- Il leader di Italia viva al Corriere: «Enrico pensava di ferirci nel dire: ‘Tutti, ma non Iv’. Invece non finirò mai di ringraziarlo. Ci ha restituito uno spazio politico».
- Il Nazareno fin qui non aveva accettato provocazioni, stavolta parte la contraerea. Borghi: «La solitudine di Matteo è la conseguenza dei suoi errori».
- Parla la portavoce di Letta: «Prima di scappare sulla sua personale scialuppa, ha tentato di affondare il partito lasciando macerie, lacerazioni e un 18 per cento da guinness dei primati negativi»
E alla fine il paziente Letta, il temperante Letta, il prudente Letta, lo sperante e pure fiducioso, insomma il segretario del Pd che dal suo ritorno da Parigi dopo sette anni di astinenza dalla politica dava sfoggio di virtù cardinali e teologali per scordarsi il passato e i nemici di un tempo, alla fine ha alzato il sopracciglio, sganciato le sicure e tolto ai suoi il divieto di rispondere agli attacchi di Matteo Renzi.
Ieri il leader di Italia viva al Corriere della sera, in un’intervista delle tante rilasciate in questi giorni, ha messo insieme una serie di attacchi sanguinosi al segretario Pd, quello che nel 2014 ha defenestrato da palazzo Chigi dopo avergli consigliato di «stare sereno». Il segretario a cui, dopo che è tornato nel Pd per invocazione e acclamazione di tutti, Renzi stesso non ha mai perdonato di essere passato alla storia come il buono un po’ ingenuo defenestrato dal furbastro ma autodistruttivo.
«La sua strategia sta regalando Palazzo Chigi alla Meloni», dice Renzi, «E la brillante idea di iniziare la campagna elettorale proponendo di aumentare le tasse non mi è parsa la più geniale delle intuizioni».
Ma l’affondo più pesante è quello sul piano personale: Letta non lo avrebbe voluto nell’alleanza elettorale di centro-e-sinistra per «piccole vendette personali per le vicende del passato». Dice: «Enrico pensava di ferirci nel dire: ‘Tutti, ma non Italia viva’. Vedendo come sono andate le cose non finirò mai di ringraziarlo. Ci ha restituito uno spazio politico e l’indecoroso balletto di queste ore del centrosinistra mi rafforza nel progetto di non partecipare a coalizione finte e posticce».
Neanche i sindaci si fidano
Renzi ha colto l’attimo esatto in cui stava per rompersi l’accordo del Pd con Carlo Calenda, sperando di convincere l’ex ministro del Mise a correre con lui e a rimpolpare il suo stitico terzo polo di centro. Polo che però non riesce a coagulare un granché. Ha attirato la neonata lista civica nazionale Italia c’è, guidata dall’ex M5s Federico Pizzarotti, Gennaro Migliore (Iv) e di Piercamillo Falasca (ex Più Europa). Ma molti sindaci non sono convinti dall’idea di affidarsi all’inaffidabile leader fiorentino e in cento si sono autonomizzati e hanno firmato un appello rivolto a tutte le forze del campo progressista. La lista civica nata all’ultimo minuto, che difficilmente passerebbe lo sbarramento del 3 per cento, dovrebbe portare un po’ di sangue nelle vene di Iv, nelle speranze dei promotori e dell’ideatore. «Corriamo da soli. E col 5 per saremo decisivi», avverte Renzi.
La contraerea del Nazareno
Fin qui dal Pd non erano mai arrivate risposte dirette alle accuse e alle allusioni sparse sui media e sui social da Italia viva. Anzi fin qui il leader del Pd aveva invitato tutti i suoi deputati e senatori a lasciar cadere ogni provocazione e non fomentare la polemica: con ogni evidenza Renzi tenterà di costruire la sua campagna elettorale attaccando a testa i dem nella speranza di definire il suo profilo in opposizione al “nemico” (come faceva quando era segretario del Pd ai danni della sinistra interna, il nemico di allora).
Ma quando è troppo, è troppo. Stavolta invece dal Nazareno c’è il via libera. Si scontrano le truppe: «Renzi si è scordato di aver costruito lui l’autostrada che ha deviato tutto il traffico altrove. La solitudine odierna è la conseguenza dei suoi errori», dice Enrico Borghi, della segreteria dem. La solitudine «è coerenza», replica la renzianissima Silvia Fregolent, «Ricordo che le stesse parole su Renzi furono usate ai tempi del Conte ter, dove molti tra i dem ci davano fuori dai giochi. In quell’occasione la nostra determinazione portò Draghi alla presidenza del consiglio. E anche questa volta la nostra coerenza farà bene al Paese».
Poi lo scontro prende quota e si trasferisce ai piani alti. E se non è direttamente il segretario a parlare, è la sua portavoce Monica Nardi: «Oggi, forse per rosicchiare qualche margine di visibilità in più, Matteo Renzi trova il tempo e l’audacia di dare lezioni al Pd», replica, «Quello stesso partito che, prima di scappare sulla sua personale scialuppa, da segretario ha tentato di affondare lasciando macerie, lacerazioni e un 18 per cento da guinness dei primati negativi».
Letta negli scorsi giorni ha ripetuto il suo invito a Italia viva di entrare nell’alleanza, ricevendo un no sdegnato. Che però non ha destato preoccupazioni nel Nazareno, anzi: il Pd ha fatto maliziosamente filtrare i numeri di un sondaggio Ipsos secondo il quale Renzi è il leader più odiato dal popolo del centrosinistra: solo l’1 per cento ne apprezzerebbe l’operato. Nardi mette una pietra tombale sulla vicenda: «Non stupisce che praticamente la totalità degli elettori e dei militanti del Pd abbia maturato un giudizio durissimo, senz’appello, su di lui e sulla sua parabola politica».
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