Ci sono province in cui le persone non possono registrare la loro domanda di protezione internazionale perché si esige un documento che la legge non prevede. In altri luoghi viene violato il diritto alla tutela legale o si finisce in limbo lungo anche un anno prima di veder formalizzata la propria richiesta
Fuggono da guerre, persecuzioni e violenze, ma quando provano a chiedere di essere riconosciuti come rifugiati in Italia, trovano un muro fatto di prassi amministrative illegittime, diventate consuetudine. Sono i richiedenti asilo, uomini e donne che si rivolgono alle questure per ricevere il riconoscimento di uno status che costa mesi di attesa in assenza di tutele e spesso svariate centinaia di euro.
Nel 60 per cento dei casi rilevati dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) nel 2023, le persone non riescono neppure a entrare in questura per presentare domanda. Anche per questo l’Asgi ha denunciato alla Commissione europea la violazione da parte dell’Italia della normativa Ue in materia di accesso alla procedura di asilo. La segnalazione riguarda anche il mancato rispetto delle tempistiche per la registrazione delle domande. I motivi di questi ritardi sono molteplici.
Una pratica illegittima
In almeno 40 province, i richiedenti asilo non possono registrare la loro domanda di protezione internazionale perché la questura esige un documento che la legge non prevede: la dichiarazione di ospitalità. «Le autorità dovrebbero avere l’obbligo di formalizzare la domanda anche se il richiedente è senza fissa dimora» dice Lidia Vicchio, avvocata di Cosenza. Per ottenere questo documento, ha scoperto che un suo assistito ha pagato 600 euro.
Chiedere un indirizzo di abitazione come condizione per registrare la domanda di asilo è una pratica illegittima diventata sistematica e qualcuno ha deciso di lucrarci. Si è creato così un mercato nero di dichiarazioni di ospitalità esteso da nord a sud. «I migranti sono disposti a pagare tantissimo, anche stando senza mangiare, pur di avere questo documento», spiega Vicchio. «Quando ci siamo rivolti alla questura di Cosenza chiedendo spiegazioni tramite l’accesso agli atti, ci è stato risposto che questa dichiarazione non viene richiesta, ma sappiamo che è proprio il contrario».
Diritti negati
Un altro problema è che nella stessa questura non viene permesso agli avvocati di accompagnare i propri assistiti all’interno dell’Ufficio Immigrazione. Insieme alla frequente mancanza di mediatori culturali, questo impedimento può creare problemi di comprensione durante i colloqui e far sì che vengano chiesti documenti che non avrebbero motivo di essere richiesti.
«Si tratta di una lesione del diritto di difesa. Abbiamo segnalato la prassi chiedendo un incontro alla prefettura, alla questura e al Consiglio dell’ordine di difesa di Cosenza, ma nessuno ha risposto. Questo ci dice purtroppo che gli interessati sono considerati come persone di serie B» aggiunge Vicchio.
La richiesta di un indirizzo di abitazione è comune anche a Venezia. Qui la questura tratta meno di cinque domande al giorno, ma a mettersi in coda davanti all’ufficio sono decine di persone. Di recente, una donna con due figli piccoli ha tentato di chiedere asilo. Come tante e tanti, dorme in strada e quando si è rivolta alla questura è stata respinta perché non possedeva una dichiarazione di ospitalità.
«Quando poi ha chiesto di essere inserita nel sistema di accoglienza, le è stato risposto che non c’era posto, nonostante ne avesse diritto» racconta l’avvocato Francesco Mason. Per le persone arrivate in Italia senza essere registrate, presentare domanda di asilo è necessario per essere inseriti nei centri di accoglienza. Restarne esclusi significa rimanere senza documenti, senza poter accedere alle cure del sistema sanitario e a un contratto di lavoro regolare.
Nel limbo
Attendere di registrare la propria richiesta lascia le persone a lungo in un limbo. I dati raccolti da Asgi mostrano che in 18 questure, dalla presentazione della domanda di asilo alla sua formalizzazione, intercorre un periodo di tempo superiore ai sei mesi e in tre questure superiore a un anno. A Venezia, dopo diverse diffide, il periodo di attesa è passato nella maggior parte dei casi da un anno a cinque mesi. Ai richiedenti viene detto più volte di ripresentarsi in questura.
«Si tratta di un invito a tornare che giuridicamente non ha alcun valore. L’appuntamento viene dato su un mero pezzo di carta che riconosce di fatto solo il ritardo della pubblica amministrazione» dice Mason, che segnala una situazione di violazione della normativa di asilo diffusa: «La legge prevede che da quando la persona manifesta la richiesta di asilo non debbano passare più di tre giorni, che possono essere aumentati di 10 solo in caso di massiccio afflusso di persone, quindi di fatto la maggior parte delle questure agisce nell’irregolarità».
Secondo la rilevazione di Asgi, le questure non solo fissano un tetto massimo di domande giornaliere che possono essere presentate, ma anche un numero massimo per ogni nazionalità. Si tratta ancora una volta di una pratica discrezionale, attraverso cui l’accesso agli uffici viene rimandato a oltranza. Fino a pochi mesi fa, a Roma, i richiedenti asilo venivano in molti casi respinti dalla questura, soprattutto se provenienti dai cosiddetti paesi di origine sicura. «La questura riteneva arbitrariamente che loro non avessero diritto all’asilo, perché li considerava migranti economici» spiega l’avvocata Vittoria Garosci.
A dicembre 2023 le associazioni Asgi, Arci, Libellula, Spazi circolari e Progetto diritti hanno presentato un ricorso collettivo nei confronti di questa pratica. La questura non ha negato il problema e nove mesi dopo le associazioni hanno chiesto la cessazione del processo perché ritengono che la situazione sia cambiata.
«Tutte le richieste di asilo oggi vengono accettate e calendarizzate», commenta Garosci: «Questo è importante perché dimostra che non è un problema di risorse, perché non ne sono arrivate in più, ma di volontà politica. La questura si è organizzata e ha stabilito una procedura formalizzata, come dovrebbe accadere anche in tutte le altre».
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