Mentre si polemizza sull’affidamento della delega per la politica antidroga alla ministra Fabiana Dadone, c’è un nodo che rimane irrisolto e che risente dell’influenza delle lobby
- La decisione del premier Mario Draghi di affidare la delega per le politiche antidroga alla ministra Fabiana Dadone ha scatenato una forte polemica da parte delle forze di centrodestra.
- In Italia l’unico ente autorizzato dal ministero della Sanità a produrre cannabis terapeutica è l’Istituto farmaceutico militare di Firenze. Ma la domanda è superiore rispetto all’offerta e lo stato è costretto a dover acquistare all’estero.
- La vicenda paradossale della canapa è un simbolo, quasi una metafora. Ci racconta di un paese incapace di affrontare le sfide della complessità, senza lasciarsi condizionare da lobby, da tenaci condizionamenti culturali e da pregiudizi ideologici.
La decisione del premier Mario Draghi di affidare la delega per le politiche antidroga alla ministra Fabiana Dadone ha scatenato una forte polemica da parte delle forze di centrodestra. Da Fratelli d’Italia a Forza Italia alla Lega, gli oppositori giudicano inopportuno far gestire la materia a un esponente politico dichiaratamente antiproibizionista come il ministro per le Politiche giovanili. A dimostrazione di come, la canapa, o cannabis, sia ancora oggi una pianta circondata da pregiudizi, che si ripercuotono anche sul piano legislativo, con riflessi negativi sui cittadini e l’economia.
“Cannabis”, “canapa”, “cannabis light”, “canapa industriale”, “canapa terapeutica” sono tante le definizioni attribuite a questa pianta, come tante sono le sue destinazioni d’uso.
La canapa terapeutica, o cannabis terapeutica, viene utilizzata per il trattamento di persone affette da varie patologie come cancro, sclerosi, glaucoma: riduce il dolore causato dagli spasmi dei malati di Sla (Sclerosi laterale amiotrofica), stimola l’appetito di chi è sottoposto a chemioterapia, fino ad essere utilizzata come antiepilettico nei casi di epilessia farmaco-resistente. In questo caso le varietà contengono un principio attivo benefico: il Thc (tetraidrocanbinolo), la molecola antidolorifica ma anche psicotropa che talvolta viene utilizzata come sostanza d’abuso.
Nel caso della cannabis terapeutica il Thc è al di sopra dello 0,2 per cento (limite previsto per la cannabis light o canapa industriale), ed è proprio per questo che in Italia la coltivazione e la produzione sono consentite solo allo stato e non ai privati. Con delle conseguenze paradossali sia dal punto di vista medico sia economico.
Comprare all’estero
In Italia l’unico ente autorizzato dal ministero della Sanità a produrre cannabis terapeutica è l’Istituto farmaceutico militare di Firenze. Pur essendo un centro di eccellenza, l’Istituto non riesce a soddisfare con la sua produzione il fabbisogno dei malati del nostro sistema sanitario nazionale.
Diventa dunque inevitabile acquistare cannabis medica da compagnie estere a prezzi esorbitanti. Un caso clamoroso risale al 13 giugno 2019 con la pubblicazione da parte del ministero della Difesa di un bando il cui titolo recitava: “Gara procedura aperta accelerata per la fornitura di 400 kg di cannabis per le esigenze dello stabilimento chimico farmaceutico di Firenze”. Una gara a cui nessun produttore italiano avrebbe mai potuto partecipare, perché in Italia la cannabis terapeutica, medica e ludica non può essere coltivata da privati.
A leggere il verbale, redatto il 3 luglio 2019, non solo nessuna società è riuscita ad aggiudicarsi la gara, ma tutte le società che hanno partecipato al bando erano straniere: Tilray Portugal, Medical organic cannabis Australia, Aurora Deutschland e Canopy growht Germany. Perché prevedere ingenti spese di fondi pubblici (nel caso specifico un milione e 520mila euro al netto di iva) per ottenere dall’estero quanto si potrebbe produrre facilmente nel nostro paese sotto la guida dell’Istituto chimico farmaceutico?
