Dopo il debutto disastroso in termini di ascolti dei nuovi palinsesti della Rai meloniana, si apre il prossimo capitolo di scontri per viale Mazzini
Il rischio di perdere anche questa occasione per il centrosinistra è altissimo. La finestra per candidarsi alla successione di Riccardo Laganà, scomparso ad agosto, in qualità di consigliere d’amministrazione Rai in quota dipendenti si chiude tra una settimana e per il momento la disaffezione per un’elezione che non mobilita giornalisti e tecnici combinata con l’incapacità delle forze di centrosinistra di mettersi d’accordo rischia di lasciare il campo alla destra. Intanto, i partiti di maggioranza si stanno organizzando in vista del rinnovo del consiglio e la melonizzazione completa del servizio pubblico con il subentro di Giampaolo Rossi a Roberto Sergio sembra meno probabile.
È una partita complicata, quella del consigliere in quota dipendenti. La ragione sta nella miriade di componenti in cui è diviso il panorama sindacale della Rai: i giornalisti sono tradizionalmente rappresentati dall’Usigrai, che però ha al suo interno la componente Pluralismo e libertà, riconducibile ad ambienti più di destra (tra i volti più noti c’erano, prima di arrivare a direzione approfondimenti e vicedirezione Tg1, Paolo Corsini e Cora Boccia).
Gli altri dipendenti – molti di più e spesso in contrapposizione con i giornalisti – si dividono tra i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil, oltre all’Ugl. In più c’è la piattaforma IndigneRai, quella di Laganà, nata sull’ondata dell’antipolitica e anticasta. Insieme allo Snater, un altro sindacato che rappresenta i tecnici Rai, il gruppo ha già trovato il suo nome per la corsa, quello di Davide Di Pietro: una candidatura su cui però Usigrai, che pure aveva lavorato bene con Laganà dopo qualche incomprensione iniziale, non riesce a convergere. La partita si sposta dunque sulla trattativa con i confederali, che però sono a loro volta in rotta: nei giorni scorsi Cgil e Cisl hanno pubblicato un documento congiunto per aprire un tavolo sulla ricerca di una candidatura a cui l’Usigrai ha già risposto in modo positivo. Resta fuori dai colloqui per il momento la Uil, che ha questioni interne da risolvere con gli altri due confederali. E così, nonostante la mediazione di Usigrai in corso, è tutt’altro che certo che la frattura possa ricomporsi in tempo per presentare una candidatura unica. L’Ugl, da parte sua, ha pure pubblicato una presa di posizione il cui punto centrale è la completa indisponibilità a trovare un accordo sul candidato di IndigneRai.
Meno male che c’è l’autocandidatura, per il momento senza appartenenza, almeno esplicita, di Lorenzo Mucci, dirigente di produzione prima al Salario e adesso direttore di sede a Pescara. Una figura relativamente in ombra nel variegato panorama di viale Mazzini, ma che era stata tirata in ballo anche alle elezioni del 2018, le prime in cui era stato scelto un rappresentante dei dipendenti in applicazione della riforma della governance Rai voluta da Matteo Renzi: potrebbe essere lui il nome su cui Pluralismo e libertà e Ugl – che per il momento restano alla finestra in attesa di capire come si muoveranno gli avversari – convergeranno. Circola però anche il nome di Virginia Lozito, giornalista del Tg1 attiva in Pluralismo e libertà.
La speranza degli ambienti di centrosinistra del servizio pubblico è che in extremis si possa raggiungere la convergenza tra Usigrai e confederali su un nome comune: ma, anche in quel caso (e con il candidato IndigneRai che rischia di pescare nello stesso bacino di voti), resta l’ostacolo del quorum. Per essere valida, all’elezione deve partecipare almeno il 50 per cento degli aventi diritto. Già alle ultime due consultazioni l’affluenza non è stata esattamente esorbitante, figurarsi in un clima che chi è addentro alle vicende Rai definisce «di disaffezione». Un contesto che rischia di evocare, dopo il voto di novembre, la necessità di un secondo turno.
Il tandem Sergio-Rossi
Al contrario, se l’accordo tra Usigrai e confederali si trovasse, potrebbe creare terreno fertile per la riconferma del nome anche dopo il rinnovo del Consiglio d’amministrazione a giugno 2024, dopo le europee. È quello il secondo tempo di questa partita: il passaggio di mano della poltrona di amministratore delegato tra Roberto Sergio e Giampaolo Rossi sembra improbabile come mai prima in questi giorni. L’ultima prova di quanto siano lontani i loro approcci professionali è la questione della scelta del nuovo direttore del marketing. Roberto Nepote è prossimo alla pensione, e a una manciata di giorni dalla fine del suo incarico, Sergio e Rossi non hanno ancora trovato l’accordo sul suo successore, visto che ciascuno dei due ha un candidato proprio. Sembra che alla fine possa spuntarla Roberta Lucca, che si occupava già di marketing a Rai pubblicità, mentre per Nepote appare sempre più probabile un contratto di consulenza.
