La premier in difficoltà per il caso De Angelis si mostra dialogante e convoca a Palazzo Chigi i leader della minoranza. Loro giurano che non si faranno dividere. Ma Renzi dice no
Stavolta il merito è di Carlo Calenda, il primo a invitare Giorgia Meloni a un confronto sulla proposta di salario minimo delle opposizioni. Un confronto offerto, anzi richiesto, fin dai tempi del massimo conflitto con la maggioranza, e cioè quando FdI e Lega volevano votare in commissione lavoro della camere la «soppressiva» della proposta di legge in commissione lavoro della camera.
Meloni si è resa conto che il tema è molto sentito nel paese – e nel suo elettorato – quindi ha ammorbidito i toni (lei definiva il provvedimento «uno specchietto per le allodole»), poi lanciato qualche segnale di disponibilità; in aula la «soppressiva» si è trasformata in una più soft «sospensiva» di due mesi.
Tre giorni fa i contatti informali, proprio con il leader di Azione. Alla fine l’invito ufficiale a palazzo Chigi a tutti i leader delle opposizioni (anche Matteo Renzi, che ha fatto sapere che non era della partita) è arrivato martedì all’ora di pranzo, una convocazione per venerdì alle ore 17 firmata Alfredo Mantovano, sottosegretario di presidenza del Consiglio.
Esulta Arturo Scotto, capogruppo Pd in commissione e capofila dell’ostruzionismo che in quella sede è stato fatto: «La convocazione è indubbiamente un successo dell'iniziativa di questi mesi delle opposizioni. Certifica una difficoltà della destra sul tema dei salari bassi che la costringe ad aprire al confronto. La condotta della maggioranza è stata talmente contraddittoria che appena due settimane fa voleva sopprimere la legge con un emendamento».
Giuro di essere fedele
Per le opposizioni è un successo. Ma anche un rischio: non è un mistero che la maggioranza punti a dividere le opposizioni (Italia viva già venerdì non sarà a palazzo), sulla falsariga di quello che già succede con i sindacati: la Cgil è favorevole alla proposta, la Cisl contraria. E così martedì tutti i leader convocati si sono riuniti via zoom per giurarsi l’un l’altro fedeltà alla linea: e cioè la «totale difesa del testo», ovvero la paga oraria a 9 euro lordi, e si sono coordinati sulla raccolta di firme annunciata, che pure ritarda per problemi di «piattaforma» delle firme online.
In questa riunione Giuseppe Conte, che in realtà è il più scettico di tutti, ha assicurato ai colleghi che ci sarà anche lui. Anche se in mattinata circolavano voci scettiche sulla sua presenza: sembrava volesse mandare al suo posto l’ex ministra del lavoro Nunzia Catalfo. Alla fine dunque l’invito a palazzo Chigi è accettato da tutti.
Ma con accenti diversi, dall’entusiasmo di Carlo Calenda ai toni più sospettosi di Elly Schlein: «Speriamo non sia una sceneggiata agostana. Parteciperemo all’incontro. Ma ci aspettiamo atti conseguenti e risposte, anche sui ristori per famiglie e imprese colpite dall’alluvione e dalle frane in Emilia-Romagna e sulle mancate dimissioni di De Angelis». La segretaria Pd insomma cercherà di allargare i temi del tavolo.
Stessa musica da Nicola Fratoianni, il rossoverde che con Angelo Bonelli venerdì tornerà a Roma per vedere la premier: «Mi auguro che il tavolo di confronto sia vero e non il solito tavolo che abbiamo visto all’opera con le organizzazioni sindacali in questi mesi. Tavoli spesso inutili e inconcludenti. La presidente si disponga all’ascolto della proposta delle opposizioni e non faccia come con gli extraprofitti. Hanno buttato via dei mesi pur di non ascoltarci. Ora ci sono arrivati, finalmente».
Ci sarà anche Riccardo Magi, segretario di +Europa, che nota che «anche sul metodo il governo non si distingue per rispetto istituzionale: abbiamo appreso dalle agenzie e dalle tv che la presidente del Consiglio intendeva convocarci prima ancora di aver ricevuto alcun invito».
Urge recupero consensi
Un «metodo» che tradisce qualche improvvisazione. Il possibile incontro prima della pausa estiva era stato promesso a Calenda direttamente da Giorgia Meloni. Ma sembrava ormai essere rimandato a più avanti, tanto non c’era fretta visto che la discussione della camera è stata chiusa con una sospensione di sessanta giorni, che diventa uno slittamento del confronto all’inizio dell’anno venturo, visto che in autunno i lavori della camera sono dedicati alla sessione di bilancio.
Ma la «figuraccia» sulla strage di Bologna deve aver consigliato la premier a cercare una «operazione simpatia» presso la parte del paese che è rappresentata dalle opposizioni. Alla quale offrire un’altra storia, più positiva, dopo la rivolta suscitata dalle dichiarazioni di Marcello De Angelis, capo della comunicazione della regione Lazio.
Una polemica che presto si è rivolta verso di lei, la premier che nel comunicato ufficiale del 2 agosto non aveva menzionato la «matrice neofascista» della strage, di fatto la stessa linea dei post dell’ex Terza posizione.
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