Domanda e offerta
L’International narcotic control board (che monitora la movimentazione della sostanza nei vari paesi) stima che il fabbisogno di cannabis terapeutica dell’Italia sia di circa due tonnellate l’anno, a fronte di una capacità produttiva di circa 150 chili da parte dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. La crescente domanda viene soddisfatta con cannabis acquistata in larga parte dall’Olanda e da Israele.
Secondo l’avvocato Giacomo Bulleri, uno dei massimi esperti legali sulla cannabis industriale e terapeutica in Italia, «la soluzione non può che arrivare da una scelta politica chiara che sinora è mancata. Da un lato c’è un difetto nella catena di comunicazione dei dati circa il fabbisogno della cannabis, il che porta il ministero a sottostimare le quantità. Dall’altro occorre aprire a partnership con aziende private che ben potrebbero produrre per conto e in favore dello stato, tra l’altro condividendo un consolidato know-how in materia».
La canapa industriale
Diverso invece è il caso della canapa industriale, le cui varietà contengono una dose estremamente bassa di Thc, e quindi teoricamente potrebbero essere utilizzate senza sollevare alcun problema giuridico. E invece anche qui le regole sono di difficile interpretazione. A normare la materia in questo caso è la legge numero 242 del 2016 che consente a tutti la coltivazione della canapa industriale.
Il problema è che la legge non è stata di fatto coordinata con le relative normative di settore, né tanto meno con la normativa europea. Ad esempio, nel codex alimentarius si prevede che si possa utilizzare soltanto il seme della canapa industriale e non le altre parti della pianta. Un vero peccato, perché probabilmente pochi sanno che una delle caratteristiche più interessanti della canapa è che non si butta via nulla.
Le possibilità di utilizzo sono molteplici: dal fusto si possono produrre fibra, materiali edili o biocarburanti; dalle infiorescenze, oli essenziali, tisane, farmaci e cosmetici; dai semi, farina ed olio di semi. La versatilità della canapa è la base del suo basso impatto ambientale.
Una questione di lobby
E allora perché non creare una filiera agricola legale e trasparente che possa essere valorizzata nell’economia agraria italiana? «Numerose lobby temono la canapa per ragioni diverse: il suo utilizzo come biomassa per la produzione di carta o energia rinnovabile, ma soprattutto il suo impiego in medicina. Dal punto di vista farmacologico la canapa ha moltissime proprietà conosciute e meno conosciute che potrebbero essere sfruttate. La ricerca viene però spesso rallentata dalle amministrazioni e trova scarsi finanziamenti nel privato, all’apparenza per un pregiudizio duro a morire, ma in verità per le attente mosse del settore farmaceutico», racconta Marco Martinelli, ricercatore in biotecnologie vegetali alla scuola Sant’Anna di Pisa e autore del saggio Io sono la cannabis (Lupetti Editore).
Un recente studio pubblicato dall’Università di Catanzaro insieme all’Università di Rotterdam e all’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio, ha correlato la diffusione della cannabis light all’interno delle città italiane tra il 2017 e il 2018 con i dati relativi al consumo di farmaci nelle farmacie dei medesimi centri urbani. Il numero di vendite di farmaci è diminuito in media dell’1,6 per cento ma con dei settori specifici.
Le scatole di ansiolitici prescritte dai medici e vendute dalle farmacie sono diminuite significativamente dell’11,4 per cento, mentre il numero di antipsicotici è diminuito del 4,8 per cento. «Considerando che il business degli ansiolitici in Italia porta nelle tasche delle case farmaceutiche circa 350 milioni di euro, un calo del 10 per cento delle vendite a causa della cannabis, sarebbe probabilmente una perdita troppo consistente», dice Martinelli.
La vicenda paradossale della canapa – una vicenda, sinora, di miopia e di occasioni perdute – è un simbolo, quasi una metafora. Ci racconta di un paese incapace di affrontare le sfide della complessità, senza lasciarsi condizionare da lobby, da tenaci condizionamenti culturali, da pregiudizi ideologici.
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