L’Antitrust avvia una verifica sui disservizi. Il governo promette una soluzione, ma in passato hanno fallito tutti. Intanto però arriva una sentenza della corte di Giustizia europea che sembra rivolgersi proprio ai tassisti italiani
Qualcosa si muove nel settore dei taxi. Da anni l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) rileva una «domanda elevata e ampiamente insoddisfatta» a causa di un servizio che non copre «i bisogni di mobilità della popolazione».
Dopo il peggioramento della situazione nelle ultime settimane, l’autorità ha deciso di andare oltre, avviando «un’attività di verifica nel settore dei taxi sulla base delle criticità che si riscontrano a Roma, a Milano e a Napoli e che creano pesanti disservizi per l’utenza». Ad esempio, nei tempi di attesa, nell’uso del tassametro, nell’accettazione dei pagamenti elettronici, corretta funzionalità dei Pos.
I ministri Adolfo Urso e Matteo Salvini hanno convocato ieri un tavolo con sindacati e associazioni dei tassisti, con lo scopo «di trovare soluzioni ragionevoli», secondo quanto dichiarato in una nota condivisa dai due ministeri.
Allo studio c’è la possibilità che i comuni possano rilasciare una licenza aggiuntiva ai titolari che ne facciano richiesta, oltre a misure per affrontare eventuali picchi di domanda, per grandi eventi o flussi di turisti. Inoltre, si immaginano proposte agevolazioni per l’acquisto di vetture elettriche.
L’autorità ha chiarito che, dal punto di vista della concorrenza, «l’obiettivo è di far luce sul sistema delle licenze “a numero chiuso” che, in questo settore, ostacola il corretto dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali e il prodursi dei conseguenti benefici in termini di soddisfazione della domanda e di qualità del servizio».
Invece, «dal punto di vista della tutela del consumatore», la finalità è quella di «approfondire il ruolo delle cooperative e delle società di radiotaxi nel garantire corrette modalità di erogazione del servizio», accertando come, in concreto, esse verifichino «la diligente prestazione del servizio agli utenti da parte dei tassisti aderenti», nonché il rispetto di indicazioni relative a tassametro, Pos e pagamenti elettronici, turni ecc..
Il trasporto pubblico non di linea
Con l’espressione trasporto pubblico non di linea, disciplinato dalla legge 15 gennaio 1992, n. 21 e avente una funzione complementare e integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea, si individua l’attività svolta da taxi e ncc (noleggio con conducente).
Entrambi i tipi di trasporto sono effettuati a richiesta dei trasportati, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta.
Tuttavia, il servizio di taxi è destinato a un’utenza indifferenziata, mentre quello di ncc si rivolge all’utenza specifica che chiede una determinata prestazione a tempo e/o viaggio.
I taxi, inoltre, svolgono un servizio pubblico, e da ciò discendono, tra le altre cose, la sua obbligatorietà e l’offerta indifferenziata a chiunque ne faccia richiesta, la determinazione pubblica delle tariffe e delle modalità di svolgimento, lo stazionamento dei taxi in luogo pubblico. Questi oneri, invece, non sussistono per l’esercizio di ncc, in quanto non qualificabile come servizio pubblico.
Le licenze per la guida di taxi e ncc sono concesse dai comuni sulla base dei regolamenti stabiliti a livello regionale. Per acquisire una licenza è necessario che il comune bandisca un concorso. Ma ciò avviene raramente. Un’alternativa rispetto ai concorsi è quella di acquistare la licenza direttamente da chi ce l’ha già da almeno cinque anni.
Le riforme mai fatte
Dopo la riforma del 2006 di Pier Luigi Bersani – riforma comunque limitata dalle proteste dei tassisti – è stato pressoché impossibile intervenire sul settore a causa delle pressioni esercitate da esponenti della categoria.
All’inizio del 2012, un tentativo di nuova regolazione è stato proposto dal governo Monti, che ha provato a spostare il potere di autorizzazione dai comuni all’autorità dei Trasporti (Art), con l’obiettivo di far salire il numero delle licenze, nell’ottica della liberalizzazione.
Nel 2016 è stata la volta di Matteo Renzi, che mirava a favorire lo sviluppo di servizi alternativi per la mobilità urbana e, in particolare, ad alleggerire l’attività degli ncc con la rimozione dell’obbligo di rientro in rimessa delle auto dopo ogni corsa. Ma gli scioperi dei tassisti hanno indotto il governo a fare retromarcia.
