Con il governo Meloni volano i costi per gli uffici di diretta collaborazioni della presidenza del Consiglio. Rispetto a Draghi crescono gli esborsi di 2,3 milioni di euro e addirittura sono 9 milioni in più in confronto all’esecutivo di Renzi
Una moltiplicazione di poltrone e stipendi. Tra tanti record vantati dal governo Meloni, ne arriva uno, oggettivo: le spese per gli uffici di diretta collaborazione di palazzo Chigi toccheranno vette mai viste prima sfondando il tetto dei 21 milioni di euro. Quando si tratta di fedelissimi da inserire negli uffici, insomma, non c’è spending review o crisi che tenga.
Primato assoluto
A certificarlo è il bilancio preventivo del 2024 della presidenza del Consiglio, visionato da Domani: l’esborso messo in conto è esattamente di 21.282.280, oltre 2 milioni in più rispetto al governo Draghi, che aveva conquistato a sua volta il primato. E non manca un tocco di furbizia. L’incremento “ufficiale” sarebbe di 305mila euro, tanto che nella nota preliminare, diffusa da palazzo Chigi, viene definito «modesto».
Ma già nel 2023 c’era stato un balzo di oltre 2 milioni di euro nella spesa per i collaboratori. Solo che, si leggeva nell’allegato tecnico di palazzo Chigi, «le previsioni per il finanziamento delle spese di personale nelle strutture di diretta collaborazione delle autorità politiche, stante il recente insediamento della nuova compagine governativa, sono state effettuate considerando la spesa teorica prevista per le strutture di diretta collaborazione del governo Draghi».
La colpa era stata addossata, ad arte, su chi c’era prima. Se fosse stato vero, quest’anno ci sarebbe stato un taglio. E invece no: il governo Meloni supera ancora di più sé stesso in termini di spesa per il personale scelto su base fiduciaria. E supera il predecessore, che pure doveva fare i conti con una compagine ministeriale molto eterogenea, che andava dal Pd alla Lega.
Quindi con molti appetiti da soddisfare. Eppure nel 2022 aveva previsto una spesa massima di 18,870 milioni di euro per i collaboratori. Una cifra inferiore di 2,3 milioni di euro rispetto a Meloni.
Il divario si allarga ulteriormente rispetto al Conte II, che nel 2021 aveva preventivato un costo da 16,762 milioni di euro alla voce «uffici di diretta collaborazione», tenendosi sugli stessi livelli degli anni precedenti. Anche il primo governo Conte, quello gialloverde, era rimasto sotto la soglia dei 17 milioni di euro per gli staff a chiamata: circa 4 milioni e mezzo in meno rispetto all’esecutivo di Meloni.
Cari collaboratori
Andando indietro nel tempo i raffronti diventano ancora più impietosi. Il governo Gentiloni aveva messo in conto un esborso di 15,946 milioni di euro, mentre l’ultimo esecutivo presieduto da Matteo Renzi si era fermato a 12,188 milioni di euro. Un risparmio di 9 milioni in confronto ai dati attuali.
Non c’è dubbio, quindi, per il prossimo anno il governo Meloni non è intenzionato ad abbassare la spesa per i collaboratori, che riguarda tutti i profili professionali (capi di gabinetto, consiglieri legislativi, comparti di comunicazione) che affiancano la premier, i due vice, Matteo Salvini e Antonio Tajani, e la schiera di ministri senza portafoglio, da quella delle Pari opportunità e famiglia Eugenia Roccella, agli Affari regionali di Roberto Calderoli.
E la cosa non sorprende: i contratti legati al mandato governativo sono il porto sicuro per tanti big. A cominciare proprio da Salvini che ha inserito nello staff dirigenti o ex parlamentari del proprio partito: tra gli altri l’ex parlamentare Armando Siri e il responsabile enti locali della Lega, Stefano Locatelli, con un compenso di 120mila euro (lordi) all’anno. Mentre Tajani ha voluto con sé l’ex deputata di Forza Italia, Maria Spena, con una remunerazione di 40mila euro annui.
Il bilancio di palazzo Chigi
Ma oltre gli staff quanto costa palazzo Chigi nell’èra meloniana? La spesa complessiva è di oltre 5,3 miliardi: 311 milioni di euro in più in confronto all’anno appena precedente.
Costi esorbitanti, dunque, che sono conseguenza dei tanti programmi che i vari dipartimenti porteranno avanti nel corso dell’anno. Ci sono capitoli significativi come i maggiori stanziamenti destinati alla Protezione civile, che beneficerà di una somma totale di 1,2 miliardi di euro. Ma ovviamente a incidere sono anche altre voci, come quello del personale e di contributi vari.
Di sicuro non c’è stata alcuna cura dimagrante imposta da Meloni. Il corposo allegato tecnico che accompagna il bilancio riferisce, tra gli altri, l’incremento delle «spese obbligatorie e per il funzionamento della presidenza del Consiglio dei ministri», che passano da euro 383.537.129,00 a euro 404.318.070,00, 700mila euro in più, pari al 5,42 per cento.
Sono le spese ritenute essenziali. E tra queste figurano i 5 milioni di euro per le «assunzioni necessarie a fronteggiare l’emergenza migratoria con particolare riferimento alla regione Calabria» e i 100mila euro per la realizzazione del Parco della salute di Torino.
Ci sono, poi, le strutture di missione che hanno un peso sulle casse pubbliche. Si tratta di quegli uffici che nascono ad hoc per affrontare specifiche questioni. Il trend, anche in questo caso, è quello di crescita degli esborsi.
E, manco a dirlo, sempre per il «personale assegnato» alla presidenza del Consiglio: sul capitolo di spesa si prevedono in uscita ben 13,8 milioni di euro «con un aumento di euro 8.904.508,00, rispetto a quelle previste inizialmente nel bilancio per il 2023 pari a euro 4.989.015,00», riferisce la nota.
Questa dinamica, spiegano ancora i tecnici di palazzo Chigi, «è riconducibile all’istituzione di nuove strutture di missione nel corso del 2023 e alla riorganizzazione di quelle già esistenti in sede di riconferma da parte della nuova compagine governativa e in particolare alla istituzione presso la presidenza del consiglio dei ministri della Struttura di missione per il Pnrr».
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