Sospeso dal 2018, serve per stimare la vera capacità di spesa dei contribuenti e aiutare il fisco a determinare le giuste tasse da pagare. Il viceministro dell’Economia Leo ha firmato un decreto attuativo, Lega e Forza Italia si sono dette contrarie, e alla fine Meloni ha chiesto la sospensione del provvedimento
Risalire al reddito presunto dei contribuenti per verificare se quello dichiarato corrisponde a quello reale. Il funzionamento del redditometro sta qui e ha l’obiettivo di scoprire, tramite una serie di indicatori, la reale capacità di spesa di chi paga le tasse. Ma soprattutto – ed è questo il senso – di chi le paga meno del dovuto, comparando i redditi dichiarati con lo stile di vita delle persone.
Uno strumento all’apparenza tecnico. ma che sta facendo litigare il centrodestra, dopo che è stato reintrodotto da un decreto attuativo firmato da Maurizio Leo, il viceministro dell’Economia in quota Fratelli d’Italia con delega al fisco. Forza Italia e Lega sono saliti sulle barricate e, dopo il coro di voci critiche che si sono alzate dalla coalizione di governo, Giorgia Meloni prima ha provato a metterci una toppa («Con noi mai nessun grande fratello fiscale, se necessario chiederò cambiamenti») e poi, nella serata di mercoledì 22 maggio, ha annunciato: «Ho incontrato il viceministro Leo, ci siamo confrontati sui contenuti del decreto ministeriale e siamo giunti alla conclusione che sia meglio sospendere» il provvedimento «in attesa di ulteriori approfondimenti».
Cosa è il redditometro
Il redditometro tecnicamente è un sistema di «determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche». In altre parole, è uno strumento tramite cui il fisco mette sotto le proprie lenti la capacità reale di spesa dei contribuenti per risalire al loro reddito presunto, partendo da una serie di beni in possesso di chi dovrà pagare le tasse.
Quella «determinazione sintetica» è un dispositivo attraverso il quale «l'amministrazione finanziaria determina il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso di un periodo d’imposta», ha spiegato l’Agenzia delle entrate. Nel caso di evasione totale o parziale, tramite questo meccanismo il redditometro serve per determinare le imposte da pagare. E scatta quando il reddito accertabile supera del 20 per cento quello dichiarato.
Come viene ricostruito il reddito complessivo
Non è tanto il meccanismo in sé la vera novità del decreto attuativo di Leo (lo strumento esiste dal 1973, poi ripescato dal governo Berlusconi nel 2010 e sospeso dal 2018), quanto l’individuazione degli «elementi indicativi di capacità contributiva», cioè una serie di indicatori contenuti in una tabella allegata allo stesso decreto che l’Agenzia delle entrate utilizzerà per determinare il reddito complessivo.
Dai generi alimentari all’abbigliamento, dalle case agli elettrodomestici fino alle spese per i trasporti. Ma passeranno sotto le lenti del fisco anche le spese per il mutuo, gli abbonamenti televisivi, i giochi, le automobili, le azioni, eccetera.
Il reddito complessivo dei contribuenti verrà dedotto dai «dati presenti nel sistema informativo dell’anagrafe tributaria o comunque nella disponibilità dell’amministrazione finanziaria» come, per esempio, i pagamenti tracciati. Laddove questi dati dovessero mancare, verrà usata la «spesa minima» per le singole voci desunta dall’indagine che ogni anni l’Istat realizza sulle spese delle famiglie.
Vengono individuate 11 tipologie di nuclei familiari e 5 aree territoriali su cui fare le indagini a campione, differenziando così il costo della vita in base al tipo di famiglie e al posto in cui si vive. E consentirà accertamenti sulle dichiarazioni a partire dal 2016.
Le polemiche nel centrodestra
L’effetto politico nel centrodestra è deflagrante, considerato che Lega e Forza Italia hanno vissuto la notizia come un’imboscata. Perché il decreto attuativo di Leo è stato firmato in sordina lo scorso 7 maggio e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 20, ma – nascosto tra i tanti provvedimenti che ogni giorno finiscono nel raccoglitore ufficiale delle misure entrate in vigore – è venuto alla luce solo il giorno dopo.
Immediate le reazioni da Lega e Forza Italia, con toni amplificati per la campagna elettorale in corso. Il primo a cercarsi di smarcare è stato Matteo Salvini: «Il redditometro spero sia un passato che non torna. Preferisco siano accertati i fatturati veri, non i presunti. La punizione della presunta ricchezza non va bene». Gli ha fatto eco Forza Italia, da sempre sensibile al tema tasse: «Rimettono il redditometro? Non credo proprio», le parole di Maurizio Gasparri.
La difesa di Fratelli d’Italia
Davanti al rischio di uno scontro frontale con gli alleati, Fratelli d’Italia è stata costretta a correre ai ripari, minimizzando e tentando di correggere il tiro. «È un aggiornamento di alcuni parametri. Non annacqua né intacca la riforma fiscale», ha commentato Marco Osnato, presidente della commissione Finanze. E nella mattina di mercoledì 22 maggio Meloni ha provato a metterci una toppa: «Mai nessun grande fratello fiscale sarà introdotto da questo governo», ha scritto sui suoi profili social. «Se saranno necessari cambiamenti sarò io la prima a chiederli», ha aggiunto.
Lo stesso Leo è intervenuto per cercare di raddrizzare il tiro, spiegando come il decreto a sua firma in realtà fissi «dei paletti a garanzia del contribuente». Il centrodestra – ha continuato il viceministro meloniano – «è sempre stato contrario al meccanismo del redditometro introdotto nel 2015 dal governo Renzi».
Le origini del redditometro
In realtà Leo sbaglia, perché lo strumento ha una storia più lunga. Introdotto in una prima e incompleta forma (rispetto a quello attuale) nel 1973 dal governo Rumor IV, in attuazione di una delega di due anni prima, nel 1993 è stato introdotto l’«accertamento sintetico»: un redditometro ante litteram che attribuiva uno specifico coefficiente agli immobili o alle automobili possedute per stimare il reddito complessivo e per aiutare il fisco a determinare il giusto ammontare di tasse da pagare.
Poi è stato aggiornato in forme simili a quelle attuali nel 2010 dal governo Berlusconi (Meloni era ministra), modificato da Matteo Renzi nel 2015 e poi sospeso nel 2018 con il decreto Dignità del primo governo guidato da Giuseppe Conte, con dentro la Lega.
Il decreto attuativo di Leo, firmato il 7 maggio scorso, recepisce uno dei punti della delega fiscale. Ma il governo, dopo le dure prese di posizione degli alleati, è pronto a fare un passo indietro.
© Riproduzione riservata