- Umiliazioni, punizioni e disciplina: il ministro dell’Istruzione parla di scuola in termini quasi esclusivamente negativi e repressivi. Ma dietro le sue apparenti gaffes c’è l’idea che la scuola italiana è diventata lassista, permissiva e troppo facile.
- I dati non sostengono questi tesi e nemmeno l’idea che i giovani siano divenuti tutti criminali fuori controllo. Ma la scuola deve comunque essere selettiva, secondo il ministro: la sua idea è che faccia da filtro tra “meritevoli” capaci e coloro che non lo sono.
- Sono idee che vanno in direzione opposta rispetto a moltissimi pensatori dell’educazione, da Rodari a Don Milani, ma in ogni caso Valditara dimentica che la scuola italiana è soprattutto senza finanziamenti: e su questo nella recente manovra non è riuscito a ottenere nemmeno un euro.
Quando parla di scuola, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara sembra avere in mente soltanto il lato punitivo di questa istituzione.
Che sia l’importanza di «umiliare» e «stigmatizzare» gli studenti indisciplinati, frase su cui è stato costretto a una rapida marcia indietro, oppure quella di mandarli ai lavori socialmente utili o sospendere i sussidi sociali ai loro genitori, per il ministro il problema della scuola è la mancanza di disciplina.
Anche se molti considerano Valditara un parafulmine del governo Meloni, un generatore di controversie identitarie per distogliere l’attenzione dall’impotenza sulle questioni economiche, dietro alle sue dichiarazioni c’è un’idea coerente di scuola.
Non una grande istituzione inclusiva pensata per dare a tutti gli strumenti per sviluppare la loro personalità, ma un filtro che con mezzi anche brutali, quando è necessario, separi i meritevoli da quelli che non lo sono.
Una scuola “rammollita”?
La tesi da cui parte Valditara è quella classica della destra conservatrice che si ritrova ad esempio negli articoli dello storico Ernesto Galli Della Loggia o nei libri del sociologo Luca Ricolfi.
In sostanza: la scuola italiana, infettata dalla politicizzazione e dal lassismo libertario degli anni Settanta, sarebbe diventata troppo poco dura e troppo permissiva. Tutti vengono promossi, gli insegnanti non incutono più rispetto e gli studenti sono senza controllo.
Diffusa al punto da essere diventata un luogo comune, è una lettura che tra i professionisti della scuola non trova molti aderenti. «Sono stanca di questa narrazione negativa dei ragazzi: è una rappresentazione molto poco vicina alla realtà», dice Gaja Cenciarelli, insegnante in un liceo della periferia romana e autrice del romanzo Domani interrogo.
«Spesso le persone che fanno queste affermazioni non sono mai entrate in una classe. Stiamo parlando di un nemico o stiamo parlando di ragazzi da aiutare a diventare cittadini?».
Per il principale sindacato degli insegnanti, la Flc-Cgil, l’idea che il problema della scuola italiana sia la mancanza di rigore è «arcaica e paternalista».
Tra le richieste dei professionisti dell’istruzione, quella di avere nuovi strumenti di punizione non è in genere una priorità. «I miei strumenti di disciplina sono io, non c’è bisogno di altro – continua Cenciarelli – Le priorità sono stabilizzazione precari, le scuole che cadono a pezzi, i termosifoni che non funzionano, di certo non gli aiuti per la disciplina».
Studenti fuori controllo
I dati non forniscono grande supporto alla tesi di una scuola lassista e fuori controllo. Come in tutti i paesi industrializzati, anche in Italia la percentuale di bocciature è in calo perché da tempo gli scienziati della formazione indicano nella ripetizione dell’anno scolastico uno strumento inutile e costoso per recuperare studenti svantaggiati.
Ma l’Italia è sopra la media Ocse per percentuale di studenti che hanno ripetuto un anno almeno una volta, poco sotto la Germania e a grande distanza dai modelli virtuosi dei sistemi educativi, come quelli dei paesi nordici.
Il supposto lassismo della scuola viene spesso messo in relazione con la criminalità giovanile, un fenomeno che sarebbe ormai fuori controllo. I dati sui reati commessi da giovani, però, sono stabili da anni.
Per trovare fenomeni in un aumento bisogna entrare nel terreno scivoloso degli episodi di «violenza “gratuita” ed apparente “insensatezza”» spesso commessi in piccoli gruppi, ha scritto in una recente ricerca Gemma Tuccillo, capo dipartimento per la giustizia minorile al ministero della Giustizia.
Per sociologi ed esperti è il minimo che ci si può aspettare in un ventennio che ha visto triplicare il numero di persone in povertà assoluta, in particolare tra i minori, e aumentare di pari passo le situazioni di disagio.
