C’è un grande cimitero nazionale, dove riposano operai e contadini, medici e muratori. È la Spoon River dei lavoratori che continua a riempirsi di nuove bare: 119 nel primo bimestre del 2024 e 1.041 nel 2023. I cambiamenti climatici rischiano di peggiorare ulteriormente la situazione
Nel calendario ogni anno ci sono vari appuntamenti per ricordare che di lavoro si continua a morire. Il 28 aprile c’è la giornata sulla sicurezza e la salute sul luogo di lavoro, voluta dall’Oil, l’Organizzazione internazionale del lavoro. Ogni prima domenica di ottobre, l’Anmil – l’associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi – celebra la giornata per le vittime degli incidenti sul lavoro.
Ma è forse il primo maggio – quando di lavoro si ragiona a 360 gradi – che il tema diventa ancora più urgente. Le radici della ricorrenza si ritrovano nella battaglia per ridurre le ore lavorative ad un massimo di otto, con gli scioperi di 158 anni fa a Chicago. È nata dal sangue degli operai, condannati ingiustamente a morte dopo la rivolta dell’Haymarket Square. Ma di anno in anno si basa su altro sangue innocente, versato da chi muore in un cantiere o sulla strada per il lavoro. In Italia nel 2023, secondo i dati dell’Inail, ci sono stati quasi tre morti al giorno.
Lo ha ribadito anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, parlando a Cosenza alla vigilia del primo maggio: «Non possiamo accettare lo stillicidio continuo delle morti, provocate da incurie, da imprudenze, da rischi che non si dovevano correre. Mille morti sul lavoro in un anno rappresentano una tragedia inimmaginabile. Ciascuna di esse è inaccettabile».
Il troppo caldo
Il rischio è che in futuro la situazione possa peggiorare ulteriormente. Secondo un report pubblicato nei giorni scorsi dall’Oil, i cambiamenti climatici porteranno a nuovi rischi legati alla salute e alla sicurezza dei lavoratori. Il tema è globale e riguarda anche i lavoratori italiani, costretti a fare i conti con estati sempre più torride, difficili da sopportare per chi lavora nei campi o nei cantieri edili. Dal 2022 in Italia, quando si superano i 35 gradi, si può chiedere la cassa integrazione per «eccesso di calore»: è sufficiente che sia la «temperatura percepita», non quella effettiva.
Ma i sindacati vorrebbero che in condizioni tanto proibitive l’ordine di «divieto di lavoro» arrivi dall’alto e valga per tutti, almeno nelle ore più calde e almeno nei cantieri edili e nei campi. Dall’anno scorso, varie regioni del sud hanno già attivato dei protocolli specifici sul tema. Mancava ancora la Sicilia, dove solo alcuni comuni si erano attivati in autonomia. Il 3 maggio, finalmente, la regione dovrebbe firmare un proprio regolamento. Si impegnerà ad emanare specifiche ordinanze ogni volta che si supereranno i 35 gradi percepiti.
Anche perché di caldo in Italia si è già iniziato a morire. Come è successo la scorsa estate, con la cronaca locale che si è riempita di storie di lavoratori morti presumibilmente a causa delle alte temperature. Come un operaio specializzato che ha avuto un infarto in una fabbrica a Jesi, lo scorso luglio. A metà agosto un bracciante di 37 anni è morto durante la vendemmia, nel bresciano. A Firenze un sessantenne ha avuto un infarto mentre stava facendo le pulizie in un magazzino. La temperatura percepita era di 39 gradi.
Sono solo tre esempi, che danno però l’idea di una pericolosa tendenza. Secondo il report dell’Oil, a livello mondiale i cambiamenti climatici porterebbero portare a milioni di morti sul lavoro per diverse cause: il caldo eccessivo, le radiazioni ultraviolette, gli eventi meteorologici estremi, l’inquinamento atmosferico, le malattie trasmesse dai vettori (come quelle diffuse dalle zanzare) e le conseguenze dei prodotti chimici utilizzati in agricoltura.
I dati del 2024
Tornando ai dati condivisi dall’Inail, i più recenti sono quelli che si riferiscono ai primi due mesi dell’anno, anche se occorre un po’ di cautela nell’analizzarli. Si basano infatti sulle denunce arrivate all’istituto, sono provvisori e risentono dei tempi burocratici richiesti da queste pratiche.
Detto questo, la situazione non sembra positiva. Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, nei primi due mesi del 2024 sono aumentati infortuni, morti sul lavoro e malattie professionali. Ci sono state 92.711 denunce di infortunio, in aumento del 7,2 per cento rispetto all’anno scorso e del 12,2 per cento rispetto al 2021. La situazione è migliore solo rispetto al 2022, quando gli infortuni erano stati del 24 per cento in più.
Aumentano, come detto, anche le denunce per le morti sul lavoro: sono state 119 nel primo bimestre del 2024, 19 in più rispetto alle 100 registrate nel primo bimestre del 2023, cinque in più rispetto al 2022, 15 in più rispetto al 2021, 11 in più sul 2020 e due in meno sul 2019.
Le denunce di malattia professionale nel primo bimestre del 2024 sono state 14.099, 3.700 in più rispetto allo stesso periodo del 2023 (più 35,6 per cento). L’incremento è del 74,5 per cento rispetto al 2022, dell’80,7 per cento rispetto al 2021, del 33,7 per cento rispetto al 2020 e del 41,9 per cento rispetto al 2019.
Le tendenze
Uno sguardo più puntuale rispetto alle tendenze dei dati si ha osservando i report annuali diffusi sempre dall’Inail. Ci sono ovviamente delle flessioni, che sono dettate da fattori contingenti (nel 2020 e nel 2021 la pandemia ha influenzato i dati, a causa delle morti per il Covid-19).
Più delle differenze conta però quello che rimane invariato: ovvero la tendenza all’alto numero di infortuni, morti e malati a causa del lavoro. Gli infortuni denunciati all’Inail entro il mese di dicembre 2023 sono stati 585.356, in calo rispetto ai 697.773 del 2022 (meno 16,1 per cento), ma in aumento rispetto ai 555.236 del 2021 (più 5,4 per cento).
Le denunce per infortuni mortali presentate all’Inail nel 2023 sono state 1.041, 49 in meno rispetto alle 1.090 del 2022 (meno 4,5%) e 180 in meno rispetto al 2021.
Le storie
Ancora una volta, bisogna rivolgersi alla cronaca per fare qualche esempio e superare il cinico dato statistico. Per capire, in altre parole, che dietro a ogni cifra ci sono delle persone, che popolano il grande cimitero nazionale, dove riposano operai e contadini, medici e muratori.
È la storia di Giuseppe Borrelli, morto a 25 anni in una fabbrica a San Marco Evangelista, nel casertano, schiacciato da un macchinario. Di Francesco Albanese, che oggi avrebbe 24 anni, ma che è morto prima del compirli, lo scorso febbraio, durante i lavori di messa in opera di un impianto di irrigazione in provincia di Foggia.
È la storia dei sette operai che sono morti a Suviana, mentre lavoravano alla centrale idroelettrica. Oppure, l’estate scorsa, a Brandizzo, dove a morire sono stati gli operai che stavano lavorando sui binari del treno. Sono tutti episodi di uno stesso racconto, la «tragedia inimmaginabile» di cui ha parlato anche il presidente Mattarella.
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