I dati confermano la migrazione sanitaria: al Sud peggiori condizioni sanitarie, meno prevenzione e mortalità per tumori più elevata: i migranti sanitari sono 629 mila
Non è sufficiente il Sistema sanitario nazionale (Ssn) e non bastano nemmeno gli enti del terzo settore a fare da cuscinetto all’impoverimento della popolazione per l’accesso ai servizi della salute: screening, diagnosi, percorsi di cura e accesso ai farmaci.
In base alle ultime valutazioni del Centro per la ricerca economica applicato in sanità (Crea), 1,6 milioni di persone vivono in povertà sanitaria, il 6,1 per cento delle famiglie italiane, e hanno dovuto rinunciare alle spese sanitarie e alle cure per motivi economici o, addirittura, perché si sono impoverite per sostenerle. Il motivo principale è ovviamente il percepimento di un basso reddito o la mancanza stessa di un reddito.
Rinuncia alle visite
La relazione circolare tra reddito disponibile, condizioni di salute e accesso alle cure, trova conferma nelle statistiche. Dal rapporto 2023 dell’Osservatorio povertà sanitaria (Opsan), e attraverso la Rete banco farmaceutico che ha assistito oltre 420mila persone indigenti (pari a 7,3 persone ogni 1.000 residenti), emerge un grande aumento della spesa farmaceutica a carico anche delle famiglie povere.
Secondo Giancarlo Rovati, coordinatore del comitato tecnico scientifico di Opsan, «a compromettere lo stato di salute di chi è economicamente vulnerabile, contribuisce la rinuncia a effettuare visite specialistiche, rinuncia cinque volte superiore al resto della popolazione».
Sulla stessa lunghezza d’onda il report “Un paese, due cure. I divari nord-sud nel diritto alla salute”, curato da Svimez in collaborazione con Save the Children, da cui emerge, oltre alla condizione del Ssn a livello territoriale, il fatto che cittadine e cittadini sono praticamente obbligati a spostarsi al centro o al nord Italia per ricevere assistenza nelle strutture sanitarie.
Per Andrea Morniroli, co-coordinatore del Forum disuguaglianze diversità, «bisogna andare nei territori e spiegare, con parole semplici, come l’autonomia differenziata impatterà dal punto di vista pratico nelle vite delle persone».
Il problema delle disuguaglianze nell’accesso ai servizi riguarda lo sviluppo del paese «che non cresce se cresce solo una parte, l’autonomia differenziata rafforzerà disuguaglianze già esistenti e condanna una parte del paese a rimanere ferma».
Si devono trovare argomenti e motivazioni che spingano, da nord a sud, a creare alleanze, perché il problema è e sarà per tutti: «Per fare un esempio semplice, se al sud non ti puoi curare e vai al nord, indirettamente rallenti o mandi in tilt anche le liste di quella parte del paese».
Divario strutturale
Dai dati raccolti e presentati si confermano i profondi divari regionali nell’offerta di servizi che dovrebbero essere garantiti in modo uniforme perché compresi tra i livelli essenziali di assistenza (Lea). Al sud i servizi di prevenzione e cura sono più carenti. Minore la spesa pubblica sanitaria e più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza, soprattutto per le patologie più gravi e invalidanti.
Nel Mezzogiorno la quota relativa alla povertà sanitaria riguarda l’8 per cento dei nuclei familiari, il doppio rispetto al 4 per cento del nord est (5,9 per cento al nord ovest, 5 per cento al centro). Il sud, secondo gli indicatori Bes (benessere equo e sostenibile) sulla salute, è l’area del paese caratterizzata dalle peggiori condizioni. Nel 2022 la speranza di vita alla nascita per i cittadini meridionali era di 81,7 anni, 1,3 anni in meno del centro e del nord ovest, 1,5 rispetto al nord est.
E ancora nel 2022, dei 629mila migranti sanitari (cifra espressa in volume di ricoveri), il 44 per cento, era residente in una regione del Mezzogiorno. Una questione che riguarda anche bambini e adolescenti: un terzo si mette in viaggio dal sud per ricevere cure per disturbi mentali o neurologici, della nutrizione o del metabolismo nei centri specialistici convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi di Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) pediatrici.
L’allarme arriva anche dal presidente dell’Associazione italiana oncologia medica Aiom, Francesco Perrone, che dice: «Oggi è già forte la concorrenza fra sistema pubblico e privato ma, con la realizzazione del regionalismo differenziato, è concreto il rischio che le stesse strutture pubbliche entrino in competizione fra loro e che le regioni più ricche offrano ai professionisti migliori contratti e remunerazioni più elevate».
Dall’Aiom arriva un ulteriore appello: «Vanno realizzate le reti oncologiche regionali su tutto il territorio. Come reso noto nel recente rapporto di Agenas, esistono ancora disparità sullo stato di avanzamento e sull’efficienza delle reti regionali e quelle ancora lontane dalla realizzazione degli obiettivi organizzativi vanno supportate, più di quanto non sia stato fatto fino ad ora».
Caso Covid
Le conseguenze maggiori del cattivo stato di salute e dell’incapacità di curarne le cause si sono verificate nel corso delle ondate di pandemia del Covid-19. «Questa ha comportato – oltre al blocco quasi totale delle ordinarie attività economiche, sanitarie e relazionali – un aumento vertiginoso dei decessi, misurabile sia in termini di mortalità direttamente imputabili al Covid-19, sia, e in maniera ancor più significativa, in termini di eccesso di mortalità rispetto al periodo pre-pandemico», spiegano i responsabili della Rete banco farmaceutico.
L’indicatore registra non solo il numero dei decessi provocati dal virus «ma anche quelli sfuggiti alla diagnosi microbiologica e quelli attribuibili agli effetti “indiretti”, derivanti dal blocco delle attività di prevenzione, diagnosi e cura e associati al fenomeno della rinuncia alle cure, molto condizionato da fattori socio-economici». Una situazione che, se non verrà sanata al più presto, porterà conseguenze ancora più gravi e insanabili alla vita e alla salute delle persone.
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