- «Se andrò a Pontida? Non penso, ma deciderò domani, magari un giro in bici lo farò». Roberto Castelli parlamentare, viceministro, due volte ministro della Giustizia nel governo Berlusconi ha ancora le due tessere, Lega Nord e Lega Salvini premier.
- È fuori dalla dirigenza della Lega ed è tra i più critici: «Questa parabola di Matteo Salvini si inserisce in un periodo storico in cui l’elettore si disinnamora in fretta dei leader. È un elettore che manda alle stelle e in brevissimo tempo divora i suoi idoli».
- «Se sono veri i sondaggi è dura, non c’è un collegio al nord in cui noi sopravanziamo Fratelli d’Italia». E per il dopo Salvini «Luca Zaia ha un carisma forte ed è quello che preferisco. Ma anche Attilio Fontana, Giancarlo Giorgetti e Massimiliano Fedriga andrebbero benissimo».
«Se andrò a Pontida? Non penso, ma deciderò domani, magari un giro in bici lo farò». Un bel tragitto da 20 chilometri da Lecco al pratone sacro della fu Lega Nord, un corpo agonizzante, scatola piena di debiti, da quando Matteo Salvini ha fondato nel 2017 il nuovo partito, Lega Salvini premier.
Roberto Castelli ha tuttavia uno spiccato senso dell’umorismo. È fuori dalla dirigenza della Lega da quando non ha più la parola nord nel simbolo, continua però ad avere le tessere dei due partiti: «Sa, c’era sempre la speranza di fare un congresso prima o poi, così non è stato».
Castelli è stato parlamentare, viceministro, due volte ministro della Giustizia nel governo di Silvio Berlusconi. Uno dei padri di quel partito radicato sul territorio e strenuo difensore dell’autonomia. Fedelissimo di Umberto Bossi, il fondatore. Castelli adesso fa parte dell’associazione Autonomia e libertà, che conta centinaia di iscritti. Ed è tra i più critici della linea Salvini.
Critica alla luce del sole, senza nascondersi. «Per Salvini sarà decisivo il voto del 25, se va sotto una certa soglia, si cambia. Ecco chi sarebbero i leader di un nuovo corso fedele alle origini», dice a Domani.
Con questa Pontida si chiuderà un ciclo, la stagione di Salvini?
Questa parabola di Matteo Salvini si inserisce in un periodo storico in cui l’elettore si disinnamora in fretta dei leader. È un elettore che manda alle stelle e in brevissimo tempo divora i suoi idoli. Lo abbiamo visto con Renzi, con i Cinque stelle, lo stiamo vedendo con Salvini. Non si vota più per i partiti ma per i leader, a parte il Pd, l’unico rimasto con una struttura, gli altri hanno tutti il nome del leader nel simbolo.
Ecco, mi pare che Salvini stia soffrendo anche lui di questa sindrome, viene sparato a livelli stratosferici, ma non è la Lega a prendere il 40 per cento, è lui. Altrettanto rapidamente li sta perdendo. Il suo destino non è legato tanto a Pontida, a qualche protesta che potrebbe starci, ma è legato al risultato elettorale.
C’è una soglia critica?
Se si attesta attorno al 15 per cento nessuno lo metterà in discussione, se non supera il 10-12 per cento probabilmente qualcosa succederà, un cambiamento sarà avvertito come necessario.
Quindi questa 34esima edizione di Pontida che significato assume?
Pontida 2022 si innesta in un tentativo tardivo di andare a recuperare quel popolo del nord, della Lega nord di cui faccio parte anche io. Ma è un tentativo che verrà percepito come strumentale o sincero? E questo il dilemma vero della Lega del futuro. Se è strumentale il popolo del nord lo percepisce e non ci casca. Se è sincero vuol dire tornare a una lega a trazione settentrionale, perdendo il consenso in meridione. È un dilemma che va affrontato. Salvini si è trasformato in un leader che difende gli interessi di tutta l’Italia, però questo ha creato fortissimi malumori.
Questo malumore della base e di parte della dirigenza avrà conseguenze alle elezioni?
Se sono veri i sondaggi è dura, non c’è un collegio al nord in cui noi sopravanziamo Fratelli d’Italia e, con tutto il rispetto per Meloni, vedere un popolo che ha lottato per anni per l’autonomia essere superato da un partito centralista, capisce che è dura per i leghisti storici. La questione settentrionale è lì, esiste ancora. E non verrà rappresentata da nessuno neanche questo prossimo giro in parlamento.
Chi può essere la leadership alternativa? Esiste chi si prende la responsabilità di ereditare la guida di Salvini e riportarla ai principi del federalismo?
