Ma se tutti sanno della legge ad personam e qualcuno ricorda del complotto di agosto, nessuno ad oggi sa che cosa accade nel mese di novembre. L’utilizzo proprietario delle istituzioni che i camerati di Meloni mostrano in ogni gesto che fanno diventa abnorme nel momento in cui Palazzo Chigi prova a togliermi la scorta.

Premessa: la scorta non è un benefit. Si dà alle persone che lo Stato decide di proteggere se sussistono le ragioni della protezione. Punto. Se lo Stato italiano ritiene che non ci siano più le preoccupazioni che hanno portato ad assegnarmi la tutela dei bravissimi agenti Aisi che sono con me ormai dal febbraio 2014, bene così. Ringrazio. Offro una cena a chi è stato con me per tutto questo tempo. E volentieri accolgo questa disposizione. Avere la scorta non è un privilegio. Ma un dovere. Specie per chi ha svolto l’incarico di primo ministro. Ho ancora negli occhi le immagini del mio amico e collega Abe Shinzo ucciso durante un comizio dopo aver lasciato l’incarico. Qualche pazzo c’è sempre. Ma quello che cerca di fare la maggioranza tra un emendamento notturno sulle conferenze e un battibecco durante una discussione in Senato è clamoroso in ordine alla totale ignoranza di ogni galateo istituzionale.

La telefonata

9 novembre 2024, sono a Londra con tutta la famiglia per festeggiare l’imminente compleanno di Agnese. Emanuele è là per un exchange, una sorta di Erasmus; Francesco ed Ester saltano i propri impegni e approfittando del giorno libero a scuola siamo tutti a festeggiare il compleanno della mamma. Ricevo una telefonata da Alfredo Mantovano, al mattino presto. Non voglio svegliare gli altri.

Gli scrivo: dammi dieci minuti e ti chiamo. Mi do una sciacquata, mi butto addosso un giaccone ed esco dalla camera e dall’albergo. Sono vicino a Hyde Park e camminare la mattina a Londra è sempre un’esperienza bellissima, anche quando è freddo. Basta che non piova.

Telefono al braccio destro di Giorgia. Convenevoli di rito, ma lo sento imbarazzato. Alla fine va al dunque: «Abbiamo deciso di toglierti gli agenti Aisi che lavorano con te. Torneranno in agenzia».

«Bene» rispondo. «Trattateli bene perché se lo meritano», aggiungo, «sono molto bravi. Immagino che siano venute meno le ragioni di sicurezza perché io abbia la tutela. È una buona notizia!»

«No, non è propriamente così. Hai ancora bisogno di una tutela per noi».

«Ah peccato. Ma scusa, allora perché mi togliete le persone con cui lavoro da undici anni?».

«Perché c’è un vecchio Dpcm (Decreto del presidente del Consiglio dei ministri) che dice che Aisi, cioè i servizi segreti, non deve più occuparsi di scorta ai politici».

Conosco quel decreto. Era frutto della visione dell’ex capo della polizia Gabrielli che voleva togliere l’Aisi da tutte le scorte. «Ok, Alfredo. Va bene. Ma avete riflettuto sul fatto che anche la premier ha gli uomini Aisi a sua tutela? Se vuoi attivare quel decreto, firmato ma poi subito sospeso, devi mandare via i miei dalla mia scorta ma anche quelli della Meloni».

Silenzio sulla linea

Silenzio dall’altra parte del filo. Ho già fatto più di un chilometro e i colori di Londra d’autunno allargano il cuore. Ancora silenzio. Cammino a passo svelto, devo arrivare ai miei diecimila passi giornalieri. Poi la frase: «Ma sei sicuro? Secondo me non è così». Gli rispondo: «Be’, allora non hai letto il decreto. Leggilo e risentiamoci se vuoi».

Parte una carambola di messaggi con vari dirigenti dello stato e con l’unica vera Autorità Delegata rimasta in questo paese, Gianni Letta. Alla fine il governo cambia versione. «Guarda non applichiamo il decreto. Ti togliamo i tuoi uomini perché ci servono all’Aisi. Abbiamo ristrettezze di personale».

Sono già rientrato in albergo, ho già fatto la doccia, fatto colazione e sono arrivato a Piccadilly Circus. Quando mi dicono che l’Aisi ha ristrettezze di personale, scoppio a ridere. Nessuno che non sia nel Copasir sa quanto personale abbiano le varie agenzie. I documenti interni sono riservati e giustamente secretati. Ogni parlamentare però può vedere la cifra che il Bilancio dello Stato dedica al comparto. Dai tempi di Berlusconi e miei a oggi il budget che lo Stato assegna al comparto dell’intelligence è praticamente raddoppiato. In dieci anni è raddoppiato, pazzesco. Il vostro stipendio non è raddoppiato, la vostra pensione non è raddoppiata, il valore della vostra casa non è raddoppiato. Invece i soldi che mettiamo per i servizi segreti sì. È tecnicamente impossibile che loro abbiano ristrettezze di personale. Basta vedere la parte pubblica del bilancio per capire che soldi per i servizi ce ne sono anche troppi. Magari, verrebbe da dire, spendeteli bene. E non spiamo le persone sbagliate con il trojan sbagliato, ecco. Ma questa è un’altra storia.

Uomini fidati

Finalmente viene fuori la vera proposta. Mi chiedono di rinunciare ai miei uomini e in cambio mi daranno una tutela della polizia, scelta da loro. Chissà perché. Avevano utilizzato la scusa del vecchio Dpcm al solo scopo di cambiare la mia scorta.

Quando si sono accorti che se lo fanno devo togliere anche i fidatissimi uomini a disposizione della premier cambiano linea. Ma, nel dubbio, metto per iscritto. Ma nel dubbio metto per iscritto a Mantovano, e alla Meloni, che se loro decidono – del tutto legittimamente – di togliermi la scorta Aisi perché serve loro personale, allora a maggior ragione i poliziotti o i carabinieri non possono stare a fare la scorta a Renzi ma devono andare alla stazione di Milano o nelle periferie di Roma o nei sobborghi di Palermo.

Se l’Aisi non deve più seguirmi io non faccio polemica. Anzi. Ringrazio. Ma rinuncio a essere seguito da altri: non toglierò mai un solo agente di polizia dai controlli che questo tempo di crescente insicurezza pone alla vita quotidiana. Scrivo e firmo il messaggio, poi ritorno con la famiglia a camminare. Il quartiere di Chelsea è bellissimo. E chiacchierare del più e del meno con i figli aiuta a capire che anche la vita è più grande delle piccole furbate di quelli come Mantovano.

Una delle pochissime riserve della Repubblica che era a conoscenza di questa storia mi dirà qualche settimana più tardi, dopo che il Parlamento ha approvato la legge ad personam: «Pensano che le istituzioni siano loro. Si faranno male, prima del previsto».

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