Il ministero dell’Economia in manovra ha chiesto tagli pesanti al personale del servizio pubblico, ma le spese impattanti sono anche su altri capitoli
Da un lato i tagli, dall’altro il benessere. Giancarlo Giorgetti ha parlato chiaro nel testo base della manovra. L’articolo 113, che chiede tagli pesanti (a spanne siamo sui 20 milioni di euro) alla Rai per gli anni a venire, è ancora là.
A viale Mazzini contano sul soccorso di Fratelli d’Italia che eviterebbe all’ad di area Giampaolo Rossi di intervenire sul personale come chiede il ministero. Ma per ora, di questo aiuto, non c’è ancora traccia. D’altra parte l’azienda versa in una situazione economica quantomeno difficile, ma contemporaneamente non rinuncia a spese di tutto riguardo per i vertici e le produzioni esterne.
L’ultimo fringe benefit dei dirigenti, che ha generato più di un malumore ai dipendenti e ai precari, è stato quello raccontato dal Fatto Quotidiano sulle auto “blu” aziendali in leasing. L’azienda fornisce un contributo da 1.050 euro mensili che possono coprire le intere spese di noleggio, ma anche no. In questo caso la differenza la copre il diretto interessato. Il beneficio riguarda 300 persone, tra direttori di testata, di genere e altri dirigenti, e costa alla Rai la bellezza di 5 milioni. Una cifra che è meno di un centesimo del rosso in cui versa l’azienda, ma che rappresenta, a spanne, un quarto dei tagli richiesti da Giorgetti.
Il beneficio, ribadiscono dall’azienda, è previsto da contratto, accordi sindacali e sottoposto a tassazione. E anche in termini di concorrenza, sottolineano, è un trattamento in linea con i dirigenti di altre partecipate pubbliche, che comunque non compenserebbe i limiti di stipendio che la legge prevede per la Rai e che, sempre agli occhi di chi ci lavora, limita l’attrattività per i manager esterni. «Sono anni che non riusciamo a prendere nessuno da fuori» si lamentano da viale Mazzini. Dove qualcuno rivendica che, però, «hanno tagliato pure gli autisti!». Fino a quindici-venti anni fa, infatti, per i direttori era previsto anche questo agio.
L’oggetto del contendere
Nonostante le questioni d’immagine, in azienda l’attenzione è ancora rivolta al prossimo giro di nomine. Dalle parti di Fratelli d’Italia c’è grande attesa per l’apertura del tavolo. Alcune direzioni sono già scadute e in parecchi spingono perché Rossi acceleri. «Tanto l’elezione di Simona Agnes entro l’anno ce la siamo giocata ormai», è il ragionamento di chi prevede una conversione dei grillini – restano loro i più indiziati a fornire i due voti mancanti – al sostegno della presidente designata. Ma per cominciare la trattativa – per cui pure si sono già seduti allo stesso tavolo senza però decidere nulla i referenti parlamentari dei tre partiti di maggioranza, Francesco Filini, Maurizio Gasparri e Alessandro Morelli – c’è bisogno di un confronto con la politica.
I meloniani sperano anche che Lega e Forza Italia chiudano la querelle sul canone, che nonostante l’affossamento dell’emendamento della Lega al dl Fiscale non sembra essere del tutto tramontata. A metterci il carico è stato Urbano Cairo che è tornato a rivendicare il diritto di La7 a una fetta del canone: «La Rai conta anche su un 24 per cento di ricavi da pubblicità. Se ne ha così tanta, allora anche La7 potrebbe avere una piccola parte di canone. Perché Augias quando è su Rai è servizio pubblico e quando è su La7 no?»
Dal Carroccio intanto continuano ad arrivare messaggi in codice, in particolare dai componenti della commissione di Vigilanza. Il capogruppo Giorgio Maria Bergesio spiega che «le risorse certe non devono gravare sempre sui cittadini. Ci sono forme alternative, probabilmente anche di entrate, come il discorso del tetto pubblicitario, che potrebbero aiutare a ridurre il canone».
Un dito negli occhi a Mediaset e dunque ai Berlusconi, che non vogliono vedere una Rai più competitiva sul mercato pubblicitario. Ma la pistola è sul tavolo, sotto forma di una proposta di legge presentata alla Camera dal suo collega Stefano Candiani, che prevede di aumentare di un punto percentuale la pubblicità della Rai, con un taglio a cadenza annuale del canone del 20 per cento.
Tutte acque agitate in cui i capitani di viale Mazzini non vogliono trovarsi a navigare, zavorrati già dalle performance difficili degli ultimi mesi. Generate per altro spesso da programmi realizzati da produzioni esterne, come il famigerato Avanti popolo di Nunzia De Girolamo o Lo stato delle cose di Massimo Giletti, che si muove intorno al 5 per cento di share, o ancora La Confessione di Peter Gomez, coprodotta da Loft. Spesso si tratta di impegni economici rilevanti, così come impatta pesantemente sui conti delle reti – una su tutte, la radio – l’impiego di parecchie forze esterne alla Rai. Insomma, le spese da rivedere possono essere anche altre oltre a quella per il personale.
Intanto, dando una risposta anche alle mobilitazioni sindacali degli ultimi tempi, Rai ha promesso di attivarsi per mettere in piedi una selezione interna «volta a valorizzare il personale impegnato con rapporti di lavoro autonomo ed abilitato all'esercizio della professione giornalistica». Tradotto: stabilizzare i precari che qualche settimana fa manifestavano sotto a viale Mazzini. Sempre che la manovra sia tollerante in questo senso.
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