Il 22 aprile del 2013, dopo la sua seconda elezione al Quirinale, l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, pronunciò un discorso molto duro nei confronti dei partiti che non erano stati capaci di eleggere un nuovo presidente.
Il secondo mandato di Giorgio Napolitano nacque dalla congiura dei 101, quando diversi parlamentari del Pd decisero segretamente di non sostenere il candidato ufficiale del partito, il fondatore dell’Ulivo Romano Prodi, lanciato dall’allora segretario Pier Luigi Bersani. Prima di lui venne fermata la candidatura di Franco Marini. In questi giorni così confusi, con le due coalizioni in campo che non riescono a trovare un nome condiviso, i singoli parlamentari che spingono per un bis di Sergio Mattarella, ci è tornato in mente il discorso di Napolitano, che le forze politiche sembrano aver dimenticato.
Di seguito il video del discorso e degli estratti del testo.
«Signora Presidente, onorevoli deputati, onorevoli senatori, signori delegati delle regioni, lasciatemi innanzitutto esprimere, insieme con un omaggio, che in me viene da molto lontano, alle istituzioni che voi rappresentate, la gratitudine che vi debbo per avermi, con così largo suffragio, eletto presidente della Repubblica.
È un segno di rinnovata fiducia che raccolgo comprendendone il senso, anche se sottopone a seria prova le mie forze, e apprezzo in modo particolare che mi sia venuto da tante e tanti nuovi eletti in parlamento che appartengono a una generazione così distante, e non solo anagraficamente, dalla mia [...].
Come voi tutti sapete non prevedevo di tornare in quest’aula per pronunciare un nuovo giuramento e messaggio da presidente della Repubblica. Avevo già nello scorso dicembre pubblicamente dichiarato di condividere l’autorevole convinzione che la non rielezione al termine del settennato è l’alternativa che meglio si conforma al nostro modello costituzionale di presidente della Repubblica.
Avevo ugualmente messo l’accento sull’esigenza di dare un segno di normalità e continuità istituzionale con una naturale successione nell’incarico di capo dello stato. A queste ragioni e a quelle più strettamente personali, legate all’ovvio dato dell’età, se ne sono infine sovrapposte altre, rappresentatemi, dopo l’esito nullo di cinque votazioni in quest’aula di Montecitorio, in un clima sempre più teso, dagli esponenti di un ampio arco di forze parlamentari e dalla quasi totalità dei presidenti delle regioni [...]».
Inconcludenza
È emerso, nella mattinata di sabato, un drammatico allarme per il rischio ormai incombente di un avvitarsi del parlamento in seduta comune nell’inconcludenza, nella impotenza ad adempiere il supremo compito costituzionale dell’elezione del capo dello stato. Di qui l’appello che ho ritenuto di non poter declinare, per quanto potesse costarmi l’accoglierlo, mosso da un senso antico e radicato di identificazione con le sorti del paese [...].
È a questa prova che non mi sono sottratto, ma sapendo che quanto è accaduto qui nei giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità. Ne propongo una rapida sintesi, una sommaria rassegna».
Tatticismi e strumentalismi
«Negli ultimi anni, a esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti, che si sono intrecciate con un’acuta crisi finanziaria, con una pesante recessione, con un crescente malessere sociale, non si sono date soluzioni soddisfacenti; hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi, e strumentalismi.
Ecco cosa ha condannato alla sterilità o a esiti minimalistici i confronti tra le forze politiche e i dibattiti in parlamento. Quel tanto di correttivo e innovativo che si riusciva a fare nel senso della riduzione dei costi della politica, della trasparenza e della moralità nella vita pubblica è stato, dunque, facilmente ignorato o svalutato e l’insoddisfazione e la protesta verso la politica, i partiti e il parlamento sono state con facilità, ma anche con molta leggerezza, alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie, da rappresentazioni unilaterali e indiscriminate in senso distruttivo del mondo dei politici, delle organizzazioni e delle istituzioni in cui essi si muovono».
Applausi imperdonabili
«Attenzione: il vostro applauso, quest’ultimo richiamo che ho sentito di dovere esprimere, non induca ad alcuna autoindulgenza. Non dico solo i corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e dell’amministrazione, ma nemmeno i responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme. Imperdonabile resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005 (la legge Calderoli, ndr) [...]».
Lo stallo fatale
«Molto si potrebbe aggiungere, ma mi fermo qui, perché su quei temi specifici ho speso tutti i possibili sforzi di persuasione, vanificati dalla sordità di forze politiche che pure mi hanno ora chiamato ad assumere un ulteriore carico di responsabilità per far uscire le istituzioni da uno stallo fatale.
Ma ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese. Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana [...]».
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