La premier ha chiesto conto ai fedelissimi dello svarione sul redditometro. Ora punta a un colpo a sorpresa per cancellare la figuraccia del decreto di Leo
Da settimane rimbalza la voce di un colpo a sorpresa, una super promessa di Giorgia Meloni per avere un boost di voti in campagna elettorale. A “sondaggi spenti”, silenziati a due settimane dal voto, vuole una “renzata”, un’operazione alla Matteo Renzi coi famosi 80 euro di bonus che hanno spinto il suo Pd sopra il 40 per cento alle europee di 10 anni fa.
Con la differenza che la leader di Fratelli d’Italia stapperebbe spumante, rigorosamente made in Italy, già per il 30 per cento. Ma i desideri hanno la forma dei sogni. I tempi verso il voto sono stretti e i soldi sono pochi.
Allora occorre almeno mettersi a guardia dell’esistente, compresi i voti assegnati dalle ultime rilevazioni degli istituti di ricerca che nelle ultime settimane sono diventati sempre meno lusinghieri. Con il Pd che si sta pericolosamente avvicinando mentre FdI cala (22,5 per cento contro 26,5 secondo l’ultimo sondaggio Ipsos di ieri).
Fisco elettorale
In soldoni: va difeso con le unghie e con i denti pure lo “zero virgola” dei consensi. Nessun passo indietro di fronte alla ragionevolezza, al costo di rinunciare a misure di buonsenso come l’incrocio dei dati delle spese parametrate al tenore di vita. Il famigerato redditometro che avrebbe potuto risucchiare voti alle europee. In un primo momento Meloni ha temporeggiato. «Se saranno necessari cambiamenti sarò io la prima a chiederli», aveva scritto sui social.
Poi ha rotto gli indugi e affondato lo strumento anti-evasori, interpretato come il disastro perfetto confezionato dal suo fedelissimo, il viceministro Maurizio Leo, sotto la distrazione dell’intera squadra di governo.
Il prezzo elettorale sarebbe stato troppo alto: a poche settimane dalle elezioni è stato un affronto a un elettorato che guarda quantomeno con benevolenza al partito di Meloni, che si sente l’erede della tradizione “no-tax” inaugurata da Silvio Berlusconi.
La galleria di piccole e grandi sanatorie è consegnata dalla storia di questa legislatura, benché Antonio Tajani abbia scelto una linea precisa: mostrarsi con Forza Italia come il custode dell’ortodossia berlusconiana anti-tasse, avendo rivendicato la battaglia dello zucchero, il rinvio ulteriore della sugar tax disposto nel decreto Superbonus passato anche alla Camera.
In questo clima confuso, con spregio del bon-ton istituzionale, Meloni ha sospeso un decreto legislativo fresco di pubblicazione. Un cortocircuito clamoroso: il governo che sconfessa sé stesso nel giro di poche ore. Esponendo a una figuraccia il partito.
Appena diffusa la notizia del redditometro, infatti, sono state consegnate decine di note stampa dei parlamentari di Fratelli d’Italia che giuravano come il redditometro non fosse un vero redditometro, alzando il ditino contro le presunte fake news della stampa cattiva.
Tra le tante affermazioni invecchiate male (e precocemente) spicca quella di Nicola Calandrini, senatore di FdI e presidente della commissione Bilancio a palazzo Madama: «Si tratta pertanto di una misura che va nella direzione di un fisco amico che gli italiani si attendono».
Tanto amichevole che la sua leader ha deciso per la sospensione. Del resto gli alleati, da Antonio Tajani a Matteo Salvini, hanno avversato la narrazione dei meloniani. E hanno cannoneggiato ad alzo zero sul redditometro.
Dilettantismo al potere
Il risultato è stato un raro esercizio di dilettantismo al potere, che se lo avesse fatto un grillino qualsiasi avrebbe scatenato la bufera delle destre con Meloni pronto a urlare in faccia al responsabile.
A palazzo Chigi la presidente del Consiglio ha perciò chiesto conto della vicenda ai suoi, a cominciare dai pretoriani, i sottosegretari alla presidenza, Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano, che supervisionano i punti e le virgole di ogni provvedimento.
Insomma, va bene Leo, che è stato rampognato ma anche perdonato perché «la comunicazione non è il suo forte», sospirano dentro Fratelli d’Italia, ma «come è possibile che nessuno se ne sia accorto?», ha sostanzialmente chiesto Meloni ai suoi. Compreso i componenti dello staff.
Soprattutto Mantovano ha deluso le aspettative, è l’uomo che passa al setaccio i testi, Fazzolari è considerato più l’uomo della comunicazione. Il decreto del Mef è uscito fuori dai loro radar, in un mix di leggerezza e pressappochismo.
Ora la presidente del Consiglio vuole tornare alla casella di partenza, al colpo di scena per evitare che il cammino verso il voto dell’8-9 giugno diventi un faticoso trascinamento. Aveva provato a lasciare il segno con il bonus tredicesime, chiedendo una mano proprio al viceministro dell’Economia Leo.
Il ministro Giancarlo Giorgetti ha fatto capire che non c’era spazio nelle pieghe del bilancio. Si è arrivati quindi a una mancetta-boomerang di una misura che si vedrà solo a gennaio del prossimo anno, con un intervento una tantum e per una platea limitata, impalpabile per gli elettori. Perciò Meloni ha rinnovato la richiesta di impegno per il colpo di scena.
La propaganda sul decreto per la casa, rivendicato da Salvini, o il ritorno del disegno di legge sulla sicurezza, griffato Matteo Piantedosi, non è così incisiva. Ancora meno attrattivo è il premierato, che anzi rischia di motivare gli elettori di sinistra. Dal Mef il ministro Giancarlo Giorgetti ha comunque fissato dei paletti: niente provvedimenti costosi. Non sarà lui a finanziare qualche punto percentuale di voti a Meloni.
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