A viale Mazzini parecchi hanno notato anche come l’ad non perda occasione per prendersi la scena: l’ultima è stata la conferenza stampa di presentazione dell’offerta digitale. Anche in una situazione simile, in cui il parere del direttore generale con delega alla governance potrebbe essere interessante, Rossi sceglie di tacere.
Il direttore generale è preoccupato dagli ascolti bassi, riferisce a Domani chi conosce bene il settimo piano di viale Mazzini. L’andamento disastroso dello share rischia anche di avere conseguenze in legge di bilancio: non è da escludere che la Lega, che da sempre promette l’abolizione del canone, decida di mandare con la scusa della scarsa disponibilità di fondi un messaggio ai vertici Rai tramite il ministro Giancarlo Giorgetti.
Ma a prendersi la responsabilità di difendere Pino Insegno dalla «violenza mediatica e preventiva» è comunque Sergio, nonostante il doppiatore gli sia stato imposto dalla destra meloniana: anche in questo contesto, l’ad vuole mostrarsi vero uomo-azienda. Come quando, nella sua prima riunione a capo del Consiglio d’amministrazione, ha confermato immediatamente In mezz’ora e Report, mettendo in secondo piano colonne del palinsesto come Porta a porta e guadagnandosi la benevolenza delle opposizioni.
Da vero democristiano, Sergio sta continuando la sua politica di consolidamento del consenso, ma a dare maggiore concretezza alla sua ambizione di conservare il suo posto – nonostante continui a essere ufficialmente anche direttore di Radiorai – ultimamente è arrivato anche un sostegno, per ora non ufficiale, della Lega. Al Carroccio non dispiacerebbe approfittare dei nuovi equilibri dopo le europee per mettere una volta per tutte fine al piano di Giorgia Meloni di completare l’occupazione di viale Mazzini attraverso la sua longa manus Rossi. Sergio sarebbe più che digeribile anche per Forza Italia, ma l’ad può contare su un ottimo rapporto con il Movimento 5 stelle, già più che pronto ad aprirsi a trattative per gli incarichi in questi mesi. I più maliziosi indicano già con certezza l’obiettivo dei grillini, cioè la leggendaria direzione unica tra day time e prime time che da anni viene ormai evocata come possibile sviluppo delle direzioni di genere a viale Mazzini: ci sarebbe già anche il nome, quello di Adriano De Maio, oggi alla direzione cinema.
Calcoli che partono con molto anticipo e con la grande incognita delle europee, ma non sembra un caso che, nonostante l’invito riparatore a Ignazio La Russa a Cinque minuti di Bruno Vespa – dove la seconda carica dello stato ha definito i giornalisti di Report «calunniatori» – il gruppo di FdI in commissione Vigilanza abbia presentato un’interrogazione sulla trasmissione d’inchiesta che si è occupata del presidente del Senato. Se il caso dovesse esplodere, Sergio andrebbe incontro a un grosso imbarazzo, dopo aver difeso il programma di Sigfrido Ranucci tanto caro al Movimento 5 stelle.
Resta poi tutto da decidere anche per quanto riguarda la presidenza. Una poltrona su cui ha messo gli occhi la Lega, anche se l’ipotesi di Francesco Storace, circolata nei giorni scorsi, sembra perdere progressivamente quota. FdI spera ancora di riuscire a portare a casa il piano di Rossi, che voleva per quel posto Simona Agnes: alla consigliera non basterebbe il sostegno di Forza Italia, che difficilmente uscirà vincitrice dalle prossime europee. Con il subentro di FdI, però, la vicenda potrebbe prendere un’altra piega. Sempre che Forza Italia non decida di appoggiare la riconferma di Sergio per issare Agnes alla presidenza insieme alla Lega.
L’ultima anticipazione che gira nei corridoi di viale Mazzini, poi, è quella sull’identità del nuovo consigliere d’amministrazione in quota Fratelli d’Italia. Per la tanto agognata casella – nell’ultimo cda il partito di Meloni non era rappresentato – si fa con insistenza il nome di Guido Paglia, giornalista e fondatore di Avanguardia nazionale. Un nome che è tutto un programma.
Nel pomeriggio l’azienda ci ha segnalato che la nomina di Roberta Lucca è ufficiale e la manager di Rai pubblicità entrerà formalmente in carica il prossimo 20 ottobre.
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