Mancano norme efficaci e controlli sulle attività di ministri e parlamentari. Il dossier di Transaprency accende un fato sui finanziamenti ai partiti: i dati delle donazioni sono
poco accessibili.
Trasparenza, questa sconosciuta. Nei ministeri e in parlamento restano top secret le agende di incontri con i portatori di interesse. Salvo poche eccezioni. E con il governo Meloni la situazione è peggiorata, come nel caso della ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone, che ha stoppato la possibilità di consultare l’agenda del suo dicastero.
Intanto continua il fenomeno revolving doors, il ricollocamento di ex parlamentari o ex ministri in amministrazioni statali. «La pratica delle porte girevoli in Italia è stata abusata durante gli anni, in particolare per quanto riguarda l’accesso alle posizioni apicali delle più importanti società a controllo pubblico», mette nero su bianco l’associazione Transparency nello studio “soldi e politica”.
Ministeri segreti
Così, su un terreno di comunicazioni opache, e spesso del tutto assenti, possono registrarsi conflitti di interesse e si spalancano praterie per affaristi e lobbisti riciclati. Tanto che le società di lobbying ufficiali sono le prime a chiedere un passo in avanti sulla normativa. Il dossier di Transparency, letto in anteprima da Domani, mostra le voragini legislative italiane. I fatti parlano chiaro. Solo due ministeri hanno istituito un registro, quello dell’Agricoltura, che dal 2012 (governo Monti), ha reso fruibile la consultazione degli incontri con gli stakeholder. Tutto perfetto? Non proprio. Le «agende degli incontri con i portatori di interessi non sono rese pubbliche».
L’unico veramente virtuoso è il ministero delle Imprese e della made in Italy (ex Sviluppo economico), che sotto il governo Renzi (nel 2016) ha previsto un registro della trasparenza, molto dettagliato e che rende conto dei colloqui di ministro, viceministri e sottosegretari. Da qualche mese gli aggiornamenti sono fermi: gli ultimi disponibili risalgono alla fine del luglio scorso. Non ci sono comunicazioni di sospensione, si tratta solo di un ritardo.
Qualche altro dicastero aveva iniziato a muoversi, poi si è arenato. Talvolta con l’arrivo della destra al potere. Il ministero del Lavoro e delle politiche sociali aveva pubblicato il documento dal 2018, avviando la buona pratica. Ma a partire dal 15 giugno 2023, sotto la guida Calderone, il registro non è più attivo per dare spazio a «nuove soluzioni tecniche», secondo la versione ufficiale.
Spartito simile al ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (ex Transizione ecologica): Sergio Costa, nel primo esecutivo Conte, pubblicava, a cadenza settimanale, gli appuntamenti istituzionali. I dati sono fermi al 2021: l’obbligo di comunicazione risulta stoppato. Un po’ per questioni di privacy, ma soprattutto per la scarsa volontà politica di dare seguito al progetto. Nel 2017 il ministro della semplificazione e della pubblica amministrazione ha introdotto il registro della trasparenza, che «è stato sospeso e non più attivato», riporta Transparency.
Lobby sregolate
Sul piano governativo, insomma, c’è tanto da fare. Il parlamento segue la stessa rotta. Ci sono state oltre cento proposte di legge presentate per regolamentare il rapporto tra lobby e parlamentari: la scorsa legislatura aveva acceso una fiammella di speranza con l’approvazione di un testo alla Camera. Al Senato sono scattati veti incrociati i e si è bloccato tutto.
Altre proposte sono arrivate in questa legislatura, dai 5 Stelle al Pd, ma la destra non sembra interessata a portare avanti il discorso. È stata avviata, in commissione affari costituzionali a Montecitorio, un’indagine conoscitiva: finora è stata un esercizio di stile. Resta un registro degli incontri istituito alla Camera (con un meccanismo farraginoso) e il far west al Senato.
E se si parla di conflitto di interessi, la situazione è sconfortante. Le legge in vigore (la Frattini del 2004, approvata dal governo Berlusconi) «prevede che le autorità esaminino le inadempienze caso per caso: in pratica, i conflitti di interesse sono affrontati solo successivamente alla loro effettiva rilevazione», riferisce la ricerca dell’associazione. E ancora l’incompatibilità «sussiste solo per i ruoli ricoperti dai titolari di cariche di governo nelle aziende e non per l’eventuale quota di proprietà».
Nella normativa è assente il capitolo sull’adeguatezza delle sanzioni: sono previste solo multe in caso di mancato rispetto delle norme nei confronti delle imprese. Inadeguate, poi, le prescrizioni ai parlamentari sui possibili conflitti di interessi. Il codice di condotta del Senato, per esempio, «cita il conflitto di interessi in modo generico e non coglie l’opportunità di regolamentare concretamente i potenziali casi di conflitto di interessi».
Il finanziamento ai partiti
Un nodo da sciogliere è infine quello del finanziamento ai partiti. Le donazioni e il 2 per mille sono lo strumento di sostegno economico. «La legge dovrebbe reintrodurre un equilibrio tra le due fonti di finanziamento e migliorare la trasparenza del processo offrendo ai cittadini dati completi, accessibili e di qualità, senza opacità che influiscono sulla fiducia di chi va alle urne a scegliere i propri rappresentanti», sottolinea il dossier.
Certo, le informazioni oggi sono disponibili consultando i database del parlamento. Ma è una raccolta numerica in cui è difficile orientarsi, specie quando di mezzo figurano donazioni di fondazioni e associazioni.
Addirittura la commissione europea, nell’ultima relazione sullo stato di diritto, ha formulato una raccomandazione: prevedere un registro elettronico unico, centralizzato, in grado di mettere a disposizione i dati del finanziamento alla politica, pubblicato in formato più accessibile. Insomma, quello attuale è un mix di scarsa attenzione alla trasparenza, poca dotazione di personale degli uffici e delle commissioni preposte ai controlli e le lacune tecnologiche.
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