Il professore Aristide Police, ordinario di Diritto amministrativo all’università Luiss-Guido Carli dopo aver insegnato la stessa materia all’università Tor Vergata di Roma, spiega le ragioni per cui è probabile, a suo parere, il sì della Consulta all’ammissibilità del quesito sul testo delle legge sull’autonomia differenziata, un testo ormai mutilato dalla stessa Corte con la sentenza dello scorso 3 dicembre. Il verdetto viene atteso intorno al 20 gennaio. Ieri la segretaria del Pd Elly Schlein ha chiesto al governo di abrogare il testo Calderoli, ma in caso contrario si è dichiarata «prontissima» a portare i cittadini al voto del referendum.

Ma appunto, un passo alla volta, prima bisogna aspettare il giudizio della Corte costituzionale. Che, secondo il professore Police, «è un pendant del giudizio che si è già svolto in Corte. Il testo che la Cassazione ha esaminato in riferimento ai profili procedurali che le competono, per verificare i presupposti per la procedibilità del referendum, ritorna alla Corte con riguardo al quesito che si pone agli elettori, cioè l’abrogazione o meno dell’intero impianto legislativo del disegno dell’autonomia differenziata. Ora il parametro di valutazione della Corte è soltanto quello della comprensibilità del quesito, della sua fruibilità da parte del corpo elettorale in modo che sia nella condizione di esprimersi in modo consapevole e pieno».

E a lei sembra un quesito fruibile e comprensibile, nonostante la legge sia stata «mutilata»?

Sì. La giurisprudenza costituzionale sui quesiti referendari su leggi intere fino agli inizi degli anni 2000 è stata sempre favorevole all’ammissibilità. In seguito ci sono state alcune sentenze che hanno dichiarato inammissibili quesiti che riguardavano pure intere disposizioni di legge, in ragione del fatto che le disposizioni non avevano caratteri di omogeneità tali per cui l’espressione in un unico voto della volontà abrogatrice non poneva il corpo elettorale nella condizione di comprendere esattamente quali delle diverse disposizioni venissero approvate o respinte in blocco. Il tema che ora si pone dinanzi alla Consulta è valutare se il corpo normativo salvato dalla sentenza del 3 dicembre scorso sia caratterizzato da un sufficiente grado di omogeneità di disegno, tale che consenta al corpo elettorale, con un’unica manifestazione di consenso o dissenso, insomma un sì o un no, di esprimersi favorevolmente o sfavorevolmente.

Quindi che la legge sia stata modificata, di fatto, dalla stessa Consulta non conta?

Rileva se la parte residua del testo, che però è cospicua, è comunque caratterizzata da un’unicità di disegno legislativo. E a me sembra lo sia.

Ma i costituzionalisti sono divisi, quelli del comitato referendario la pensano come lei, altri no.

Non nego le ragioni di chi sostiene che non sia ammissibile. Il disegno legislativo è certamente complesso. Ma io, che sono un pratico del diritto, ritengo che il disegno “politico” sotteso al testo sia così chiaro, univoco e omogeneo, da essere comprensibile al corpo elettorale.

Da qui alla eventuale celebrazione del referendum però il parlamento può ancora modificare la legge e rendere, nel caso, non più celebrabile il referendum.

In realtà il parlamento non solo potrebbe, ma dovrebbe mettere mano alla legge se vuole andare avanti con il disegno dell’autonomia differenziata. Ci deve mettere mano perché è stata dichiarata illegittima la gran parte delle disposizioni sui Lep, i livelli essenziali delle prestazioni. E se il parlamento ci mette mano, è possibile che tocchi anche altre parti del testo, rendendo in queste nuovo caso difficile o giuridicamente impossibile celebrare il referendum. Del resto anche buona parte dell’opposizione parlamentare invoca che la maggioranza modifichi il testo, cioè in concreto invoca un intervento legislativo. I Lep sono una parte del testo su cui la volontà popolare non si esprimerà, perché non si sa come si andrà a modificare il testo. Ma se si modifica quella porzione del provvedimento, se ne modifica una parte qualificante.

È probabile che vada così?

Il cantiere legislativo è in fieri. Ma è nella sovranità del parlamento, possiamo solo aspettarne le scelte.

Dunque di fatto chi chiede la modifica della legge, dice in altre parole che è meglio che la legge si faccia in parlamento piuttosto che con la pronuncia popolare?

Senz’altro. La soluzione parlamentare, peraltro, consente di trovare un assetto, piuttosto che semplicemente demolire tutta la legge. E forse chi la chiede considera il referendum un’arma spuntata, considerando la difficoltà a raggiungere il quorum necessario. Anche una parte dei promotori hanno l’evidente percezione del grande rischio che il referendum non trovi il quorum necessario. La soluzione parlamentare a me sembra più realistica, tanto più considerando l’astensionismo che affligge tutte le ultime competizioni elettorali.

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