Difficilmente si tratta di un problema solo della scuola. «Se alcuni, pochi, ragazzi sono fuori controllo lo sono ovunque: la scuola è un microcosmo del quartiere, della società», dice Franco Lorenzoni, maestro elementare e fondatore della Casa-laboratorio di Cenci, un centro di sperimentazione educativa.
La scuola non può dare la risposta che sono tenute a dare le autorità di polizia e giudiziare. «Un po’ più disciplina cosa vuol dire? Armiamo gli insegnanti? Il ruolo della scuola è un altro: prevenire la violenza, ma per farlo devi ascoltare i ragazzi. Un ragazzo violento è prima di tutto un ragazzo che sta male, che forse non ha mai ricevuto uno sguardo attento e partecipe».
Funzione economica o sociale
L’idea di una scuola più dura e rigorosa è legata all’idea di “merito” che il governo Meloni ha aggiunto al nome ufficiale del ministero dell’Istruzione.
Le teorie del premio Nobel dell’economia Kenneth Arrow, secondo cui l’istruzione superiore deve fungere da screening, o filtro, per selezionare gli individui capaci in modo da fornire informazioni più precise su chi assumere agli operatori economici, come ha notato la sociologa Francesca Coin, sono molto influenti tra i consiglieri di Valditara, come il pedagogista Giuseppe Bertagna, docente all’università di Bergamo e già consulente della riforma Moratti.
Il punto centrale di queste teorie è considerare il sistema formativo ancillare di quello economico, un’idea che trova espressione ad esempio negli Its, scuole post diploma finanziate dallo stato, ma sul cui curriculum esercitano una forte influenza le imprese locali, in modo da poter formare lavoratori con le competenze di cui hanno bisogno i territori. Valditara è un entusiasta sostenitore degli Its.
In senso lato, rigore e disciplina, più bocciature e più punizioni, sono l’altra faccia dello screening. Un esercizio di selezione per separare gli studenti “meritevoli” di proseguire il percorso educativo da quelli destinati a lavori manuali.
Ma essere “capaci” spesso è questione di fortuna. «Il sospetto è che alla fine “merito” vada insieme a privilegio. Si pensa a una scuola pubblica per privilegiati in cui vanno avanti soltanto gli studenti che hanno famiglie che forniscono loro gli strumenti per ottenere questo merito», dice Cenciarelli.
Scuola democratica
Nel lato opposto dello spettro delle teorie del “merito” ci sono le idee sulla scuola di pensatori ed educatori come Don Milani, Bruno Ciari e Gianni Rodari, ispirate da sociologi e pedagoghi come John Dewey e Celestine Frenet e in genere raggruppate sotto la definizione di “scuola democratica”.
A differenza delle visioni più economiciste, gli esponenti della scuola democratica pensano che sia la scuola a formare la società e non l’una a servire l’altra.
L’enfasi non è sul produrre studenti con competenze adatte al sistema economico, ma adulti con valori democratici.
L’impronta di questa corrente sulla scuola italiana è rimasta minoritaria e la maggior parte degli indicatori mostra che il sistema formativo è rimasto piuttosto classista: i diplomati sono in genere figli di diplomati, i laureati provengono da famiglie di laureati.
Ma l’impronta dei riformatori è visibile ad esempio nelle scuole dell’infanzia e primarie, tra le migliori in Europa, e nell’enorme impegno profuso nell’aiuto agli alunni svantaggiati, con un quarto degli insegnanti che svolgono funzioni di sostegno.
Quando Valditara parla di giovani che non studiano né lavorano o del disagio che porta alla violenza «sta ponendo questioni giuste, accompagnate da soluzioni semplicistiche e sbagliate», dice Lorenzoni.
«Chi non ha terminato la terza media o non è in grado di leggere un testo non lo aiuti rimandandolo a scuola. Serve un’altra didattica e un altro percorso». Ma qualunque percorso richiede un investimento non soltanto a parole.
Se si parla di formazione c’è una sola classifica nella quale l’Italia spicca: è quella sulla spesa pubblica destinata alla scuola, in cui è ultima tra tutti i paesi dell’Unione europea.
Su questo fronte, la recente manovra approvata dal governo Meloni non prevede un solo euro di spesa aggiuntiva, che vista l’inflazione significa ulteriori tagli in termini reali.
Che la soluzione sia merito, rigore e disciplina oppure inclusione, comprensione e ascolto, la conclusione non può che essere una soltanto. Come ministro, finora Valditara non ha avuto grandi meriti.
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