Vicepresidente esecutivo per la Coesione e le riforme, con deleghe alle Politiche di coesione, dello sviluppo regionale e delle città. E con il compito di lavorare, fianco a fianco con il commissario all’Economia, Valdis Dombrovskis, «per realizzare le riforme e gli investimenti concordati stabiliti nei Pnrr dei paesi Ue entro la scadenza del 2026». Ursula von der Leyen chiude, dopo giorni di trattative, il “caso” Fitto. Lo fa con una mossa che consente alla premier Giorgia Meloni di celebrare la sua vittoria politica rivendicando che «l’Italia torna protagonista in Ue».

Ora Raffaele Fitto avrà ancora qualche settimana per allenare il suo inglese in vista delle quattro ore a disposizione dei parlamentari europei per incalzarlo sui temi specifici delle sue deleghe e qualsiasi altro argomento ritengano opportuno. La sfida non sarà semplice. E non solo per la barriera linguistica.

Il ministro è l’unico vicepresidente esecutivo, su un totale di sei, esponente di un gruppo – l’Ecr – che ha votato contro il bis di von der Leyen e dovrà rispondere al fuoco di domande di gruppi che invece l’hanno sostenuta. Verdi, Liberali e Socialisti dovranno decidere il da farsi: alla presidente della Commissione avevano chiesto che non ci fossero tra i vicepresidenti esecutivi esponenti di gruppi fuori dalla maggioranza, ma lei ha scelto diversamente.

Dentro il Pse anche il Pd di Elly Schlein è davanti a un bivio sul voto: per ora la posizione ufficiale, espressa dall’eurodeputato Stefano Bonaccini, è che per decidere si attenderà l’audizione di Fitto. Tuttavia, esprimersi contro Fitto aprirebbe un problema in casa dem, che potrebbero sentirsi rinfacciare di non portare avanti gli interessi dell’Italia in Europa pur di osteggiare il governo.

Certamente l’ex ministro è stato accuratamente scelto tra i volti più presentabili della compagine di Fratelli d’Italia e la sua provenienza dal mondo moderato ha aiutato a convincere von der Leyen. Meloni ha ottenuto ciò che aveva chiesto: sedere allo stesso tavolo di Francia, Germania e Spagna (ognuno con un vicepresidente esecutivo). Le deleghe non saranno eccezionali, ma forse sta proprio in questo la genialità di von der Leyen. La presidente è riuscita a costruire una soluzione che consente un po’ a tutti di cantare vittoria.

Eppure, il “successo” della premier ha una doppia faccia. La nomina di Fitto proietta Meloni in quell’orbita europeista da cui il no al bis di von der Leyen l’aveva allontanata. La presidente del Consiglio torna a essere un’interlocutrice privilegiata, ma scissa tra alleati di governo ed europei.

Quanto accaduto fa di certo piacere ad Antonio Tajani, che in passato si era speso addirittura per portare FdI verso il Partito popolare europeo e che si è applicato in prima persona a garanzia dell’affidabilità italiana. «La nomina è un’ottima notizia che conferma la credibilità e il ruolo di peso che l’Italia svolge e continuerà a svolgere in Europa», ha scritto il vicepremier azzurro nel suo messaggio di congratulazioni, e tutti i principali esponenti del partito lo hanno seguito nel segnalare come il ruolo di Fitto sia stato anche frutto dei buoni uffici del Ppe.

In altre parole, la scelta di von der Leyen di scontentare gli alleati a sinistra per imbarcare un esponente di Ecr ha spostato sì la sua commissione a destra, ma è un passaggio per recuperare quella quota di conservatori che la presidente ha sempre considerato interlocutori, come è stato con Meloni nell’ultimo scampolo del precedente mandato europeo.

L’isolamento della Lega

Fuori da questa dinamica rimane invece la Lega. In una tormentata fase interna, il partito è alle prese con un congresso nazionale dalla data incerta e due congressi regionali, in Veneto e Lombardia, che rischiano di terremotare la segreteria di Matteo Salvini. Aleggia poi lo spettro di Roberto Vannacci, che è stato “mister preferenze” alle europee e oggi non fa mistero di pensare a far nascere un movimento autonomo. Tanto che è già arrivato alla rottura con il gruppo dei Patrioti dove siede con gli altri leghisti e di cui è stato sospeso dalla vicepresidenza. «Vannacci non è più vicepresidente del gruppo», ha confermato Jean-Paul Garraud, capo delegazione del Rassemblement national al parlamento europeo, anche se il diretto interessato ha detto di non esserne al corrente.

In questo clima la Lega, che in Europa ha votato contro la presidenza von der Leyen, ha accolto con complimenti che sanno di avvertimento la nomina di Fitto. «Saprà portare avanti gli interessi dell’Italia con buonsenso e concretezza», ha commentato Salvini. «Si impegnerà a restituire centralità alla politica rispetto al potere dei tecnocrati di Bruxelles», ha chiosato il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio.

Negli ultimi giorni, e dopo la richiesta di condanna a sei anni nel processo Open Arms, Salvini ha scelto di imprimere una forte accelerazione alla sua linea euroscettica, da ultimo con due inviti eclatanti sul palco del pratone di Pontida. Alla manifestazione più importante del leghismo il segretario punta ad avere sul palco i due assi della destra più estrema: Marine Le Pen e Victor Orbán. La scelta poco e male si concilia con gli orientamenti che invece Meloni dovrà scegliere per il governo italiano dopo che von der Leyen ha accolto le sue richiesta di «un posto di peso» nella Commissione. Con un chiaro effetto: che in futuro le divergenze europee tra i partiti del governo si continuino ad allargare, invece che restringersi.

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