Lo stesso è accaduto un anno fa al governo di Mario Draghi, intenzionato a promuovere la concorrenza anche in sede di conferimento delle licenze e l’adeguamento dell’offerta dei servizi di trasporto «mediante l’uso di applicazioni web che utilizzino piattaforme tecnologiche per l’interconnessione dei passeggeri e dei conducenti», vale a dire app come Uber, ad esempio.
Possibili soluzioni
Non ci sono state solo le proposte dei diversi governi. Nel 2017, l’Agcm aveva presentato un’ipotesi di riforma complessiva, con una piena equiparazione tra gli operatori di taxi e quelli di ncc e forme di servizio più innovative (come Uber black e Mytaxi). Per limitare l’impatto dell’apertura del mercato, l’Agcm proponeva forme di compensazione per i tassisti.
Anche l’Art, nel 2015, aveva tra l’altro segnalato la necessità di regolamentare formule di trasporto emergenti, diverse dai servizi di taxi e ncc, basate su piattaforme tecnologiche.
L’autorità proponeva, inoltre, la possibilità per i taxi di praticare sconti, di cumulare più licenze, di effettuare servizi pubblici flessibili destinati a specifiche categorie di utenti. Infine, secondo l’Art, si sarebbero dovuti eliminare una serie di obblighi gravanti sugli ncc.
Nel marzo del 2022, l’autorità ha dunque adottato linee guida destinate a regioni ed enti locali, soggetti competenti in materia, come visto, improntate a princìpi come l’aumento del numero delle licenze; una maggiore libertà nell’organizzazione del servizio per fronteggiare eventi straordinari o periodi di prevedibile incremento della domanda ecc..
Queste linee guida costituiscono la base della proposta di legge a firma di Luigi Marattin, Giulia Pastorella e altri, che prevede – tra le altre cose – la concessione ai tassisti di una licenza supplementare a titolo gratuito, da cedere entro 24 mesi, decorsi i quali, in mancanza di cessione, la licenza sarebbe messa a gara da parte dei comuni su un’apposita piattaforma.
Le pressioni dei tassisti
Dunque, se il servizio di trasporto non di linea oggi è carente, ciò dipende, da un lato, dal mancato rilascio di nuove licenze di taxi da parte dei comuni; dall’altro lato, dalle riforme non fatte negli anni scorsi da parte dei diversi governi.
Entrambe le cose sono il risultato della pressione esercitata dalla categoria interessata. Pressione motivata dal fatto che l’apertura a nuove licenze determinerebbe non solo una riduzione dei profitti, specie nei periodi di minore attività, ma anche una perdita di valore delle licenze già esistenti, al momento della loro cessione.
Il ricavato della vendita della licenza, alla fine dell’attività lavorativa, rappresenta per il tassista una sorta di trattamento di fine rapporto. Tuttavia, soluzioni volte a “compensare” i tassisti per tali perdite rischiano di sollevare le proteste di altre categorie di soggetti che pure si sono assunti un rischio d’impresa, che hanno subìto perdite, ma che non ricevono di certo alcun indennizzo.
La corte di Giustizia Ue
Nei giorni scorsi Salvini, che è ministro dei Trasporti, aveva già incontrato le associazioni rappresentative di tassisti e operatori di ncc. Hanno prospettato soluzioni come turni integrativi, doppie guide e collaborazioni parziali.
Soluzioni che possono temporaneamente alleggerire la situazione, ma che sembrano pannicelli caldi. Peraltro, le associazioni chiedono anche la realizzazione del Registro elettronico nazionale (Ren), previsto per legge da inizio 2019, ma mai attuato. E ciò potrebbe essere connesso a una mappatura delle licenze, rimedio cui - come per le concessioni balneari – ormai si usa fare ricorso quando si vuole traccheggiare.
Dal canto suo, il governo ha fatto sapere ieri che il problema del servizio taxi sarà affrontato «con una soluzione improntata all’efficienza e alla trasparenza nei confronti del cittadino, all’equità per i tassisti e al rispetto delle regole del mercato».
Grande assente nelle discussioni di questi giorni è la sentenza con cui la corte di Giustizia dell’Unione europea, nel giugno scorso, su rinvio di un giudice spagnolo, ha deciso che il contingentamento di chi opera servizi di trasporto non di linea è da considerarsi misura anticompetitiva e comunque non giustificabile se non in relazione a interessi pubblici imperativi. Tra questi, si esclude possa rientrare la mera protezione dei soggetti già autorizzati ed operanti. Il pensiero corre subito ai tassisti italiani.
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