martino, psicoterapeuta e fondatrice della piattaforma “Ivg, ho abortito e sto benissimo”.
«Le migrazioni intra ed extra regionali sono un problema reale che affrontano tantissime donne che scelgono di ricorrere all’ivg. Purtroppo, i dati ministeriali offrono una fotografia sfocata del quadro attuale: non ci sono dati aperti e completi e quelli esistenti sono inattuali a causa dei grossi ritardi nella produzione», dice a Domani.
«Possiamo tuttavia arrivare a un’inferenza che ci viene offerta dai dati sull’obiezione di coscienza», aggiunge De Martino, perché «il carico di lavoro per il personale non obiettore nonché le lunghe liste di attesa che non prevedono di poter accedere alla pratica nei termini contingentati richiesti per l’Ivg. Del fenomeno, così come quello degli aborti clandestini, se ne potrebbe sapere molto di più e offrire un quadro più completo, così come soluzioni più articolate ed efficaci, a partire da una volontà politica che però risulta attualmente completamente assente».
La storia dei diritti delle donne è costellata da anni di pratiche di liberazione, che si sono espresse in manifestazioni di piazza, occupazioni, battaglie negli ambienti di lavoro e tra le mura domestiche. Eppure, a quasi 50 anni di distanza, l’attualità ci dimostra come esistano diritti conquistati ma non garantiti, fonte di preoccupazione e mobilitazione permanente.
Allarme inascoltato
Proprio per questo, le recenti dichiarazioni della ministra della Famiglia, Eugenia Maria Roccella, a Sky TG24, hanno alimentato l’indignazione: «Evidentemente non ci sono donne che non sono riuscite ad accedere all’interruzione di gravidanza». Le sue parole sono in contrasto con i dati, di cui non può non essere a conoscenza: la percentuale del personale medico obiettore è in aumento e ciò spinge molte donne a dover migrare dalla propria regione per poter accedere al servizio, come spiega Federica di Martino.
«La difficoltà nasce dalla presenza di personale obiettore, nonostante non si possa operare obiezione sul certificato in quanto pratica non direttamente legata all’Ivg, o dai rallentamenti legati ad appuntamenti che vengono rimandati o colloqui obbligatori che vengono imposti e che risultano estremamente violenti e umilianti», prosegue. E ancora: «Purtroppo in molti casi le donne vengono costrette ad ascoltare le contrazioni fetali, con commenti violenti che alimentano dolore e senso di colpa: tutto questo è assolutamente inaccettabile».
A denunciarlo, a dicembre, è stata anche la commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, che ha esortato le autorità a «garantire alle donne e alle ragazze il libero accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva, comprese le cure per l’aborto e la contraccezione». Sempre grazie a ricerche indipendenti, nella mappa “Obiezione 100” e nei numeri dell’inchiesta “Mai Dati” delle giornaliste Chiara Lalli e Sonia Montegiove, pubblicate sul sito dell’Associazione Luca Coscioni, sono presenti ospedali con il 100 per cento di obiettori di coscienza ed altri all’80 per cento per tutte le altre categorie professionali.
Da Padova a Catania
Il Veneto, come ha rilevato l’ultima indagine dell’Iss, è una tra le tre regioni con la più bassa diffusione di sedi di consultori pubblici e proprio nella città di Padova, in occasione della giornata di sciopero transfemminista dell’ultimo 8 marzo, Non una di Meno Padova ha occupato e riaperto alla cittadinanza il consultorio di via Salerno, vuoto dal 2019 e di proprietà dell’Azienda territoriale edilizia residenziale (Ater).
All’interno della sede sono già avviate attività, supportate dalle persone del quartiere e dalle ex dipendenti del consultorio: corsi di formazione, sportelli di orientamento all’interruzione volontaria di gravidanza e sostegno alla genitorialità consapevole. Nella città di Trieste la popolazione si ritrova con due sole sedi per tutta la città. A maggio del 2023 si è costituito il “Comitato di partecipazione per i Consultori familiari” che continua a lottare per ripristinare le sedi chiuse.
A Roma il consultorio “Lucha y siesta”, autogestito dal 2008 dopo dieci anni di abbandono da parte di Atac, è stato sotto attacco con procedimenti giudiziari che sono finiti con l’assoluzione il 22 gennaio 2024 e continua ad essere un presidio fondamentale contro la violenza di genere, anche come casa di accoglienza per donne e minori.
Nel quartiere romano Quarticciolo c’è un consultorio a rischio chiusura, in via Manfredonia 43: al momento è ridimensionato e aperto pochi giorni alla settimana; si chiede che non venga chiuso ma sostenuto con un ampliamento dei servizi. Scendendo al sud, a Catania, la situazione non è di certo migliore: il 5 dicembre scorso i locali del consultorio autogestito “Mi cuerpo es mio” erano stati sgomberati dalla polizia su richiesta della Procura di Catania, perché occupati dal 2018.
A gennaio l’amministrazione comunale ha rinviato a data da destinarsi l’incontro in merito al futuro dei locali del consultorio. Dopo lo sgombero, le attività si sono spostate in altre zone della città, dove è stato da poco inaugurato uno sportello contro le molestie e le discriminazioni di genere nel mondo del lavoro, presso la sede del sindacato Usb.
Spostandosi nella Locride, nell’area metropolitana di Reggio Calabria, esistono 7 consultori e tutti sono a rischio chiusura, sforniti di personale e carenti dal punto di vista della strumentazione. La rete “Riprendiamoci i consultori” denuncia, oltre alla condizione di fatiscenza, «la mancanza di figure professionali per tenerlo in attività».
Il lavoro di mappatura, di accompagnamento all’Ivg e al supporto della salute delle donne, è sempre più demandato al lavoro – non retribuito – di movimenti, associazioni, collettivi e attiviste femministe, che svolgono un ruolo fondamentale per non far calare l’attenzione sul tema dell’accesso all’Ivg e al ruolo dei consultori come terreno di pratica di libertà, autodeterminazione, cura e prevenzione.
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