L’ex premier benedice e cerca la benedizione della politica romana in vista di un secondo tempo a Bruxelles. Per il momento raccoglie le eminenze, ma c’è tempo per recuperare
«In fondo, eravamo tutti in cerca di una benedizione» dice sul sagrato di Sant’Ignazio di Loyola Roberto D’Agostino, che durante la presentazione di Quando eravamo i padroni di Aldo Cazzullo era seduto in prima fila, per ascoltare il giornalista del Corriere e (soprattutto) per sentire le risposte di Mario Draghi.
Che, come è diventata sua abitudine anche nelle tre occasioni in cui ha parlato dopo la fine del suo governo, ha usato tinte forti per tratteggiare il futuro non tanto dell’Italia, quanto dell’Europa.
«Per l’Europa è il momento di diventare stato», ha detto l’ex premier, una prospettiva che da sola già vale un intero programma elettorale. Ma oltre alle parole, a colpire è stato il contesto, carico di simbolismi: dalla collocazione dei due interlocutori, seduti su due sedie damascate di fronte all’altare, nella chiesa gesuita più importante di Roma, con una platea riunita nell’ascolto quasi rituale di un allievo dei più brillanti dell’istituto Massimo.
Draghi ha nutrito la metafora raccontando un aneddoto di gioventù: gli allievi venivano riuniti a sant’Ignazio per il Te deum di ringraziamento a fine anno, ma essendoci solo la metà dei promossi, l’atmosfera «era agitata». A essere maliziosi, una valutazione non lontana da quella che l’economia ha dato ai conti italiani.
Programma elettorale
Draghi ha consegnato alla platea – fatta più di eminenze grigie e manovratori che di politici nell’agone – una serie di risposte molto più concrete di quanto ci si aspetterebbe da una tranquilla intervista da banchiere-tecnico-politico-presidente del Consiglio ormai in pensione.
Non è da escludere che il pubblico sperasse proprio di percepire da Draghi un interesse ancora vivo per la politica attiva. Nella speranza che esista un’alternativa alla deriva sovranista in atto, con Giorgia Meloni ancora inattaccabile arroccata ferma al suo 30 per cento di consensi.
Se non a Roma, almeno a Bruxelles. Ma si parla di tempi più lunghi di quelli che muovono la politica romana in queste settimane. Un aspetto che occorre tenere presente mentre si scorrono le decine di panche sotto il soffitto barocco di sant’Ignazio: pochi i parlamentari in carica, alla ricerca della ribalta in prima fila soltanto Carlo Calenda e Lorenzo Guerini, più indietro coloro che guardano oltre l’immediato, Luigi Zanda e Marco Follini.
A fare gli onori di casa anche l’editore del Corriere Urbano Cairo e il direttore di La7 Andrea Salerno insieme alla capa di Stand by me, Simona Ercolani. La presentazione del libro è stata anche l’occasione per uno spot all’ultima puntata de Una giornata particolare di Cazzullo.
Le ambizioni di Draghi
Ma se il pubblico si è mosso in cerca di una benedizione da parte dell’ex premier, forse anche Draghi stesso aveva immaginato il suo primo appuntamento pubblico a Roma diversamente. Mancavano i leader che lo hanno sostenuto – Matteo Renzi, che in genere non perde occasione per intestarsi l’arrivo di Draghi a palazzo Chigi, era a farsi intervistare altrove – ma anche le seconde file avevano tutte altro da fare, parrebbe. Ma le europee sono fra sette mesi, c’è tutto il tempo di tornare, se ci fosse ancora bisogno di issare Draghi in un incarico europeo sostenuto da una maggioranza non troppo dissimile da quella attuale.
Sarebbe di base una scelta di continuità. In fondo Draghi un ruolo da protagonista ce l’ha già, gliel’ha consegnato a settembre Ursula von der Leyen chiedendogli un report sulla competitività europea. Ma rispetto all’incolore guida dell’ex delfina di Angela Merkel l’ex premier propone una linea ben più aggressiva in quello che definisce «un momento critico».
«Occorre cominciare a pensare a un’integrazione politica europea, a un parlamento europeo come vero parlamento dell’Europa, pensare che siamo italiani ma anche europei». Una nuova sostanza politica per mettere in campo una forte risposta economica: «Occorre reinventarsi un modo diverso di crescere. Dobbiamo rivedere molti dei presupposti del nostro stare insieme. Le sfide che abbiamo sono tra l’altro sovranazionali. Vale per il clima, che è una cosa di tutti» ma anche per «la difesa: quella sostenuta dagli Usa comincerà a diminuire, dovremo pensarci noi».
E anche all’estero, l’Europa deve tornare a contare, sempre per difendere quei valori che secondo l’ex premier terranno unita l’Europa: «Nel caso dell’Ucraina, loro difendono valori che sono anche i nostri». Ma anche a Gaza, quel che è successo finora non basta assolutamente.
«L’Europa dovrà fare qualcosa di più di quello che sta facendo, molto di più che semplicemente mettere molto denaro. Dovrà avere un ruolo, non credo militare perché siamo deboli e non credibili, ma certamente umanitario». La prospettiva deve rimanere la pacificazione, con un’inaspettata concessione a Meloni. «La cosa più importante è che lì va portata la pace, e in questo l’Europa può avere un ruolo, e anche l’Italia ha acquistato credibilità».
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