Posso dire che Luca Zaia ha un carisma forte ed è quello che preferisco. Ma anche Attilio Fontana, Giancarlo Giorgetti e Massimiliano Fedriga andrebbero benissimo. Tutti e quattro potrebbero assumere la leadership della Lega, dichiarando fallito il partito egemone di Salvini, anche perché il nome del partito non ha più senso senza Salvini: diventerebbe Lega premier di che cosa?
E quindi con il cambio di leader quale potrebbe essere lo scenario futuro?
Ci sarebbe un completo ripensamento del movimento, certo avremmo perso un giro e per 5 anni abbiamo perso la partita. Con Fontana, Giorgetti, Fedriga o Zaia, tutti con le doti per essere leader, inizierebbe tutta un’altra partita, sicuramente sono le persone adatte a ricucire lo strappo con il ceto produttivo settentrionale.
Secondo lei l’errore macroscopico di Salvini?
Intanto lui fa una cosa gigantesca, bloccare gli sbarchi, basta vedere i dati. È un fatto, tanto che è dovuta intervenire la magistratura per fermarlo.
In realtà i dati dicono anche che è stato l’accordo con la Libia firmato da Minniti ad aver frenato gli sbarchi.
Minniti ha posto le basi per il lavoro di Salvini. Il fatto che una persona di destra e una di sinistra, la coppia Minniti-Salvini, abbiano risolto il problema in maniera pragmatica vuol dire che le cose si possono fare bene.
Torniamo agli errori di Salvini.
La politica sull’immigrazione porta Salvini a essere sparato nell’empireo dal popolo. Lui però non ha saputo capitalizzare e ha sprecato questo grande capitale. È dura mantenere i piedi per terra, pensi che sei l’uomo del destino, e commette l’errore del Papeete. Fa cadere un governo della Lega, errore imperdonabile. Una caduta di stile che non è perdonabile. Da lì inizia una serie di errori politici. Inizia così la parabola discendente. Il popolo quando si disinnamora del leader va da un’altra parte.
Sull’aver fatto cadere il governo Draghi? Salvini ha giocato di strategia, correttamente o è stato un errore?
Dal punto di vista tattico, la politica è cinica. In quest’ottica ha fatto bene, perché ha frenato l’emorragia di voti nei sondaggi. Ma i principali colpevoli restano i Cinque stelle.
Democrazia interna azzerata, cerchio magico, gestione personale. Che ne pensa? Nella Lega nord c’erano congressi e pochi commissariamenti?
Le assicuro che nella Lega con il leader maximo Umberto Bossi non c’è mai stato un commissariamento dall’alto, ma ci sono state sempre elezioni con voto segreto. Quando andavamo a lamentarci da Bossi di qualcosa, la sua risposta era: “Siete dirigenti del partito e venite a chiedere a me cosa fare? Se non siete capaci non lo meritate quel ruolo”. È chiaro che se non è più il partito che è forte ma solo il leader a essere forte, questo non ha più bisogno del partito, perché dal partito arrivano richieste, lamentele, dibattiti, discussioni. E allora ti circondi del tuo cerchio magico e nessuno ti rompe più, questo è un vantaggio quando va tutto bene, ma quando le cose si mettono male è uno svantaggio. Perché se hai il nocciolo duro delle sezioni, che sono dalla tua parte e si sentono coinvolte, resisti anche nei momenti di crisi. Ecco perché il Pd resiste. Se manca tutto questo, e il partito lo smantelli e resta solo il cerchio magico alla prima crisi sei finito. Salvini ha fatto questa scelta qui, comando io, commissario tutto, scelta legittima per carità, ma ora pagherà le conseguenze.
Lei crede a un ritorno della Lega nord come partito?
Io ho fatto il movimento Autonomia e libertà, perché vogliamo combattere per l’applicazione del federalismo vero, è uno scandalo che una previsione costituzionale votata da più di 5 milioni cittadini non abbia avuto ancora esito legislativo, poi criticano Orban e la mancanza di democrazia. Guardiamo in casa nostra prima. Abbiamo centinaia di soci e ci stiamo allargando, guardiamo ovviamente a tutti questi movimenti di ritorno alle origini della Lega. Ma non capisco il progetto di riprendersi la Lega nord, perché chi lo prende eredità il debito con lo stato da 49 milioni. Se fossimo costretti a rifondare un partito autonomista e federalista del nord non è tanto il simbolo che conta ma sono le persone, le idee, i principi.
Il ceto produttivo, gli imprenditori veneti e lombardi, le ci parla con quel mondo li, cosa dicono?
Ci parlo e ci lavoro, è venuta meno la fiducia in Salvini. È visto come meno affidabile del passato, Meloni è considerata più affidabile. Provo a spiegare che Meloni è centralista, ma non cambiano idea. Pensano ora alle bollette, il federalismo è passato in secondo piano, anche perché Salvini l’ha cancellata dalle priorità.
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