- La liberazione dal gas russo sarà cara e lenta, nonostante il governo si prepari a spianare la strada agli impianti, tutti legati ancora una volta alle fonti fossili: gas e carbone.
- Nella bozza del nuovo decreto energia che dovrebbe arrivare in consiglio dei ministri lunedì deroghe per l’autorizzazione integrata ambientale e spazio per i nuovi rigassificatori: galleggianti e no. I costi finiranno in bolletta.
- Bonelli (Verdi): «Un disastro sociale, economico e ambientale mentre anche questa volta 200 GW di rinnovabili rimangono bloccate».
Nella bozza del nuovo decreto energia che il governo si prepara ad approvare lunedì, l’esecutivo ha ribadito la strada per cercare di fare fronte all’eventuale ammanco del metano di Vladimir Putin: via libera a più carbone, come anticipato da Mario Draghi subito dopo l’invasione dell’Ucraina, e nuovi rigassificatori galleggianti per accogliere le navi metaniere, ma anche via libera ai rigassificatori fissi.
La parola d’ordine è semplificazione. Per quanto riguarda gli impianti che riportano allo stato gassoso il metano, nel decreto viene istituito un sistema speciale di autorizzazioni da rilasciare al massimo in 120 giorni. La procedura, chiamerà in causa direttamente le regioni. Nell’articolato, ancora non definitivo, si legge infatti: «Il presidente della regione interessata alla localizzazione dell’impianto è nominato Commissario straordinario».
Nel decreto si legge che il governo punta ad arrivare a 24 miliardi di metri cubi. La quantità dice che ci sarà spazio per tutti: i terminali galleggianti dovrebbero essere da circa 5 miliardi di metri cubi. Per quanto riguarda i fissi, i più quotati sono quello di Porto Empedocle di Enel, da 8 miliardi di metri cubi, e a Gioia Tauro, da 12 miliardi, di Sorgenia e Iren.
Il tempo e i costi di questa operazione hanno già sollevato più critiche dagli ambientalisti. Gli impianti come ha riferito lo stesso amministratore delegato di Enel, Francesco Starace, mentre temiamo la chiusura dei rubinetti di Putin da un giorno all’altro, non possono entrare in operatività prima di tre anni, nonostante la procedura semplificata. Il prezzo delle infrastrutture, riporta l’Espresso, è di 2,5 miliardi.
Per i due rigassificatori galleggianti, ha scritto il Financial Times, il costo stimato per l’acquisto è tra i 300 e i 500 milioni di euro, e per l’affitto 150 milioni di euro al giorno. In tutti i casi ricadrà interamente sulle spalle dei cittadini. Infatti si legge che verranno ripagate in tariffa: una formula che significa con le bollette. Il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani ha già chiarito che la prima nave, per cui Snam sarebbe già in trattativa di acquisto, non sarà operativa prima del 2023.
Un disastro sociale
La questione fornitori è ancora aperta. La ministra per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini, si è dimostrata soddisfatta: «Stiamo lavorando - lo sta facendo il presidente Draghi, e lo stanno facendo i ministri Di Maio e Cingolani - per diversificare le fonti di approvvigionamento, in particolar modo per il gas per il quale sono stati conclusi rilevanti accordi con Algeria, Angola e Congo, solo per citare alcuni paesi», a cui si aggiunge l’Egitto, fornitore non dichiarato a cui Eni sta però lavorando. «Contestualmente stiamo programmando l’ottimizzazione dei nostri stoccaggi di gas per l’autunno prossimo e l’autoproduzione di gas». Stoccaggi che, visti i prezzi alti del metano, le compagnie private non stanno riempiendo.
Nel decreto, sul fronte carbone sono previste deroghe per l’Autorizzazione integrata ambientale, una norma che potrebbe far ripartire l’impianto di La Spezia, attualmente fermo.
Angelo Bonelli, coportavoce di Europa Verde ha commentato: «Il governo non ha strategia energetica che ci levi dalla dipendenza dal gas e condanna le famiglie e le imprese italiane a pagare bollette energetiche stratosferiche per i prossimi anni». Per lui è «un disastro sociale, economico e ambientale mentre anche questa volta 200 GW di rinnovabili rimangono bloccate».
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